Cass. civ., sez. III, sentenza 18/09/2009, n. 20106
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La concessione di vendita è un contratto atipico avente natura di contratto normativo, dal quale deriva l'obbligo per il concessionario sia di promuovere la stipulazione di singoli contratti di compravendita, sia di concludere contratti di puro trasferimento dei prodotti, alle condizioni fissate nell'accordo iniziale. Tale contratto differisce da quello di agenzia perché in esso la collaborazione tra concedente e concessionario, pur prevista, non assurge ad elemento determinante.
Si ha abuso del diritto quando il titolare di un diritto soggettivo, pur in assenza di divieti formali, lo eserciti con modalità non necessarie ed irrispettose del dovere di correttezza e buona fede, causando uno sproporzionato ed ingiustificato sacrificio della controparte contrattuale, ed al fine di conseguire risultati diversi ed ulteriori rispetto a quelli per i quali quei poteri o facoltà furono attribuiti. Ricorrendo tali presupposti, è consentito al giudice di merito sindacare e dichiarare inefficaci gli atti compiuti in violazione del divieto di abuso del diritto, oppure condannare colui il quale ha abusato del proprio diritto al risarcimento del danno in favore della controparte contrattuale, a prescindere dall'esistenza di una specifica volontà di nuocere, senza che ciò costituisca una ingerenza nelle scelte economiche dell'individuo o dell'imprenditore, giacché ciò che è censurato in tal caso non è l'atto di autonomia negoziale, ma l'abuso di esso (in applicazione di tale principio, è stata cassata la decisione di merito la quale aveva ritenuto insindacabile la decisione del concedente di recedere ad nutum dal contratto di concessione di vendita, sul presupposto che tale diritto gli era espressamente riconosciuto dal contratto).
I princìpi di correttezza e buona fede nell'esecuzione e nell'interpretazione dei contratti, di cui agli artt. 1175, 1366 e 1375 cod. civ., rilevano sia sul piano dell'individuazione degli obblighi contrattuali, sia su quello del bilanciamento dei contrapposti interessi delle parti. Sotto il primo profilo, essi impongono alle parti di adempiere obblighi anche non espressamente previsti dal contratto o dalla legge, ove ciò sia necessario per preservare gli interessi della controparte; sotto il secondo profilo, consentono al giudice di intervenire anche in senso modificativo o integrativo sul contenuto del contratto, qualora ciò sia necessario per garantire l'equo contemperamento degli interessi delle parti e prevenire o reprimere l'abuso del diritto.
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. V M - Presidente -
Dott. F N - Consigliere -
Dott. U G - rel. Consigliere -
Dott. V R - est. Consigliere -
Dott. L R - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 10065-2005 proposto da:
ALIBRANDI GIANCARLO, SPAGNOLI ANDREA, in qualità di cessionari di tutti i diritti e crediti della NOVA AUTO S.R.L., NUOVA BOB CAR SRL nella persona del cessionario del credito e della posizione, ossia As.Con. Rev. nella persona del suo Presidente STRACCIARI ANTONELLA, RENÒ CAR S.R.L. in liquidazione nella persona del suo Liquidatore legale rappresentante pro tempore G MRIO, LUIGINO ROSSI &C SNC in persona del suo legale rappresentante pro tempore, dott. R LUIGINO, MAGGIORE BRUNO quale cessionario di tutti i diritti e crediti della RECAR SRL, AUTOMOBILI TRIVELLATO DI GRAZIANO TRIVELLATO &C SNC, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, TRIVELLATO GRAZIANO, TURBO CAR SRL in persona del suo legale rappresentante pro tempore, sign. RI EDGARDO, ASSOCIAZIONE CONCESSIONARI REVOCATI nella persona del suo Presidente STRACCIARI ANTONELLA, AUTOFRANCE SNC in persona del suo legale rappresentante pro-tempore REGGIANI ANDREA, AUTOMIL &C SAS in persona del suo legale rappresentante pro tempore sig. MILANESE LUIGI, AUTO TIRRENA SNC in persona del suo legale rappresentante pro tempore ANGELO SIAS, BACCARANI ERIO quale cessionario dei diritti della BACCARANI ERIO &C SAS, BARTOLI AUTO SRL in persona del suo legale rappresentante pro tempore BARTOLI GIULIANO, CORDIOLI SRL in persona del suo legale rappresentante pro tempore CORDIOLI GIOVANNI, COSSETTI &VATTA SNC IN LIQUIDAZIONE nelle persone dei suoi legali rappresentanti pro tempore, COSSETTI GIANBATTISTA E VATTA FRANCA, EUGENIO FERRARI SRL nella persona del suo legale rappresentante pro tempore, FERRARI GIUSEPPE, GIULIANI VIRGILIO DITTA (già Giuliani Auto &C. S.r.l.) nella persona del legale rappresentante pro tempore sig. GIULIANI VIRGILIO, GIBIAUTO SRL nella persona del suo legale rappresentante pro tempore, OLDANI MARIO, FALLIMENTO GREEN CAR SRL nella persona del suo curatore legale rappresentante pro tempore, Dott. SILVANO TOSITTI, GROVER SRL nella persona del suo legale rappresentante pro tempore GROSSI NICOLA, LIQUIDAUTO SRL IN LIQUIDAZIONE (già P. Di Giacomo s.r.l.) nella persona del suo legale rappresentante pro tempore Sig.ra ADIPIETRO EMMA, FRATELLI MELONI SNC nella persona del suo legale rappresentante pro tempore, Sig. MORENO MELONI, FRANCESCO MENABUE &C SNC nella persona del suo legale rappresentante pro tempore, Sig. LEARCO MENABUE, LERMA DANIELE quale cessionario dei diritti di New Cars S.r.l. in liquidazione, elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA PRATI DEGLI STROZZI 30, presso lo studio dell'avvocato MOLFESE FRANCESCO, che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato GALGANO FRANCESCO;come da separate procure speciali;
- ricorrenti -
contro
RENAULT ITALIA SPA;
- intimati -
sul ricorso 13817-2005 proposto da:
RENAULT ITALIA SPA, in persona del suo legale rappresentante pro tempore Signor Philippe DAUGER, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA NIZZA 59, presso lo studio dell'avvocato BATTAGLIA EMILIO, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato DI AMATO ASTOLFO per delega a margine del controricorso con ricorso incidentale;
- ricorrente -
contro
ASS CONCESSIONARI REVOCATI, AUTOFRANCE SNC, AUTOMIL &C SAS, AUTO TIRRENA SNC, BECCARINI ERIO, BARTOLI AUTO SRL, CORDIOLI SRL, COSSETTI &VATTA SNC IN LIQ, ING EUGENIO FERRARI SRL, GIULIANI VIRGILIO DITTA, GIBIAUTO SRL, FALL GREEN CAR SRL, GROVER SRL, LIQUIDAUTO SRL IN LIQ, F.LLI MELONI SNC, FRANCESCO MENABUE &C SNC, LERMA DANIELE, ALIBRANDI GIANCARLO, SPAGNOLI ANDREA, NUOVA BOB CAR SRL, MAGGIORE BRUNO, RENÒ CAR SRL IN LIQ, LUIGINO ROSSI &C SNC, SOMA SPA, FALL SUPERCAR SRL, AUTOMOBILI TRIVELLATO DI GRAZIANO TRIVELLATO &C SNC, TURBO CAR SRL;
- intimati -
avverso la sentenza n. 136/2005 della CORTE D'APPELLO di ROMA, Sezione 11 Civile emessa il 28/09/2004, depositata il 13/01/2005;
R.G.N. 6835/2002.
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/06/2009 dal Consigliere Dott. G U;
udito l'Avvocato F G;
udito l'Avvocato E B;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. D C che ha chiesto il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Tra il 1992 ed il 1996 gli attuali ricorrenti, tutti ex concessionari della Renault Italia spa, furono revocati dalla stessa società, sulla base della facoltà di recesso ad nutum previsto dall'art. 12 del contratto di concessione di vendita.
Poiché in tale condotta fu ravvisato un comportamento abusivo, e comunque illecito da parte della Renault Italia spa, fu fondata la Associazione Concessionari Revocati, con lo scopo di "programmare, provvedere, sviluppare, organizzare, gestire ogni iniziativa ed attività idonea alla tutela e difesa, nonché alla rappresentanza, dei diritti dei Concessionari d'auto revocati dalle case automobilistiche (concessionari) aventi sede nel territorio italiano".
L'Associazione ed i concessionari revocati convenivano, quindi, la Renault Italia spa davanti al tribunale di Roma, allo scopo di ottenere la declaratoria di illegittimità del recesso per abuso del diritto, e la conseguente condanna della Renault Italia spa al risarcimento dei danni subiti per effetto dell'abusivo recesso. Renault Italia spa si costituiva chiedendo il rigetto della domanda, con la condanna alle spese.
Il tribunale, con sentenza in data 11.6.2001, rigettava la domanda compensando le spese.
Ad eguale conclusione perveniva la Corte d'Appello che, con sentenza del 13.1.2005, rigettava gli appelli proposti dall'Associazione e dai concessionari, che condannava al pagamento delle spese. Riteneva, in particolare, la Corte di merito che la previsione del recesso ad nutum in favore della Renault Italia rendesse superfluo ogni controllo causale sull'esercizio di tale potere. Hanno proposto ricorso principale per cassazione affidato a cinque motivi illustrati da memoria i soggetti indicati in epigrafe. Resiste con controricorso la Renault Italia spa che ha, anche, proposto ricorso incidentale affidato ad un motivo. MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, i ricorsi - principale ed incidentale - vanno riuniti ai sensi dell'art. 335 c.p.c.. Ricorso principale.
Con il primo motivo i ricorrenti principali denunciano la violazione e falsa applicazione dell'art. 216 c.p.c. in relazione all'art. 158 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 4).
Sostengono che la sentenza impugnata sia affetta da nullità per vizi relativi alla costituzione del giudice, vale a dire per "mancanza di collegialità nella decisione testimoniata dal fatto che la sentenza impugnata risulta estesa il 28 settembre 2004, ossia molto prima che fosse tenuta la camera di consiglio del 12 ottobre 2004". Il motivo non è fondato.
L'apposizione in calce alla sentenza della data del 28 settembre 2004, invece di quella del 12 ottobre 2004 (data in cui si è tenuta la camera di consiglio) risulta frutto di un semplice errore materiale, posto che - come risulta dagli atti - nella data del 28 settembre 2004 la Corte di merito si era già riunita in camera di consiglio per l'esame dell'appello.
Peraltro, l'errore materiale commesso è stato emendato attraverso il procedimento di correzione ex artt. 287 e 288 c.p.c., con ordinanza emessa in data 25.5.2005 - a seguito di scioglimento della riserva adottata all'udienza collegiale del 24.5.2005 - del seguente tenore " corregge la sentenza della Corte di Appello di Roma n. 136 depositata il 13 gennaio 2005 nel senso che dove è scritto, alla fine della sentenza e dopo la parola Roma, "28 settembre 2004" deve intendersi scritto "12 ottobre 2004", disponendo che la cancelleria effettui l'annotazione di rito".
La correzione così effettuata rende inammissibile la censura, posto che i ricorrenti non denunciano la correttezza del procedimento adottato, di correzione dell'errore materiale contenuto nella sentenza impugnata.
Con il secondo motivo denunciano la violazione e falsa applicazione delle clausole generali della buona fede, ed in particolare sulla pretesa insindacabilità degli atti di autonomia privata e della conseguente non applicabilità della figura dell'abuso del diritto all'esercizio del recesso ad nutum (art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione agli artt. 1175 e 1375 c.c.). Con il terzo motivo denunciano la violazione e falsa applicazione dell'art. 2043 c.c.;contraddittorietà della motivazione sul punto (art. 360 c.p.c., n. 5). Con il quarto motivo denunciano la violazione e falsa applicazione delle disposizioni sull'agenzia ed errata valutazione della giurisprudenza tedesca in materia (art. 360 c.p.c., n. 3). Il secondo, terzo e quarto motivo, investendo profili che si presentano connessi in ordine alle questioni prospettate, vanno esaminati congiuntamente.
Essi sono fondati, nei limiti di cui in motivazione, per le ragioni che seguono.
Costituiscono principii generali del diritto delle obbligazioni quelli secondo cui la parti di un rapporto contrattuale debbono comportarsi secondo le regole della correttezza (art. 1175 c.c.) e che l'esecuzione dei contratti debba avvenire secondo buona fede (art. 1375 c.c.). In tema di contratti, il principio della buona fede oggettiva, cioè della reciproca lealtà di condotta, deve presiedere all'esecuzione del contratto, così come alla sua formazione ed alla sua interpretazione ed, in definitiva, accompagnarlo in ogni sua fase (Cass. 5.3.2009 n. 5348;Cass. 11.6.2008 n. 15476). Ne consegue che la clausola generale di buona fede e correttezza è operante, tanto sul piano dei comportamenti del debitore e del creditore nell'ambito del singolo rapporto obbligatorio (art. 1175 cod. civ.), quanto sul piano del complessivo assetto di interessi
sottostanti all'esecuzione del contratto (art. 1375 cod. civ.). I principii di buona fede e correttezza, del resto, sono entrati, nel tessuto connettivo dell'ordinamento giuridico.
L'obbligo di buona fede oggettiva o correttezza costituisce, infatti, un autonomo dovere giuridico, espressione di un generale principio di solidarietà sociale, la cui costituzionalizzazione è ormai pacifica (v. in questo senso, fra le altre, Cass. 15.2.2007 n. 3462). Una volta collocato nel quadro dei valori introdotto dalla Carta costituzionale, poi, il principio deve essere inteso come una specificazione degli "inderogabili doveri di solidarietà sociale" imposti dall'art. 2 Cost., e la sua rilevanza si esplica nell'imporre, a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra, a prescindere dall'esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge. In questa prospettiva, si è pervenuti ad affermare che il criterio della buona fede costituisce strumento, per il giudice, atto a controllare, anche in senso modificativo od integrativo, lo statuto negoziale, in funzione di garanzia del giusto equilibrio degli opposti interessi.
La Relazione ministeriale al codice civile, sul punto, così si esprimeva: (il principio di correttezza e buona fede) "richiama nella sfera del creditore la considerazione dell'interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all'interesse del creditore", operando, quindi, come un criterio di reciprocità. In sintesi, disporre di un potere non è condizione sufficiente di un suo legittimo esercizio se, nella situazione data, la patologia del rapporto può essere superata facendo ricorso a rimedi che incidono sugli interessi contrapposti in modo più proporzionato. In questa ottica la clausola generale della buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c. è stata utilizzata, anche nell'ambito dei diritti di credito, per scongiurare, per es. gli abusi di posizione dominante. La buona fede, in sostanza, serve a mantenere il rapporto giuridico nei binari dell'equilibrio e della proporzione.
Criterio rivelatore della violazione dell'obbligo di buona fede oggettiva è quello dell'abuso del diritto.
Gli elementi costitutivi dell'abuso del diritto - ricostruiti attraverso l'apporto dottrinario e giurisprudenziale - sono i seguenti: 1) la titolarità di un diritto soggettivo in capo ad un soggetto;2) la possibilità che il concreto esercizio di quel diritto possa essere effettuato secondo una pluralità di modalità non rigidamente predeterminate;3) la circostanza che tale esercizio concreto, anche se formalmente rispettoso della cornice attributiva di quel diritto, sia svolto secondo modalità censurabili rispetto ad un criterio di valutazione, giuridico od extragiuridico;4) la circostanza che, a causa di una tale modalità di esercizio, si verifichi una sproporzione ingiustificata tra il beneficio del titolare del diritto ed il sacrifico cui è soggetta la controparte. L'abuso del diritto, quindi, lungi dal presupporre una violazione in senso formale, delinea l'utilizzazione alterata dello schema formale del diritto, finalizzata al conseguimento di obiettivi ulteriori e diversi rispetto a quelli indicati dal Legislatore. È ravvisabile, in sostanza, quando, nel collegamento tra il potere di autonomia conferito al soggetto ed il suo atto di esercizio, risulti alterata la funzione obiettiva dell'atto rispetto al potere che lo prevede.
Come conseguenze di tale, eventuale abuso, l'ordinamento pone una regola generale, nel senso di rifiutare la tutela ai poteri, diritti e interessi, esercitati in violazione delle corrette regole di esercizio, posti in essere con comportamenti contrari alla buona fede oggettiva.
E nella formula della mancanza di tutela, sta la finalità di impedire che possano essere conseguiti o conservati i vantaggi ottenuti - ed i diritti connessi - attraverso atti di per sè strutturalmente idonei, ma esercitati in modo da alterarne la funzione, violando la normativa di correttezza, che è regola cui l'ordinamento fa espresso richiamo nella disciplina dei rapporti di autonomia privata.
Nel nostro codice non esiste una norma che sanzioni, in via generale, l'abuso del diritto.
La cultura giuridica degli anni '30 fondava l'abuso del diritto, piu' che su di un principio giuridico, su di un concetto di natura etico morale, con la conseguenza che colui che ne abusava era considerato meritevole di biasimo, ma non di sanzione giuridica. Questo contesto culturale, unito alla preoccupazione per la certezza - o quantomeno prevedibilità del diritto -, in considerazione della grande latitudine di potere che una clausola generale, come quella dell'abuso del diritto, avrebbe attribuito al giudice, impedi che fosse trasfusa, nella stesura definitiva del codice civile italiano del 1942, quella norma del progetto preliminare (art. 7) che proclamava, in termini generali, che "nessuno può esercitare il proprio diritto in contrasto con lo scopo per il quale il diritto medesimo gli è stato riconosciuto" (così ponendosi l'ordinamento italiano in contrasto con altri ordinamenti, ad es. tedesco, svizzero e spagnolo);preferendo, invece, ad una norma di carattere generale, norme specifiche che consentissero di sanzionare l'abuso in relazione a particolari categorie di diritti.
Ma, in un mutato contesto storico, culturale e giuridico, un problema di così pregnante rilevanza è stato oggetto di rimeditata attenzione da parte della Corte di legittimità (v. applicazioni del principio in Cass.