Cass. civ., sez. I, sentenza 04/03/2015, n. 4386
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In tema di tutela del marchio, l'attitudine dei beni a soddisfare le medesime esigenze di mercato, da cui dipende l'affinità tra prodotti contraddistinti da marchi simili ai fini del giudizio di confondibilità tra gli stessi, consiste nella circostanza che i beni o i prodotti siano ricercati ed acquistati dal pubblico in forza di motivazioni identiche, o strettamente correlate, tali per cui l'affinità funzionale esistente tra quei beni o prodotti e tra i relativi settori merceologici induca il consumatore a ritenere che essi provengono dalla medesima fonte produttiva, indipendentemente dall'eventuale uniformità dei canali di commercializzazione. L'identità delle esigenze non può tuttavia essere ancorata a criteri eccessivamente generici (quali l'esigenza di vestirsi, sfamarsi, dissetarsi, leggere, etc.), rischiandosi altrimenti di smarrire il nesso che, anche secondo nozioni di comune esperienza, deve potersi presumere esistente tra la coincidenza dei bisogni cui quei beni sono preordinati e l'unicità della loro fonte di provenienza, che costituisce la vera ragione di tutela del marchio. (Nella specie, la corte territoriale aveva ritenuto sussistere affinità tra il catalogo "Metro", contenente l'elencazione dei prodotti messi in vendita nei relativi magazzini, e l'omonimo giornale quotidiano a diffusione gratuita, contenente, oltre ad inserzioni pubblicitarie, articoli di cronaca ed altro, senza che fosse stato analizzato il pubblico di riferimento e il tipo di bisogno da soddisfare, né valutata la prevalenza della funzione informativa rispetto a quella pubblicitaria).
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. C A - Presidente -
Dott. R V - rel. Consigliere -
Dott. G F A - Consigliere -
Dott. M G - Consigliere -
Dott. N L - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 3237/2007 proposto da:
TIDNINGS AB METRO, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SALLUSTIANA 26, presso l'avvocato T G, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato P S, giusta procura a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
METRO ITALIA CASH & CARRY S.P.A., METRO CASH & CARRY SERVICES LTD., PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI TORINO, MINISTERO DELLE ATTIVITÀ PRODUTTIVE - UFFICIO ITALIANO BREVETTI E MARCHI;
- intimati -
sul ricorso 7399/2007 proposto da:
METRO ITALIA CASH AND CARRY S.P.A. (p.i. 02827030962), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VICOLO DELL'ORO 24, presso l'avvocato R C, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato F G, giusta procura in calce al controricorso e ricorso incidentale condizionato;
- controricorrente e ricorrente incidentale -
contro
TIDNINGS AB METRO, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SALLUSTIANA 26, presso l'avvocato GIANLUIGI TOSATO, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato P S, giusta procura a margine del ricorso principale;
- controricorrente al ricorso incidentale -avverso la sentenza n. 1976/2005 della CORTE D'APPELLO di TORINO, depositata il 06/12/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/01/2015 dal Consigliere Dott. VITTORIO RAGONESI;
udito, per la ricorrente, l'Avvocato IPPOLITO GIULIO, con delega, che ha chiesto, preliminarmente la riunione ad altro ricorso, e l'accoglimento del ricorso;
uditi, per la controricorrente e ricorrente incidentale, gli Avvocati COEN ROBERTO e TORNATO ALBERTO (con delega), che hanno chiesto il rigetto dell'istanza di riunione e rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SALVATO Luigi, che ha concluso, preliminarmente per il rigetto dell'istanza di riunione ad altro ricorso, e per il rigetto del ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale condizionato. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Metro International DL AG e la Metro Italia Cash and Carry s.p.a., entrambe facenti parte del gruppo Metro, operante nel settore della distribuzione mediante grandi magazzini di vendita self-service all'ingrosso sotto l'insegna "- M.E.T.R.O. -", la prima titolare, la seconda licenziataria del relativo marchio denominativo registrato in Italia il 9.1.1990 al n.581192, con rivendicazione estesa, ex multis, alla classe merceologica 16, includente periodici e giornali quotidiani, agivano innanzi al Tribunale di Torino nei confronti Tidnings AB Metro, soc. svedese, affinché fossero dichiarati nulli, per difetto del requisito di novità ai sensi del R.D. 21 giugno 1942, n. 929, art. 1, art. 17, lett. c) e d) e art. 47, lett. a), i
marchi "METRO", registrati dalla soc. convenuta il 24.4.1996 ai nn. 744959 e 744956, l'uno denominativo, l'altro anche figurativo, rivendicati per la stessa classe 16. Domandava, altresì, la pronuncia di contraffazione e la condanna generica della Tidnings AB Metro al risarcimento dei danni per concorrenza sleale, con provvisionale ex art. 66 legge marchi, nonché la pubblicazione della sentenza sui quotidiani "Il Corriere della sera" e "Il Giornale". A sostegno della domanda deduceva di produrre, fra l'altro, anche periodici pubblicitari dei prodotti messi in vendita nei suoi magazzini all'ingrosso.
La Tidnings AB Metro, premesso di pubblicare, sotto la testata "Metro" (la lettera "o" espressa graficamente mediante la raffigurazione di un globo) un giornale quotidiano di informazione, attualità ed altro, distribuito gratuitamente nelle grandi città all'interno delle reti di trasporto pubblico, negava sia l'identità del marchio, sia l'affinità del prodotto, e quindi la confondibilità dei marchi in questione, sia, infine, la possibilità di una tutela ultramerceologica del segno dalle soc. attrici. Chiedeva, quindi, il rigetto della domanda e, in via riconvenzionale, la declaratoria di decadenza, ex art. 42, comma R.D. cit., del marchio "- M.E.T.R.O. -" limitatamente ai prodotti per l'informazione, quali i quotidiani, per non uso nel quinquennio dalla registrazione.
In corso di causa interveniva la Metro Cash & Service Ldt, con sede in Dublino, quale cessionaria del marchio "- M.E.T.R.O. -", facendo proprie le domande proposte dalle società attrici.
Con sentenza depositata il 27.1.2004 il Tribunale dichiarava la contraffazione del marchio "Metro" ad opera della Tidnings AB Metro, la nullità dei marchi di quest'ultima, inibendone l'uso, e condannava la soc. convenuta a distruggere i prodotti recanti il marchio Metro, disponendo, altresì la pubblicazione della sentenza sulla stampa quotidiana, così come richiesta. Rigettava, invece, la domanda di danni e di accertamento della concorrenza sleale. Il giudice di prime cure riteneva evidente l'identità dei marchi in oggetto sotto il profilo denominativo, fonetico e concettuale. Ciò posto, i marchi in questione non solo contraddistinguevano prodotti appartenenti alla medesima lasse merceologica, ma altresì erano impiegati su prodotti rientranti nel genere degli stampati, poiché anche le soc. attrici realizzavano, stampavano e diffondevano un periodico denominato "Metro", dal contenuto pubblicitario (irrilevante la sua distribuzione in omaggio), e dal 2001 anche un giornale, "Metro club post", avente ad oggetto temi di attualità e interesse generale, notizie e cronaca, di talché non era neppure necessario dedurre o provare il rischio di confusione. Osservava, quindi, richiamando la giurisprudenza di merito in materia, che l'uso del marchio da parte del titolare per (classi di) prodotti registrati precludeva la dichiarazione di decadenza parziale con riferimento ai prodotti legati al primo da una relazione di affinità. Dunque, il fatto che il marchio "- M.E.T.R.O. -" non fosse stato utilizzato per contraddistinguere dei quotidiani non era decisivo, poiché a tale ultimo prodotto non può essere attribuita una reale autonomia merceologica all'interno della categoria degli "stampati", per cui non poteva darsi decadenza parziale essendo stato adoperato il marchio per altro tipo di stampato.
Quanto alla domanda di risarcimento del danno ai sensi dell'art.66 legge marchi, rilevava la mancata prova di un effettivo pregiudizio e l'omessa allegazione di parametri valutativi.
Escludeva, infine, l'ipotesi di concorrenza sleale, ex art. 2598 c.c., non essendovi una reale situazione di concorrenza tra il
titolare del segno imitato e il soggetto imitatore.
Avverso tale pronuncia la Tidnings AB Metro proponeva appello, innanzi alla Corte d'appello di Torino, con citazione notificata il 23.3.2004.
Resisteva la sola Metro Italia Cash and Carry s.p.a., nelle more divenuta (da licenziataria) cessionaria del marchio, la quale proponeva impugnazione incidentale in ordine al rigetto della domanda di danni.
Dichiarata la contumacia della Metro Cash and Carry Services Ldt., con sentenza 8.11/6.12.2005 la Corte d'Appello di Torino respingeva l'appello principale e, in accoglimento dell'appello incidentale e perciò in parziale riforma della sentenza impugnata, condannava la Tidnings al risarcimento dei danni da liquidarsi in separato giudizio a favore della Metro Italia Cash and Carry S.p.A..
Contro tale sentenza la Tidnings AB Metro ha proposto il ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi ai quali resiste con controricorso e ricorso incidentale condizionato la Metro Italia cash and carry.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Va preliminarmente rigettata l'istanza di riunione avanzata nella memoria della ricorrente non ricorrendo i requisiti di cui all'art. 274 c.p.c.. Con il primo motivo la ricorrente si duole che la Corte d'Appello di Torino abbia qualificato come identici i marchi in conflitto postulando erroneamente una equivalenza fra la perfetta identità ed una diversità di valenza differenziatrice ritenuta praticamente nulla. La ricorrente si duole peraltro che la diversità sia stata fatta consistere unicamente nella interpunzione trascurando altre diversità pur in fatto accertate ed in particolare quella grafica costituita dal fatto che la lettera "o" nella testata del giornale è espressa mediante la raffigurazione di un globo.
Il motivo è infondato.
In realtà i giudici di merito hanno rilevato che il segno Metro della ricorrente era identico al marchio Metro della resistente essendo differenziato soltanto dai segni di interpunzione dopo ogni lettere.
Ciò comportava che a livello visivo e fonetico oltre che concettuale, i due marchi erano identici.
Tale motivazione appare del tutto adeguata e logicamente corretta avendo la Corte d'appello escluso che un diversa forma grafica potesse costituire elemento di differenziazione tra i due segni tale da evitare un pericolo di confusione tra gli stessi.
La Corte d'appello ha dato rilevanza predominante nella sua valutazione alla identità fonetica dei due segni ritenuta elemento imprescindibile di identità degli stessi.
Trattasi di valutazione di merito che non risulta sindacabile in questa sede di legittimità.
La ricorrente lamenta inoltre che non si sia tenuto conto del fatto che la lettera O del proprio segno era espressa graficamente mediante la raffigurazione di un globo.
Tale doglianza è inammissibile dal momento che la ricorrente avrebbe dovuto dedurre, in osservanza del principio di autosufficienza del ricorso, di avere riproposto tale aspetto con l'atto di appello trascrivendo nel ricorso il brano ove tale questione veniva proposta. In assenza di tale adempimento la questione deve ritenersi nuova e non proponibile in questa sede.
In ogni caso la doglianza sarebbe infondata in ragione della già menzionata predominanza fonetica posta dalla Corte d'appello a fondamento della valutazione della somiglianzà dei segni. Con il secondo motivo la ricorrente si duole che la Corte d'Appello di Torino non abbia considerato precluso dal giudicato interno formatosi per la mancata impugnazione del rigetto da parte del giudice di primo grado della domanda di sleale concorrenza, l'accertamento della cosiddetta "affinità ristretta" dei prodotti contraddistinti con i marchi in conflitto. Sostiene infatti la ricorrente che, non avendo Metro Cash and Carry raggiunto la prova della concorrenza prossima tra gli imprenditori in lite, ed essendosi formato un giudicato interno a questo riguardo, non poteva essere introdotto nella causa d'appello l'accertamento relativo alla "affinità ristretta" fra i prodotti contraddistinti dai marchi in conflitto.
Il motivo è infondato.
In primo luogo risulta dalle conclusioni delle allora appellate che esse avevano insistito per la domanda di concorrenza sleale. A prescindere da ciò, la sentenza di primo grado aveva escluso l'ipotesi di concorrenza sleale non già per l'insussistenza di affinità dei prodotti bensì sostenendo che la contraffazione del marchio non costituiva di per sè concorrenza sleale, sussistendo quest'ultima solo se ricorrevano le condizioni di cui all'art. 2598 c.c., nella specie non presenti non sussistendo una situazione di
concorrenza tra il titolare del segno imitato e l'imitatore. È appena il caso di rammentare a tale proposito che l'autorità del giudicato sostanziale opera solo entro i rigorosi limiti degli elementi costitutivi dell'azione, e presuppone che tra la causa precedente e quella in atto vi sia identità di soggetti, oltre che di "petitum" e "causa petendi". (Cass. 15222/05;
Cass.