Cass. civ., sez. II, sentenza 26/04/2005, n. 8575

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Poichè il deferimento di una controversia al giudizio degli arbitri comporta una deroga alla giurisdizione ordinaria, in caso di dubbio in ordine all'interpretazione della portata della clausola compromissoria, deve preferirsi un'interpretazione restrittiva di essa e affermativa della giurisdizione statuale. (Nella specie la Corte Cass. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso che contenesse la previsione di un arbitrato rituale una clausola contrattuale che aveva previsto una soluzione extragiudiziale della controversia - di natura tecnica ed affidata in prima battuta ai rispettivi tecnici - per le sole vertenze relative alle modalità d'esecuzione delle opere oggetto del contratto d'appalto).

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. II, sentenza 26/04/2005, n. 8575
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 8575
Data del deposito : 26 aprile 2005
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. V A - Presidente -
Dott. D J R - Consigliere -
Dott. C V - Consigliere -
Dott. M D C L - rel. Consigliere -
Dott. T F - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SNTENZA
sul ricorso proposto da:
LENA COSTRUZIONI SPA in liquidazione, in persona del liquidatore pro tempore F L, elettivamente domiciliato in

ROMA VIALE MAZZINI

134, presso lo studio dell'avvocato I F, difeso dall'avvocato PERRICONE SRGIO, giusta delega in atti;



- ricorrente -


contro
DARA GAETANA, GIOIA COSIMO, GIOIA ANNA, GIOITI GABRIELE, GIOIA LUCINA, tutti in qualità di eredi di GIOIA GIOVANNI: PIRICÒ MARIA PIA, in proprio e nella qualità di esercente la potestà sui minori ANNA GIOIA, GIOVANNI GIOIA, ANTONIO GIOIA, COSIMO GIOIA: tutti nella qualità di eredi di GIOIA GIAMMARCO, domiciliati ex lege a ROMA PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE di CASSAZIONE, difesi dall'avvocato A F giusta delega in atti;

- controricorrenti con due separati controricorsi - avverso la sentenza n. 1104/01 della Corte d'Appello di PALERMO, depositata il 12/12/01;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 11/02/05 dal Consigliere Dott. Lucio MAZZIOTTI DI CELSO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SCARDACCIONE

Eduardo Vittorio che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto notificato il 30/5/1988 G Gioia conveniva in giudizio s.p.a. L Cruzioni alla quale esso attore aveva commesso, con contratto di appalto del 9/10/1986. le opere di completamento di tre villette site in Palermo. Il Gioia deduceva che l'impresa appaltatrice si era impegnata a realizzare le opere commesse in conformità alla rilasciata concessione edilizia ed al successivo approvato progetto di variante, concessione e varianti che erano state richieste dalla stessa L Cruzioni la quale si era altresì impegnata a sostenere i relativi oneri nonché ad ultimare tutte le opere nel termine di sei mesi dalla data della concessione edilizia, il corrispettivo dell'appalto era stato determinato in complessive L. 930.000.000 già interamente versate. Poiché la convenuta non aveva rispettato il previsto termine di consegna il Gioia chiedeva la risoluzione del contratto ed il risarcimento del danno subito per l'inadempimento della controparte nonché la restrizione delle somme erogate in eccedenza rispetto alle opere di fatto eseguite.
La s.p.a. L Cruzioni, costituitasi, eccepiva l'incompetenza del giudice adito in quanto le parti, con apposita clausola negoziale, avevano affidato la risoluzione di ogni controversia derivante dal contratto di appalto ad un istituendo collegio arbitrale. Nel merito la convenuta sosteneva l'infondatezza della domanda proposta dal Gioia e, in via riconvenzionale, chiedeva la condanna dell'attore al risarcimento dei danni. Con sentenza 28/9/1999 l'adito tribunale di Palermo, disattesa l'eccezione di incompetenza sollevata dalla convenuta, dichiarava risolto contratto di appalto in questione per colpa e fatto della L Cruzioni ed accoglieva la domanda avanzata dall'attore di risarcimento danni determinandone l'ammontare in L. 697.751.530.
Avverso la detta sentenza la società soccombente proponeva appello ;

quale resistevano Dara Gaetana nonché C. A, G e L G quali eredi di G G. Rimenavano invece contumaci P M P ed i figli minori A, G A e C G, tutti eredi di G G altro erede dell'originario attore G G.
Con sentenza 12/12/2001 la corte di appello di Palermo rigettava il gravame osservando: che dal tenore letterale dell'articolo 12 del contratto d appalto sottoscritto dalle parti il 9/10/1986 risultava chiaro che i contraenti avevano inteso compromettere in arbitri non tutte le controversie che sarebbero insorte in relazione al rapporto derivante dal contratto, ma solo quelli di natura strettamente tecnica;
che in ogni caso le parti avevano previsto so lo la facoltà e non l'obbligo di compromettere in arbitri le controversie tra loro insorgende: che le parti avevano stabilito in L. 930.000.000 il corrispettivo dell'appalto riferito sia alle opere già realizzate sia ai lavori di completamento da realizzare secondo il progetto redatto dalla L Cruzioni i conformità alla concessione edilizia ed al progetto di variante: che il corrispettivo dell'appalto era comprensivo anche di tutti gli oneri, spese e costi relativi al rilascio della concessione edilizia;
che, come risultava dai documenti esibiti dalle parti, alla data di sottoscrizione del contratto di appalto la L Cruzioni era consapevole del fatto che le opere da lei stessa realizzate erano parzialmente difformi da quelle previste dalla concessione edilizia del 1980;
che, come poteva ritenersi accertato in base alle risultanze documentali, la L Cruzioni aveva assunto l'obbligo di curare, assumendosene il relativo onere economico, il rilascio della concessione edilizia relativa al progetto di variante;
che tale variante, benché approvata dalla CLE. non era stata autorizzata per il mancato pagamento da parte della richiedente degli oneri dovuti;
che pertanto risultava provato l'inadempimento contrattuale dell'impresa appaltatrice;
che il c.t.u.. nel quantificare il costo delle opere necessarie per ultimare i lavori oggetto dell'appalto, aveva seguito metodo corretto e condivisibile;
che dall'accertato inadempimento della L Cruzioni derivava l'infondatezza della pretesa risarcitoria quest'ultima.
La cassazione della sentenza della corte di appello di Palermo è stata chiesta dalla s.p.a. L Cruzioni con ricorso affidato a quattro motivi lustrati da memoria. Hanno resistito con separati controricorsi: a) Dara Gaetana nonché C, A, G e L G;
b) P M P, in proprio e nella qualità di genitore esercente la potestà sui figli minori A, G, A e C G.
MOTIVI DELLA DECISIONE
In via preliminare la resistente P M P - in proprio e nella indicata qualità - ha eccepito l'inammissibilità del ricorso:
a) per il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado essendo stato l'atto di appello avverso detta sentenza notificato ad essa Pirico in proprio e nella qualità di genitore esercente la patria potestà sui quattro figli minori, in unica copia e con notifica effettuata presso la residenza personale di essa Pirico e non nel domicilio eletto presso il suo difensore ed indicato nella procura rilasciata calce all'atto di precetto notificato alla L Cruzioni in forza della pronuncia di primo grado;
b) per la notifica del ricorso mediante consegna due copie e non di cinque (una per ogni destinatario).
L'eccezione è infondata atteso che, come è ormai principio pacifico nella giurisprudenza di legittimità, la norma la quale dispone che la notifica dell'atto di impugnazione deve essere eseguita mediante consegna di tante copie quanto solo le parti, anche se costituite con unico procuratore, non trova applicazione nell'ipotesi (che ricorre appunto nella specie) in cui la stessa persona fisica stia in giudizio in proprio e nella qualità di rappresentante sul piano sostanziale di altro soggetto, poiché in tal caso, mancando pluralità di rapporti processuali, soltanto il rappresentante riveste la qual di parte nel giudizio (tra le tante, sentenze 22/7/2003 n. 11352;
30/1/2003 1396;
28/3/2001 n. 4529
). Va peraltro osservato che secondo la giurisprudenza di questa Corte all'elezione di domicilio contenuta nel precetto non può essere ricondotta al contrario di quanto sostenuto dalla Piricò - l'effetto di cui al primo comma dell'articolo 330 c.p.c. che consegue invece unicamente all'elezione domicilio contenuta nell'atto di notificazione della sentenza (sentenze 9/8/2004 n. 15378;
13/8/2001 n. 11088;
3/5/1999 n. 4397
). Con il primo motivo di ricorso la s.p.a. L Cruzioni denuncia violazione degli articoli 808 e seguenti c.c. 10 preleggi e 1362 c.c. nonché di motivazione, deducendo che la corte di appello ha errato nell'affermare che con la clausola compromissoria le parti avevano inteso compromettere in arbitri sole le controversie di natura tecnica. Ad avviso della ricorrente corte di merito ha interpretato la detta clausola prescindendo dal senso del stessa fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse. Il giudice di secondo grado ha trascurato la volontà delle parti manifestata, senza possibilità di equivoci, nel senso di preferire rispetto una pronuncia giurisdizionale una amichevole composizione della lite mezzo arbitri. L'assoluta carenza nella motivazione della sentenza impugnata in ordine alla natura rituale o irrituale dell'arbitrato previsto nella clausola rende incongrua l'osservazione secondo cui le clausole compromissorie devono interpretarsi in senso restrittivo e pone in evidenza un difetto di motivazione nella interpretazione della volontà delle parti con violazione articoli 1362 e 1363 c.c. Il motivo è infondato.
Occorre premettere che, come questa Corte ha avuto modo di chiari poiché il deferimento di una controversia al giudizio degli arbitri stranieri comporta una deroga alla giurisdizione del giudice ordinario, la clausola compromissoria deve essere espressa in modo chiaro ed univoco con do alla precisa determinazione dell'oggetto delle future controversie e, in caso di dubbio in ordine all'interpretazione della portata della clausola promissoria, deve preferirsi un'interpretazione restrittiva di essa e affermaci va della giurisdizione ordinaria (sentenze 28/7/1998 n. 7398: 27/2/1991 2132). L'accertamento della volontà delle parti di deferire ad arbitri la risoluzione di talune controversie, se finalizzato a determinare l'esistenza (o esclusione) di una deroga alla competenza dell'autorità giudiziaria ordinaria può essere compiuto anche dalla Corte di Cassazione, che, in tali ipotesi, può procedere alla cognizione dei fatti risultanti dagli atti, senza limitarsi al controllo formale della lettura della clausola compromissoria compiuta dal giudice di merito (sentenza 2/2/2001 n. 1496). Inoltre nella giurisprudenza di legittimità è fermo l'orientamento secondo cui in tema di interpretazione di una clausola compromissoria, il carattere rituale ovvero irrituale dell'arbitrato in essa previsto va desunto con riguardo alla volontà delle parti ricostruita secondo le ordinarie regole di ermeneutica contrattuale tenendo conto dell'intero contesto della pattuizione e del contenuto sostanziale delle clausole contrattuali nonché delle finalità perseguite dalle parti.
Ricorre la fattispecie dell'arbitrato rituale quando sia stata demandata agli arbitri una funzione sostitutiva di quella del giudice, integrandosi, per converso, l'ipotesi dell'arbitrato libero quando il collegio arbitrale sia stato investito della soluzione di determinate controversie in via negoziale, mediante un negozio di accertamento ovvero strumenti conciliativi o transattivi fa attività ermeneutica circa la natura dell'arbitrato presuppone, in sede di legittimità, l'esame e la valutazione diretta del patto compromissorio da parte della Corte che non può limitarsi al mero controllo formale della decisione del giudice di merito, incidendo la soluzione della detta questione sulla potestà di decidere da parte del giudice adito f nei sensi suddetti, sentente 23/7/2004 n. 13830:
4/6/2003 n. 8910;
8/8/2001 n. 10935;
27/1/2001 n. 1191:17/1/2001 n. 562).
Ciò posto e precisato e presa diretta conoscenza della clausola compromissoria in questione, deve essere confermata la decisione del giudice d merito il quale utilizzando correttamente le regole di ermeneutica contrattuale ed adeguandosi ai principi di diritto governanti la materia in esame ha affermato che le parti, con la clausola compromissoria contenuta nell'articolo 12 del contratto di appalto, hanno inteso affidare agli arbitri solo le controversie "di natura strettamente tecnica" potendosi ciò desumere tanto dal riferimento alle controversie costituenti "intralcio alla speditezza dei lavori", quanto dall'affidamento della soluzione del contrasto ai rispettivi tecnici di fiducia.
Va evidenziato che il testo della clausola compromissoria - per la parte che interessa la questione in esame - è il seguente:
"insorgendo controversia sull'interpretazione di clausole contrattuali che non fossero componibili speditamente o che costituissero intralcio alla speditezza dei lavori, le dichiarano e convengono di riferirle, per la risoluzione, ai rispettivi tecnici di fiducia i quali dovranno esprimersi e concordarle subito dopo che s stato dato luogo al loro originarsi: ove tale accordo non avesse a verificarsi, potrà essere investito del giudizio sulle controversie il Collegio Arbitra le...".
La lettura di detta clausola - alla luce non solo del significato lettera della sua articolata espressione, ma anche in funzione dello scopo persegui dagli stipulanti e della finalità propria dell'istituto prescelto - impone di a fermare che le parti compromittenti non hanno inteso rinunciare alla tute giurisdizionale per qualsiasi futura lite, ma hanno solo voluto prevedere soluzione extragiudiziale della controversia (di natura tecnica ed affidata i prima battuta ai rispettivi tecnici) limitatamente a questioni relative al modalità di esecuzione delle opere oggetto del contratto di appalto, ossia gli aspetti meramente esecutivi dei lavori commessi. Le parti hanno pertanto escluso dall'applicabilità della clausola compromissoria tutte le controversie che (come appunto quella in esame) possono sorgere da un determinato contratto con riferimento agli aspetti concernenti l'accertamento e l'ambito dei rispettivi obblighi e diritti e, quindi, alle questioni relative all'inadempimento ed alla risoluzione del contratto medesimo. In ogni caso va rilevato che qualsiasi rimanente titubanza in ordine all'interpretazione circa la portata e l'ambito oggettivo dell'operatività dell'applicabilità della clausola compromissoria deve essere risolta - trattandosi di patto che comporta la (eccezionale) deroga alla giurisdizione giudice ordinario - dal sopra espresso principio secondo cui ogni incerte;
deve far pendere il giudizio per l'affermazione della giurisdizione del giudice ordinario.
Con il secondo motivo la società ricorrente denuncia omesso esame di fatto decisivo, nonché vizi di motivazione e violazione degli articoli 165 seguenti c.c. per aver la corte di appello trascurato di prendere in considerazione l'ordinanza di demolizione emessa nel 1988 (ossia dopo la stipula del contratto di appalto) dal comune di Palermo. Illogicamente la corte di merito ha ritenuto che essa impresa appaltatrice si fosse assunta con il contratto di data anteriore (1986) pure l'obbligo di curare la rimozione di tale impedimento e di sopportarne i relativi oneri. Il giudice di appello, nel l'addossare ad essa impresa la responsabilità dell'ordine di sospensione dei lavori e di demolizione e nel porre a suo carico gli oneri per rimediare alla violazione urbanistica, non ha rispettato gli articoli 1655 e seguenti c.c. che pongono sul committente l'onere di fornire un progetto in regola con le norme urbanistiche. Le conseguenze dell'inadempimento del committente non potevano essere ribaltate sol perché essa impresa aveva cercato di porvi rimedio richiedendo la concessione edilizia in sanatoria. Quanto meno la corte territoriale avrebbe dovuto rilevare la corresponsabilità della committente.
Con il terzo motivo la L Cruzioni denuncia violazione degli articoli 1223 e seguenti c.c. con riferimento agli articoli 1665 e seguenti c.c. nonché difetto di motivazione. Secondo la ricorrente
la corte di merito non ha fatto alcun cenno al motivo di appello con il quale essa società aveva meritato che non si era tenuto conto delle spese preliminari occorrenti per l'esecuzione con particolare riferimento alle spese per la progettazione, lottizzazione e l'urbanizzazione delle tre ville oggetto dell'appalto. Del pari il giudice di secondo grado non ha preso in considerazione la censura con la quale essa società ricorrente aveva lamentato che il tribunale aveva determinato il danno da risarcire nella somma occorrente per il completamento del opere mentre, a norma degli articoli 1223 e seguenti c.c. il danno poteva più consistere solo nella differenza tra il corrispettivo pattuito per il completamento ed il costo di tale completamento.
La Corte rileva l'infondatezza delle dette censure che possono essere esaminate congiuntamente sia perché, connesse ed interdipendenti, riguardano (in parte) l'asserita violazione delle stesse norme di legge (articoli 1655 e seguenti c.c.). sia perché necessariamente collegate all'interpretazione del contenuto del contratto di appalto stipulato dalle parti ed all'individuazione dei rispettivi obblighi assunti dai contraenti (in particolare dall'impresa appaltatrice), sia infine perché frutto di una non attenta e non completa lettura della sentenza impugnata.
Per quanto riguarda le censure mosse con il secondo motivo va osservato che - come sopra riportato nella parte narrativa che precede - la corte di appello ha ineccepibilmente proceduto alla ricostruzione dei rapporti intercorsi tra le parti ed alle vicende legate al rilascio delle concessioni amministrative relative alle opere in questione. All'esito di tale ricostruzione il giudice di secondo grado ha confermato la sentenza del tribunale con la quale la responsabilità per il mancato rilascio della concessione - relativa al progetto di variante - era stata data all'impresa appaltatrice che si era contrattualmente obbligata a curare l'iter amministrativo di detta pratica e ad assumersi i connessi oneri economici. La corte di merito, poi, non ha mancato di esaminare il motivo di appello con il quale la L Cruzioni aveva dedotto che al momento della stipula del contratto di appalto le ville erano state già realizzate in modo difforme dalla concessione edilizia del 1980. La corte di appello, con ampia e coerente motivazione immune da vizi logici e da errori di diritto, ha ritenuto infondato detto motivo di gravame in quanto in contrasto con gli accordi contrattuali - la cui corretta interpretazione non ha formato oggetto di analitiche e dettagliate critiche non essendo stata denunciata specificamente la violazione dei canoni ermeneutici dettati dagli articoli 1362 e seguenti c.c. - e come il comportamento dell'impresa appaltatrice che
alla data di sottoscrizione dell'appalto era "consapevole del fatto che le opere da lei stessa realizzate in esecuzione di un precedente incarico ricevuto dal Gioia...erano parzialmente difformi da quelle previste dalla concessione edilizia n. 13 del 1980". Peraltro il giudice di appello ha ritenuto accertato in fatto sulla base un insindacabile apprezzamento delle risultanze istruttorie e dei documenti indicati nella sentenza impugnata - che la L Cruzioni aveva rispedito l'obbligo di attivarsi per ottenere la concessione in sanatoria ma non aveva raggiunto il risultato sperato a causa del mancato integrale pagamento dei relativi oneri di urbanizzazione.
Con riferimento alle censure di cui al terzo motivo del ricorso va segnalato che nella sentenza impugnata risulta specificamente trattato e sottoposto ad accurato e puntuale esame il motivo di appello con il quale la L Cruzioni si era lamentata della quantificazione del danno come operata tribunale. Al riguardo la corte di merito ha innanzitutto ritenuto generica la censura per essersi l'appellante L Cruzioni limitata a definire poco convincenti le valutazioni del c.t.u. senza specificare gli errori dallo stesso commessi nel quantificare il danno subito dal committente a causa dell'inadempimento dell'impresa appaltatrice. La corte di appello ha inoltre aggiunto che il consulente si era basato su un attento studio dei dati tecnici desunti dai progetti e dalle previsioni contrattuali. Nella decisione impugnata risulta altresì chiarito che con il contratto di appalto la L Cruzioni si era impegnata a rispettare la concessione edilizia e il successivo progetto di variante che erano stati rilasciati a seguito di interessamento della stessa impresa appaltatrice la quale si era anche obbligata a sostenere i relativi oneri economici. Nel prezzo di appalto erano stati inclusi oltre ai compensi per le opere già realizzate al momento del a stipula del contratto - anche le spese ed i costi sostenuti dalla L Cruzioni per ottenere il rilascio della concessione edilizia. Poiché il prezzo di appalto di L. 930.000.000 era stato interamente pagato dal committente la corte di appello ha coerentemente e correttamente quantificato il danno da quest'ultimo subito per l'inadempimento dell'impresa appaltatrice - e post a base della pronuncia di risoluzione del contratto nella somma di l. 697.751.530 che il c.t.u. aveva indicato come necessaria per completare lavori appaltati già pagati dal committente e non eseguiti dalla L Cruzioni.
Da quanto precede emerge con evidenza l'insussistenza dell'asserita violazione delle norme di legge e dei lamentati vizi di motivazione indicati n motivi di ricorso in esame e che essenzialmente presuppongono una ricostruzione dei fatti di causa diversa da quella irreprensibilmente effettuata dal giudice del merito. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia violazione dell'articolo 11 c.p.c. e vizi di motivazione per non essersi la corte di merito
occupata del quarto motivo di appello concernente la riconvenzionale di essa L Cruzioni con particolare riferimento alla cancellazione dell'ipoteca per 200.000.000 concessa da essa impresa in favore di G G. La corte di appello avrebbe dovuto ordinare la cancellazione dell'ipoteca in quanto concessa a garanzia dell'esatto adempimento delle obbligazioni assunte con il contratto di appalto.
Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile. Sotto il primo profilo va rilevato che la corte di appello, al contrario di quanto sostenuto dalla ricorrente, si è espressamente occupata del motivo ci gravame con il quale la L Cruzioni aveva lamentato il mancato accoglimento della domanda riconvenzionale volta ad ottenere la condanna dell'attore "al risarcimento dei danni subiti a causa della mancata esecuzione dell'appalto dovuto a fatto ad essa non imputabile". Al riguardo il giudice di secondo grado ha logicamente fatto derivare l'infondatezza di tale motivo di appello "dall'accertato inadempimento dell'appaltatrice rispetto agli obblighi assunti e dalla conseguente declaratoria di risoluzione del contratto per suo fatto e colpa, circostanza che esclude in radice la fondatezza delle pretese risarcitorie (formulate peraltro in maniera assolutamente generica dalla stessa avanzate" (pagine 11 e 12 della sentenza impugnata).
Sotto il secondo aspetto va posta in evidenza l'inammissibilità - per difetto del requisito di specificità - della parte della censura in esame concernente l'asserito omesso esame del motivo di appello prospettato con riferimento alla cancellazione dell'ipoteca di L. 200.000.000. Di tale censura non vi è cenno nel l'impugnata sentenza e la ricorrente non ha indicato come stato articolato sul punto il motivo di appello, sicché non è dato a questa Corte individuare e comprendere l'oggetto specifico di quanto richiesto don l'atto di gravame sul quale il giudice di secondo grado non si sarebbe pronunciato. La società ricorrente, quindi, avrebbe dovuto porre a base della detta doglianza l'atto di appello precisandone l'esatto tenore eventualmente anche mediante la sua integrale trascrizione nel ricorso per Cassazione, in mancanza di detta precisazione la censura in esame si risolve in un'affermazione apodittica non seguita da alcuna dimostrazione idonea ad individuare la soluzione della questione prospettata.
In proposito va richiamato il principio più volte affermato da questa Corte secondo cui se è vero che la Corte di Cassazione, allorquando sia denunciato un error in procedendo, quale indubbiamente il vizio di ultra o extrapetizione, è anche giudice del fatto ed ha il potere - dovere di esaminare direttamente gli atti di causa, tuttavia, per il sorgere di tale potere - dovere è re cessano, non essendo il predetto vizio rilevabile "ex officio", che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il "fatto processuale" di cui richiede il riesame e, quindi, che il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari a individuare la dedotta violazione processuale (tra le ultime sentenze 23/1/2004 n. 1170: 20/8/2003 n. 12255: 16/4/2003 n. 6055;
3/4/2003 n. 5148
). In definitiva il ricorso deve essere rigettato con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate, per ciascuna parte resistente, nella misura indicata in dispositivo.

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