Cass. civ., SS.UU., sentenza 15/07/2008, n. 19341
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In tema di procedimento disciplinare a carico di magistrati, il termine biennale previsto dall'art. 59, nono comma, del d.P.R. 16 settembre 1958, n. 916, e succ. modif., per la pronuncia della sentenza (termine la cui osservanza è stabilita a pena di estinzione del procedimento, sempre che l'incolpato vi consenta), decorre dalla comunicazione all'incolpato del decreto che fissa la discussione orale davanti alla Sezione disciplinare del CSM, mentre il "dies ad quem" va identificato nella data di lettura del dispositivo (e non in quella del successivo deposito in segreteria della decisione). Tale interpretazione manifestamente non contrasta con gli artt. 3, 101 e 111 della Costituzione, nella parte in cui non prevede un termine perentorio anche per il deposito della motivazione, a pena di estinzione del procedimento disciplinare, considerando che la lettura del dispositivo conclude il procedimento, mentre l'esigenza di conoscere la motivazione rileva al diverso fine della formulazione delle doglianze nella eventuale fase d'impugnazione.
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. C R - Primo Presidente f.f. -
Dott. S S - Presidente di sezione -
Dott. M A - rel. Consigliere -
Dott. V U - Consigliere -
Dott. S G - Consigliere -
Dott. P P - Consigliere -
Dott. M D C L - Consigliere -
Dott. L T M - Consigliere -
Dott. T F - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
N, elettivamente domiciliato in LOCALITA1, Lgt.dei M.n 24, presso lo studio dell'avvocato N, che
lo rappresenta e difende, giusta delega in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE, MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;
- intimati -
avverso la sentenza n. 17/05 del Consiglio superiore magistratura di ROMA, depositata il 31/07/07;
udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 15/04/08 dal Consigliere Dott. N3;
udito l'Avvocato N;
udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott. N4, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con nota in data 15 maggio 1998 il Ministero della Giustizia all'esito di ispezione effettuata presso la Sezione fallimentare del Tribunale di LOCALITA1, promuoveva l'azione disciplinare nei confronti del dott. Giuliano N, presidente di sezione del Tribunale di LOCALITA2, in relazione a comportamenti dallo stesso precedentemente tenuti nella qualità di giudice del Tribunale di LOCALITA1 addetto alla detta Sezione fallimentare.
Al N veniva ascritto di aver negligentemente omesso di effettuare i dovuti controlli in una molteplicità di procedure concorsuali a lui affidate, in modo da consentire a tale N5, persona estranea all'Amministrazione, di avere accesso agli atti delle procedure stesse e di gestire di fatto per alcune di esse l'attività di curatela.
In particolare il N era accusato di aver ricevuto dal N5 e da altri soggetti, sovvenzionamenti per ingenti importi destinati a speculazioni immobiliari, nonché di aver utilizzato l'ufficio per promuovere la vendita tra dipendenti
dell'Amministrazione e professionisti di unità immobiliari realizzate da società cooperative edilizie in cui egli vantava personale cointeressenza.
La Procura della Repubblica di LOCALITA3, concludeva il Ministro, in relazione ai fatti in questione e ad altri ad essi parzialmente sovrapponibili, come specificamente indicati nel capo di imputazione, aveva formulato richiesta di rinvio a giudizio del magistrato elevando imputazione per la violazione dell'art. 319 c.p.. Contestualmente il Ministro chiedeva la sospensione del N dal servizio e dallo stipendio, istanza cautelare che veniva accolta dalla Sezione disciplinare del CSM con ordinanza del 26 giugno 1998. Dopo averne disposto l'apertura, il P.G. presso la Corte di Cassazione, con decreto del 23 ottobre 1998, disponeva la sospensione del procedimento disciplinare con effetto dal 30 marzo 1998 in ragione della suddetta imputazione e della richiesta di rinvio a giudizio formulata nei confronti del magistrato dalla Procura salernitana in pari data.
Disposto il rinvio a giudizio del N assieme al N5, con sentenza del 22 febbraio 2002 il Tribunale di LOCALITA3 assolveva entrambi dal reato loro ascritto con la formula perché il fatto non sussiste.
Divenuta irrevocabile la sentenza penale e revocata la sospensione cautelare con ordinanza del 5 aprile 2002 della Sezione disciplinare il P.G. elevava la definitiva contestazione disciplinare a carico del N, escludendo ogni riferimento ai fatti oggetto del processo penale.
Veniva pertanto il N incolpato della violazione del R.D.L. n. 511 del 1946, art. 18, per aver gravemente mancato ai propri
doveri, rendendosi immeritevole della fiducia e della considerazione di cui deve godere il magistrato,compromettendo così il prestigio dell'Ordine Giudiziario. Ed invero risultava che il predetto magistrato aveva negligentemente omesso di effettuare i dovuti controlli in una molteplicità di procedure affidategli consentendo a tal N5, soggetto estraneo all'ufficio, di avere
accesso alla documentazione processuale e di gestire "di fatto" una specie di curatele;
aveva ricevuto dal N5 e da soci di costui sovvenzionamenti e denaro per ingenti importi, destinati a speculazioni immobiliari;aveva utilizzato l'ufficio per promuovere anche fra i dipendenti e i professionisti che frequentavano il Tribunale la vendita di unità immobiliari realizzate da cooperative edilizie nelle quali aveva una significativa cointeressenza. Interrogato il magistrato, che contestava ogni addebito e acquisita una memoria difensiva, il P.G., in data 14 novembre 2002, chiedeva non farsi luogo al dibattimento nei confronti dell'incolpato. Disposta la fissazione del dibattimento, presentata dall'incolpato una nuova memoria difensiva ed escussi alcuni testi, con sentenza del 15 febbraio 2005, depositata il 31 luglio 2007, sulle conclusioni del P.G. che chiedeva l'assoluzione del N per inesistenza degli addebiti e della difesa che instava per la nullità del decreto di citazione per genericità dell'incolpazione e nel merito per l'assoluzione del proprio assistito la Sezione Disciplinare del CSM dichiarava il N responsabile dell'incolpazione ascrittagli con le specificazioni di cui in motivazione e gli infliggeva la sanzione disciplinare dell'ammonimento.
Respinta l'eccezione preliminare sia sul piano formale, sia sul rilievo che il capo d'incolpazione aveva descritto con la necessaria analiticità i tre addebiti mossi al N, riteneva quel giudice che il comportamento del magistrato avesse dato luogo a responsabilità disciplinare in quanto i rapporti di carattere economico finanziario intercorsi tra il medesimo e il N5, tra l'altro non circoscritti nell'ambito interpersonale dei due protagonisti, seppure estranei ad ogni fattispecie corruttiva, potevano essere autonomamente valutati sul piano disciplinare, onde considerarne la correttezza sul piano deontologico sì da affermare che il comportamento del N era stato tale da colpire l'immagine di autonomia, indipendenza e terzietà del magistrato, attenuandone la considerazione di cui doveva godere nel consesso sociale.
Avverso tale decisione ha proposto ricorso per Cassazione dinanzi alle Sezioni Unite di questa Suprema Corte N sulla base di cinque motivi,illustrati da memoria.
Non hanno svolto attività difensiva in questa sede gli intimati. MOTIVI DELLA DECISIONE
Nella memoria difensiva è denunciata, ai fini di un possibile contrasto con il sistema costituzionale vigente, l'antinomia secondo la quale nel giudizio disciplinare a carico dei magistrati il Procuratore Generale svolge contemporaneamente le funzioni di promotore dell'azione disciplinare e di contraddittore del ricorrente.
Rilevano in proposito queste Sezioni Unite che, nel sistema vigente, il D.P.R. 16 settembre 1958, n. 916, art. 59, pone una scissione fra titolarità dell'azione disciplinare, che appartiene al Ministro della Giustizia, e l'esercizio della medesima, che è attribuito al Procuratore Generale, per evitare che l'esercizio di tale azione sia attribuito ad un organo amministrativo.
Con l'emanazione della sentenza disciplinare tale esigenza viene meno e il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione nel giudizio attua la sua qualità di soggetto imparziale nel processo e non di contraddittore dell'incolpato. Sotto questo profilo, quindi la denunciata antinomia, secondo la quale nel giudizio disciplinare a carico dei magistrati il Procuratore Generale svolge contemporaneamente le funzioni di promotore dell'azione disciplinare e di contraddittore del ricorrente, non è ipotizzabile (vedi Cass. S.U. n. 19660/2003, n. 759/2006). Ciò posto, con il primo motivo di ricorso si denunzia,in riferimento all'art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, violazione e falsa applicazione dell'art. 104 Cost., dell'art. 185 c.p.c., comma 1, n. 1 del 1930 (applicabile alla fattispecie),
nonché omessa motivazione su fatto controverso e decisivo per il giudizio.
Osserva il ricorrente che la deliberazione dell'impugnata sentenza è avvenuta il 15 febbraio 2005, data in cui è stato letto il dispositivo.
La stesura della motivazione e il relativo deposito recano la data del 31 luglio 2007.
Avendo il CSM,nell'ambito del quale la Sezione disciplinare aveva deliberato, cessato di esistere per scadenza del termine costituzionale, alla data del 31 luglio 2006, deve concludersi per l'inesistenza della decisione, perché emessa da organo giudicante non più