Cass. civ., sez. II, sentenza 19/04/2013, n. 9637
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L'errore di fatto previsto dall'art. 395, n. 4, cod. proc. civ., idoneo a costituire motivo di revocazione, consistendo in una falsa percezione della realtà, deve sostanziarsi in un'affermazione, positiva o negativa, di un fatto, in contrasto con le evidenze di causa; pertanto, ove il giudice abbia semplicemente ignorato un fatto, omettendo di esaminarne la prova, può configurarsi un vizio di motivazione e non il vizio revocatorio.
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. F F - Presidente -
Dott. M V - Consigliere -
Dott. B B - Consigliere -
Dott. B M - rel. est. Consigliere -
Dott. C A - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
S
sul ricorso proposto da:
Associazione professionale Studio Tecnico AZ, in persona dell'arch. P P, e P P, rappresentati e difesi per procura in calce al ricorso dagli Avvocati B A e G C, elettivamente domiciliati presso lo studio dell'Avvocato F B in Roma, via S. Maria Mediatrice n. 1;
- ricorrenti -
contro
Società Immobiliare Dragoni s.a.s., in persona del socio accomandatario Sig. D R, rappresentata e difesa per procura a margine del controricorso dall'Avvocato G G, elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, Via Maria Cristina n. 8;
- controricorrente -
e
B G R A e G G;
- intimati -
avverso le sentenze della Corte di appello di Perugia n. 88, depositata il 15 marzo 2006, e n. 135, depositata il 13 maggio 2002;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21 febbraio 2013 dal Consigliere relatore Dott. M B;
udite le difese svolte dagli Avv. G C e A B per i ricorrenti e dall'Avv. A G per la società controricorrente;
udite le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GOLIA Aurelio, che ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile o, in subordine, rigettato. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione del 1988 la società Immobiliare Dragoni propose opposizione la decreto ingiuntivo che le intimava di pagare alla Associazione professionale Studio Tecnico AZ la somma di L. 30.671.410 a saldo delle prestazioni fornite dagli arch. Macchia Giuliano, P P e Paolo Grez relative all'incarico sottoscritto in data 29 settembre 1986 di progettazione e di direzione dei lavori di restauro e di ristrutturazione di palazzo Dragoni di Spoleto. La società opponente dedusse ritardi ed inadempienze da parte dei professionisti, contestando tra l'altro la redazione del progetto esecutivo.
Il convenuto si costituirono in giudizio, assumendo di avere esattamente adempiuto a tutte le voci da loro indicate nella parcella.
Esaurita l'istruttoria anche mediante una consulenza tecnica d'ufficio, con sentenza del 1996 il Tribunale di Spoleto, accogliendo in parte i motivi di opposizione, revocò il decreto ingiuntivo e condannò la società opponente a pagare la minor somma di L. 18.088.607, oltre interessi.
Proposto appello principale dallo Studio Tecnico A.Z. ed incidentale dalla società Immobiliare, interrotto il processo per morte di Grez Paolo e riassunto nei confronti degli eredi, con sentenza n. 135 del 13 maggio 2002 la Corte di appello di Perugia riformò in parte la pronuncia di primo grado, condannando l'Associazione professionale e gli arch. G M e P P e G G, quale erede di Grez Paolo, alla restituzione in favore della controparte dell'importo di Euro 1.376,20. La Corte distrettuale, in particolare, respinse la domanda dei professionisti avente ad oggetto il pagamento del progetto esecutivo, assumendo che non solo non era stata dagli stessi fornita la prova che esso fosse stato elaborato e consegnato al Comune prima della risoluzione del rapporto, avvenuta il 5 settembre 1987, ma che in contrario deponevano elementi presuntivi, quali la circostanza che di tale lavoro non fosse stata fatta alcuna menzione in una lettera e nella relazione dell'arch. Macchia del 23 maggio 1987.
Con atto di citazione del 13 settembre 2002 l'Associazione Professionale Studio Tecnico AZ e gli arch. G M e P P chiesero la revocazione di questa sentenza, deducendo che essa era affetta da errore di fatto, ai sensi dell'art.395 cod. proc. civ., n. 4, per essere sfuggito al giudicante che due
documenti da loro prodotti in giudizio, rappresentati dalle tavole C e D contenenti il progetto esecutivo, portavano impressa la firma del sig. D, legale rappresentante della Immobiliare Dragoni, firma che testimoniava che il progetto era stato accettato dalla cliente e consegnato prima della risoluzione del rapporto. La Corte di appello, dopo aver disposto, su richiesta della parte istante, la sospensione del termine per proporre ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. 398 cod. proc. civ., comma 4, con sentenza n. 88 del 15 marzo 2006 rigettò la domanda di revocazione, assumendo che, attenendo l'errore prospettato ad un punto controverso che aveva formato oggetto di valutazione e di decisione da parte del giudice a quo, il vizio denunziato non aveva natura revocatoria, ma poteva dar luogo ad un mero vizio di motivazione, aggiungendo che, comunque, la sentenza impugnata aveva fondato il proprio convincimento non già sulla mancata firma per accettazione delle tavole recanti il progetto esecutivo bensì su una serie di altri elementi e circostanze e che lo stesso fatto che le tavole ove era apposta tale firma fossero quelle relative a tale progetto non era pacifica, avendo la controparte dedotto che esse si riferivano al progetto di restauro, per il quale i professionisti avevano visto riconosciuto un apposito compenso.
Con atto notificato il 9 febbraio 2007 l'Associazione professionale Studio Tecnico AZ e l'arch. P P in proprio ricorrono per la cassazione di entrambe le sentenze della Corte di appello di Perugia, quella n. 88 del 15 marzo 2006 e, in subordine, quella n. 135 del 13 maggio 2002, articolando nel complesso quattro motivi. Resiste con controricorso la società Immobiliare Dragoni. Bono Grez Anna Rosa e G G non hanno svolto attività difensiva.
Entrambe le parti costituite hanno depositato memoria. MOTIVI DELLA DECISIONE
Va preliminarmente esaminata l'eccezione sollevata dalla parte controricorrente di inammissibilità del ricorso per incertezza circa l'identità e la legittimazione del soggetto proponente. Sul punto il resistente deduce che nella causa di merito si era costituita l'Associazione professionale degli Arch. G M e P P, che la domanda di revocazione era stata avanzata dall'Associazione professionale Studio Tecnico AZ e dagli architetti G M e P P, mentre il ricorso risulta proposto dalla Associazione professionale Studio Tecnico AZ in persona di P P e da quest'ultimo in proprio. Queste varie denominazioni, suggerisce la resistente, sembrano indicare che sono intervenute variazioni nella denominazione o nella struttura di parte attrice, non debitamente documentate;in ogni caso, si aggiunge, vi sono soggetti che non hanno impugnato e non è dato di comprendere se la parte che ha proposto l'odierno ricorso sia legittimata ad impugnare entrambe le sentenze.
L'eccezione è infondata.
Il primo aspetto, che riguarda le differenze di denominazione utilizzate dalla dell'Associazione professionale nel corso del giudizio, appare invero irrilevante, una volta che si consideri che trattasi di differenze minime che non hanno mai ingenerato obiettive incertezze sulla identificazione del soggetto ricorrente. Con riferimento al secondo aspetto, che interessa la legittimazione ad agire in giudizio, l'eccezione appare invece infondata in quanto, diversamente da quello che sembra suggerire la parte ed in conformità con la giurisprudenza di questa Corte, va affermata la piena legittimazione degli Studi professionali, che sono associazioni non riconosciute, ad agire in giudizio anche a tutela dei crediti derivanti dalle prestazioni svolte dai loro associati, stante la previsione di cui art. 36 cod. civ., che rimanda all'ordinamento interno ed agli accordi tra gli associati il potere dell'associazione di stipulare contratti e di acquisire la titolarità di rapporti contrattuale (Cass. n. 15694 del 2011). Nel caso di specie tale titolarità risulta dalla stessa circostanza che, come emerge dalla narrazione del fatto esposta dalla stessa Corte di appello e dal ricorso e non contestata sul punto dalla controparte, il contratto per cui è causa venne stipulato direttamente dallo Studio professionale in nome e per conto dei propri associati. Passando all'esame del ricorso, il primo motivo denunzia la nullità della sentenza n. 88 del 2006 per violazione e falsa applicazione dell'art. 395 cod. proc. civ., n. 4 e artt. 2702 e 2735 cod. civ., e per insufficiente e/o contraddittoria motivazione, lamentando che la Corte di appello non abbia ritenuto la natura revocatoria dell'errore denunziato, laddove invece l'omessa considerazione della firma apposta dal legale rappresentante della controparte al progetto esecutivo aveva esercitato una indubbia rilevanza causale nel convincimento del giudicante. Sotto altro profilo la decisione impugnata viene censurata per avere escluso la natura revocatoria dell'errore per il semplice fatto che la sentenza impugnata aveva fondato la sua conclusione su altri argomenti e per avere posto in dubbio la stessa riferibilità delle tavole indicate al progetto esecutivo, in forza di una motivazione non adeguata e illogica ed in contrasto con le stesse risultanze della consulenza tecnica d'ufficio.
Il motivo è infondato.
La sentenza impugnata ha escluso la natura revocatoria dell'errore denunziato sulla base, tra l'altro, della argomentazione - che nel percorso motivazionale della decisione assume indubbiamente una posizione centrale - che l'errore denunziato non poteva essere assimilato ad un errore di fatto revocatorio dal momento che il giudice a quo non aveva mai affermato, ai fini della motivazione del proprio convincimento, che nelle tavole in questione, recanti a dire della ricorrente il progetto esecutivo, non risultava apposta la firma del legale rappresentante della società cliente. Questa argomentazione è corretta ed è di per sè sufficiente a giustificare la conclusione accolta in ordine alla inammissibilità della istanza di revocazione. L'errore revocatorio, com'è noto, consiste in una falsa percezione della realtà, in una svista obiettivamente e immediatamente rilevabile, la quale porta il giudice a motivare la sua decisione sulla base della affermazione dell'esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti e documenti di causa, o, al contrario, dell'inesistenza di un fatto decisivo che dagli atti o documenti stessi risulta positivamente accertato (Cass. n. 14267 del 2007;Cass. n. 7469 del 2007;Cass.n. 2713 del 2007). Ora, poiché l'errore revocatorio, quale errore di percezione, non può che sostanziarsi in un'affermazione del giudice che afferma o nega un certo fatto, in contrasto che le evidenze di causa, nel caso di specie esso è stato correttamente escluso dal momento che il giudice non si è affatto pronunciato sul fatto contestato, non avendo mai affermato che sulle tavole menzionate non risultava apposta la firma del cliente, ma ha semplicemente ignorato tale dato di fatto. Ne consegue che l'errore denunziato si traduce nella censura che il giudice, nel risolvere la questione di fatto controversa, avrebbe omesso di esaminare un elemento probatorio decisivo, errore che, per sua natura, può dar luogo ad un vizio di motivazione, ma non ad un vizio revocatorio.
Il secondo motivo di ricorso, che, come i successivi, investe la sentenza n. 135 del 2002, denunzia violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 cod. civ., ed omessa e comunque insufficiente motivazione su un fatto decisivo, lamentando che la Corte di appello, nel respingere la domanda dello Studio professionale di pagamento del compenso per il progetto esecutivo per mancanza di prova in ordine alla sua redazione e presentazione in costanza di rapporto, abbia omesso di considerare la firma apposta dal legale rappresentante della società immobiliare sulle tavole recanti il progetto medesimo. Sotto altro profilo si deduce la Corte avrebbe errato nel ritenere che tale progetto dovesse essere depositato presso gli uffici del Comune al fine di ottenere le autorizzazioni necessarie, essendo esso stato redatto esclusivamente ad uso degli esecutori materiali delle opere, sicché la sua redazione costituiva di per sè titolo per ottenere il relativo compenso.
Il motivo va accolto nei limiti sotto indicati.
In particolare è fondata la censura di vizio di motivazione della sentenza impugnata, tenuto conto che, risultando il punto controverso tra le parti proprio la redazione e consegna da parte dello Studio professionale del progetto esecutivo dei lavori durante la vigenza del rapporto, la dedotta circostanza che le tavole recanti tale progetto portavano la firma del cliente integra un elemento probatorio potenzialmente decisivo per dimostrare che la relativa prestazione era stata da questi accettata, con conseguente diritto del professionista al pagamento del compenso previsto. Il fatto che la Corte di appello non si sia pronunciata su tale circostanza, omettendo ogni valutazione al riguardo, integra pertanto un vizio di motivazione della sentenza idoneo a giustificarne la cassazione. Le altre censure e contestazioni sollevate con il secondo motivo, così come gli altri due motivi di ricorso, che denunziano, rispettivamente, la violazione e falsa applicazione dell'art. 2223 cod. civ., in relazione alla L. 2 marzo 1949, n. 143, art. 10,
contenente la tariffa professionale, e dell'art. 2697 cod. civ. e artt. 115 e 116 cod. proc. civ., nonché vizio di motivazione, si dichiarano assorbiti.
La sentenza impugnata va pertanto cassata in relazione al secondo motivo, con rinvio della causa alla Corte di appello di Firenze. Merita peraltro precisare, avuto riguardo alle ragioni della cassazione, che il giudice di rinvio, nel decidere la controversia, dovrà provvedere ad accertare la presenza della sottoscrizione nel documento indicato e la sua riferibilità al legale rappresentante della società Immobiliare Dragoni e anche l'effettivo contenuto ed oggetto di tale documento, vale a dire se esso conteneva la redazione del progetto esecutivo dei lavori, ferma in ogni caso la sua competenza, quale giudice del fatto, in ordine alla valutazione di tali elementi ai fini della ricostruzione della vicenda per cui è causa e della sua decisione.
Il giudice di rinvio provvederà, infine, alla liquidazione delle spese di giudizio.