Cass. pen., sez. III, sentenza 06/03/2023, n. 09209
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Testo completo
la seguente SENTENZA Sul ricorso proposto da: D S, nato a Catania il 01/10/1957 avverso la sentenza emessa il 06/05/2022 dalla Corte d'Appello di Catania visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;udita la relazione svolta dal consigliere V P;lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale L O, che ha concluso chiedendo dichiararsi l'inammissibilità del ricorso;letta le conclusioni del difensore del ricorrente, avv. A G, che ha concluso insistendo per l'accoglimento dei motivi di ricorso RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 06/05/2022, la Corte d'Appello di Catania ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Catania, in data 07/0512021, con la quale D S era stato condannato alla pena di giustizia in relazione ai reati di omesso versamento dell'IVA per gli anni di imposta 2013 e 2014, a lui ascritti in qualità di legale rappresentante dell"ISTITUTO DI VIGILANZA PRIVA ANCR s.r.l. 2. Ricorre per cassazione il DEBOLE, a mezzo del proprio difensore, deducendo: 2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata applicazione dell'art. 45 cod. pen. Richiamando un precedente giurisprudenziale che aveva riconosciuto l'esimente della forza maggiore ove il mancato versamento fosse stato determinato da una crisi di liquidità correlata a crediti insoluti in misura superiore al 40% del fatturato, la difesa evidenzia che tale situazione si era verificata nella fattispecie in esame, censurando la sentenza impugnata anche per non aver considerato la produzione documentale comprovante l'impegno del ricorrente nel tentativo di recuperare le somme intraprendendo plurime azioni giudiziarie, e l'attivarsi dell'ANCR per il graduale abbattimento del debito tributario, oggi del tutto estinto. Si lamenta infine il vizio motivazionale anche per la mancata corrispondenza con i motivi di appello. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è infondato. 2. Il Tribunale di Catania aveva affermato la responsabilità del DEBOLE . (pag. 2 della sentenza di primo grado) ritenendo documentalmente provata l'omissione contributiva, indubbia la consapevolezza della illiceità della condotta in capo all'odierno ricorrente, nonché inapplicabile la scriminante della forza maggiore, aderendo all'indirizzo interpretativo di questa Suprema Corte secondo cui «in tema omesso versamento dell'imposta sul valore aggiunto, l'inadempimento della obbligazione tributaria può essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all'imprenditore che non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico» (così ad es. Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, dep. 2015, Schirosi, Rv. 263128 - 01, che in motivazione ha escluso che potesse essere ascrivibile a forza maggiore la mancanza della provvista necessaria all'adempimento dell'obbligazione tributaria per effetto di una scelta di politica imprenditoriale volta a fronteggiare una crisi di liquidità). La più recente pronuncia richiamata dal primo giudice (si tratta di Sez. 3, n. n. 12906 del 13/11/2018, dep. 2019, Canella, Rv. 276546 - 01), adesiva a tale orientamento, ha ulteriormente precisato che «il reato di omesso versamento IVA è integrato dalla scelta consapevole di omettere i versamenti dovuti, non rilevando la circostanza che la società attraversi una fase di criticità e destini risorse finanziarie per far fronte al pagamento di debiti ritenuti più urgenti (ex plurimis Sez. 3, n. 10813 del 6/2/2014;Sez. 3, n. 5467 del 5/12/2013), elemento che rientra nell'ordinario rischio di impresa e che non può certamente comportare l'inadempimento dell'obbligazione fiscale contratta con l'erario. Tale elemento può rilevare come causa di forza maggiore di cui all'art. 45 cod. pen., solo se siano assolti gli oneri di allegazione idonei a dimostrare non solo l'asserita crisi di liquidità, ma anche che detta crisi non sarebbe stata fronteggiabile tramite il ricorso ad apposite procedure da valutarsi in concreto, non ultimo il ricorso al credito bancario. L'imprenditore deve quindi provare di aver posto in essere, senza successo per causa a lui non imputabile, tutte le misure (anche sfavorevoli per il proprio patrimonio personale) idonee a reperire la liquidità necessari, per adempiere il proprio debito fiscale (ex plurimis, Sez. 3, n. 5467 del 5/12/2013)». La Corte d'Appello, in piena linea di continuità con tale indirizzo interpretativo, ha ulteriormente sottolineato l'impossibilità di attribuire rilievo esimente al tentativo di recuperare - anche attraverso iniziative giudiziarie - i crediti vantati dalla ANCR e rimasti insoluti, non avendo il ricorrente assolto all'onere di allegazione circa il fatto di aver adottato ogni iniziativa utile per la corresponsione del tributo, anche attingendo al proprio patrimonio personale. A tale ultimo proposito, la Corte territoriale ha ritenuto altresì di valorizzare le consistenti disponibilità del DEBOLE, accertate in sede di esecuzione del sequestro preventivo finalizzato alla confisca anche per equivalente (cfr. pag. .
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