Cass. civ., sez. II, sentenza 09/11/2012, n. 19513

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La dichiarazione di assenso ex art. 179, secondo comma, cod. civ. del coniuge formalmente non acquirente, ma partecipante alla stipula dell'atto di acquisto, relativa all'intestazione personale del bene immobile o mobile registrato all'altro coniuge, può assumere natura ricognitiva e portata confessoria - quale fatto sfavorevole al dichiarante e favorevole all'altra parte - sebbene esclusivamente di presupposti di fatto già esistenti, laddove sia controversa, tra i coniugi stessi, l'inclusione del medesimo bene nella comunione legale. Analoga efficacia in favore del coniuge formalmente acquirente non può, invece, attribuirsi ad una tale dichiarazione nel diverso giudizio fra i coeredi di colui che l'aveva resa, terzi rispetto al suddetto atto, in cui si discuta della configurabilità del menzionato acquisto come una donazione indiretta di quello stesso bene in favore del coniuge da ultimo indicato, nonchè della sussistenza dei presupposti per il suo conferimento nella massa ereditaria del "de cuius". (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva qualificato come donazione indiretta, conseguentemente assoggettandola a collazione, l'acquisito di un immobile successivamente al matrimonio da parte di uno dei coniugi, in relazione al quale era stato provato il diretto versamento del prezzo all'alienante ad opera dell'altro, negando rilievo alla contraria dichiarazione di quest'ultimo contenuta nell'atto di acquisto).

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. II, sentenza 09/11/2012, n. 19513
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 19513
Data del deposito : 9 novembre 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. N L - rel. Presidente -
Dott. P I - Consigliere -
Dott. B M - Consigliere -
Dott. F M - Consigliere -
Dott. V E - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 9601-2006 proposto da:
MASCOTTI ANNA MARIA MSCNMR39E62C994K, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall'avvocato P M;



- ricorrente -


contro
SCARPA GIORGIO, SCARPA MARIO, SCARPA FRANCA C.F.
SCRFNC55P61D371P, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

COSSERIA

5, presso lo studio dell'avvocato G F R, che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato D B G;



- controricorrenti -


avverso la sentenza n. 297/2005 della CORTE D'APPELLO di TRENTO, depositata il 21/07/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/09/2012 dal Presidente Dott. L N;

udito l'Avvocato G A con delega depositata in udienza dell'Avv. M P difensore della ricorrente che ha chiesto di richiamare gli scritti illustrando le difese depositate;

udito l'Avv. Rlli Guido Francesco difensore dei controricorrenti che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE

Umberto che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 23.5.2002 S F, S G e S M convenivano in giudizio, innanzi al Tribunale di Trento, M A M, moglie del loro padre, Bruno S, deceduto il 22.4.2001. Chiedevano lo scioglimento della comunione ereditaria e la divisione dei beni, previa reintegrazione nelle quote loro riservate,mediante riduzione delle disposizioni testamentarie e conferimento nella massa ereditaria dell'appartamento sito in Trento, Corso Buonarroti n. 23, attraverso la restituzione del relativo prezzo maggiorato di interessi, trattandosi di immobile che Bruno S aveva donato, tra il 5.2.1986 ed il 15.4.1987, alla convenuta, sposata in seconde nozze. Esponevano gli attori che il de cuius aveva disposto dei propri beni con testamento olografo del 3.11.1994, lasciando metà del patrimonio ai tre figli in parti uguali e l'altra metà alla M cui aveva anche attribuito l'usufrutto di" tutti i suoi averi".
L'eredità comprendeva:
due immobili in località Nembia di San Lorenzo in Banale in P.t. 1416 p.m. 6 p.ed.770, casa di abitazione p.f. 4627-Prato;
Euro 1344,28 depositati sul c/c ord. n. 4689981.01.54 Banca Intesa BCI Comit di Trento;
l'arredamento della casa in San Lorenzo in Banale ed alcuni mobili nella casa della M in Trento;

l'attrezzatura per officina e falegnameria;
un'automobile

FIAT

Campagnola;
una

FIAT

126;
una volkswagen Golf.
Assumevano gli attori che, nel 1986, il de cuius aveva donato detto appartamento in Trento, corso Buonarroti n. 23, contraddistinto dalla p.m. 28 p.ed.1800 in P.T. 5816, pagando il prezzo effettivo di acquisto per L. 56.000.000.
Si costituiva in giudizio la convenuta aderendo alla domanda di scioglimento della comunione e di divisione dei beni e domandando che fosse dichiarata nulla la donazione del prezzo di acquisto (L.2.907.000) dell'immobile in San Lorenzo in Banale, da lei fatta al de cuius, con addebito dell'importo alla massa, oltre alla restituzione delle spese funerarie e di quelle di successione anticipate per conto della massa.
Con sentenza non definitiva 9.9.2004 il Tribunale di Trento dichiarava: che la casa in Trento, p.m. 28 p.ed.1800 C.C., era soggetta a collazione e M A M la doveva conferire ai coeredi in natura o per imputazione;
che la residenza dei coniugi S - M era costituita dalla casa di Nembia in San Lorenzo in Banale;
che M A M vantava, verso la comunione ereditaria, i crediti specificati in motivazione;
rimetteva la causa in istruttoria come da separata ordinanza.
Avverso tale sentenza la M proponeva appello cui resistevano gli appellati.
Con sentenza 4.7.2005 la Corte d'Appello di Trento rigettava l'appello e condannava l'appellante al pagamento delle spese processuali del grado.
Osservava la Corte di merito che dalla prova testimoniale e dalla documentazione bancaria emergeva la prova che il de cuius aveva donato alla moglie il denaro necessario per l'acquisto dell'appartamento in questione, sito in Trento, così realizzando una donazione indiretta in favore della moglie, dell'appartamento stesso.
Tale decisione è impugnata con ricorso per cassazione dalla M sulla base di quattro motivi illustrati da successiva memoria.
Resistono con controricorso S F, S G e S M.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La ricorrente deduce:
1) violazione dell'art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sui motivi di appello, relativamente: a) al vizio di travisamento delle dichiarazioni del teste C G, avendo il Tribunale attribuito a dette dichiarazioni un "valore diverso" da quello da esse risultante;

b) alla affermazione del Tribunale circa il difetto di prova sull'utilizzo, da parte della M, del prestito ottenuto dal fratello, M Saverio, per il pagamento del prezzo dell'appartamento in questione;
escusso come testimone, il M stesso aveva dichiarato di aver prestato alla sorella il denaro necessario per l'acquisto dell'appartamento, circostanza confermata dalla venditrice che, all'atto del pagamento, aveva rilasciato dichiarazione di quietanza, indicando gli importi ricevuti con i numeri dei relativi assegni tratti "su un istituto diverso da quello presso il quale il de cuius operava";

c) alla erronea valutazione, da parte del Tribunale, della dichiarazione resa da S B, nell'atto di acquisto dell'appartamento da parte della M, dichiarazione che l'immobile era stato acquistato dalla moglie con denaro proprio, equiparabile a confessione, con efficacia anche nei confronti dei terzi cui incombeva la prova necessaria a superare la presunzione di proprietà esclusiva del bene in capo al coniuge acquirente;
la corte di appello non aveva motivato in ordine a tale censura, ma si era limitata ad esaminare la questione subordinata con cui l'appellane assumeva che la casa di Trento andava ricompresa nella comunione ereditaria;
aveva, inoltre, omesso di decidere sulle altre questioni prospettate in via subordinata, riguardanti la natura "comune" del denaro utilizzato dal de cuius, per l'acquisto dell'immobile nonché la mancanza, nell'atto di vendita dell'immobile, della dichiarazione del coniuge, richiesta al fine di consentire l'acquisto esclusivo da parte di S B;

2) subordinatamente al mancato accoglimento del primo motivo, la ricorrente impugnava i medesimi capi della sentenza di appello per omessa e/o carente e/o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, laddove la Corte di merito aveva ritenuto provato che il prezzo di acquisto dell'immobile in Trento, Corso Buonarroti n. 23, fosse stato pagato dal de cuius, non tenendo conto che tale circostanza non risultava ne' dalle dichiarazioni rese dal teste C G ne' dalla documentazione bancaria, stante il difetto di corrispondenza tra le entrate e le uscite dei conti correnti intestati a S B ed alla venditrice dell'immobile, D'Auria Claudia;

3) violazione e falsa applicazione degli artt. 179 e 809 c.c. nonché omessa e/o contraddittoria e/o illogica motivazione circa un punto decisivo della controversia concernente la dichiarazione con cui S B dichiarava, in calce all'atto di acquisto della moglie, ex art. 379 c.c., comma 2, che "l'immobile oggetto dell'acquisto resta escluso dalla comunione legale e di questo ne da conferma il marito intervenuto", dando luogo ad una presunzione assoluta di acquisto esclusivo dell'immobile da parte della M;

in subordine, sussistenza del vizio di violazione di legge e difetto di motivazione, in relazione alla dichiarata sussistenza di donazione indiretta da parte di S B, posto che detta dichiarazione, in difetto di contestazione, comportava l'esclusivo l'acquisto dell'immobile in capo all'acquirente M;

in ulteriore subordine, essendo stato il bene acquistato in costanza di matrimonio, doveva considerarsi incluso nella comunione e, quindi, cadere in successione solo per la metà indivisa appartenente al de cuius, ex art. 179 c.c., comma 2, mancando nell'atto di compravendita, l'apposita dichiarazione della M circa la natura e la provenienza del denaro (art. 179 c.c., comma 1, lett. f) e conseguentemente circa l'esclusione del medesimo dalla comunione;

4) violazione e falsa applicazione dell'art. 1224 c.c.;
omessa e/o carente e/o contraddittoria e/o illogica motivazione circa un punto decisivo della controversia, con riferimento al mancato riconoscimento della rivalutazione monetaria, con decorrenza dalla data di esborso, sulla somma versata dalla M a titolo di prezzo dell'immobile sito in San Lorenzo in Banale.
Il ricorso è infondato.
I primi due motivi di ricorsi, da esaminasi congiuntamente per la loro evidente connessione, attengono a valutazioni di prove che il giudice di appello avrebbe omesso di esaminare;
al riguardo va rilevato, in aderenza alla giurisprudenza di questa Corte, che spetta al giudice di merito scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee ai fini del decidere, potendosi configurare, peraltro, il vizio di omessa motivazione solo se le risultanze processuali non valutate incidano sull'efficacia probatoria delle altre su cui è stato basata la decisione, facendo venir meno la "ratio decidendi" (Cass. n. 3004/2004;
n. 7058/2003
). Non ricorre, quindi, il vizio di omessa pronuncia dedotto, spettando alla Corte di legittimità solo il compito di controllare, sotto il profilo logico- giuridico, la motivazione del giudice di merito sulle prove poste a fondamento della decisione senza che le sia consentito riesaminare il merito della causa.
Orbene, la sentenza impugnata ha dato conto, con congrua e logica motivazione, che dalla documentazione bancaria acquisita e dalle dichiarazioni testimoniali del direttore della banca e della venditrice sig. D'Auria, risultava provato che il prezzo di acquisto dell'immobile in questione era stato pagato da S B, posto che i primi due assegni di L. 20.000.000 erano stati tratti sul conto corrente intestato al solo S B che, quindi, aveva così posto in essere una donazione indiretta a favore della moglie.
Quanto al pagamento del saldo del prezzo per L. 16.000.000, il giudice di appello ha evidenziato che il prestito, da parte del fratello della M, risultava contraddetto dal fatto che la venditrice D'Auria aveva riferito di aver ricevuto gli assegni dallo S sul cui conto risultava addebitata la somma di L. 16.000.000, sia pure alcuni giorni dopo la vendita.
Con riferimento alle altre censure il giudice di secondo cure ha ritenuto che la dichiarazione resa da S B nell'atto pubblico di vendita, in ordine all'acquisto dell'immobile con denaro della moglie, fosse smentita dalle prove suddette, attestanti che il prezzo dell'immobile acquistato dalla moglie era stato pagato dallo S con denaro proprio. A fronte di tale accertamento in fatto, riservato al giudice di merito, deve escludersi che a detta dichiarazione del donante possa attribuirsi valenza di confessione in favore del coniuge donatario, nel giudizio fra coeredi riguardante il conferimento nella massa ereditaria del bene donato, essendo i coeredi della M nella posizione di terzi estranei all'atto di donazione e dovendosi intendere per fatto sfavorevole al dichiarante e favorevole all'altra parte quello che, in concreto, è idoneo a produrre effetti giuridici sfavorevoli per colui che rende la dichiarazione, avuto riguardo all'oggetto della controversia che, nella specie, verte non sugli effetti della donazione nei rapporti fra coniugi, al fine di includere o meno il bene donato dalla comunione legale fra coniugi, ma sulla configurabilità di una donazione indiretta di un immobile e sulla sussistenza dei presupposti per il relativo conferimento nella massa ereditaria. Una volta esclusa dalla Corte territoriale la natura "comune" del denaro utilizzato dallo S per l'acquisto dell'immobile in base all'accertamento che il pagamento del prezzo era avvenuto mediante assegni tratti sul conto corrente intestato solo a S B, incombeva, comunque, alla M fornire elementi di prova sulla sussistenza della comunione legale con il coniuge ex art. 177 c.c., comma 1 in ordine alla somma versata per l'acquisto dell'immobile in
questione.
Va, infine, rigettata la doglianza sub 4), avendo il giudice di appello correttamente qualificato il credito della M per "la restituzione delle somme pagate in esecuzione di un contratto nullo", come debito di valuta e non di valore, stante la sua natura restitutoria e non risarcitoria, riconducibile alla "condictio indebiti" ex art. 2033 c.c. (cfr. Cass. n 5926/95;
n. 9910/03
). Alla stregua di quanto osservato il ricorso va rigettato. Consegue la condanna della ricorrente al pagamento della spese processuali del presente giudizio, liquidate come da dispositivo.

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