Cass. civ., sez. III, sentenza 12/07/2005, n. 14582
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In tema di opposizione all'esecuzione, ravvisabile anche nell'ipotesi in cui le contestazioni sollevate dall'opponente, pur concernendo il "quomodo" dell'azione esecutiva, investano l'"an" della stessa, nel senso che il debitore abbia fatto valere l'impossibilità giuridica o di fatto di procedere ad esecuzione forzata secondo le modalità concretamente prospettate, non è ammissibile una tesi difensiva dell'opponente fondata su un diritto non ancora costituito. (Nella specie, il proprietario di un edificio si era opposto all'esecuzione della sentenza di condanna alla rimozione di una condotta fognaria da lui costruita su un fondo confinante, facendo valere l'interclusione del proprio fondo, e quindi la possibilità di ottenere la costituzione di una servitù coattiva: la S.C., in applicazione del predetto principio, ha cassato la sentenza impugnata, che aveva qualificato la domanda come opposizione agli atti esecutivi e l'aveva dichiarata inammissibile in quanto tardiva, e, pronunciando nel merito, l'ha rigettata, rilevando che l'opponente non aveva chiesto la costituzione coattiva della servitù).
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. V P - Presidente -
Dott. D N L F - Consigliere -
Dott. P I - Consigliere -
Dott. S A - Consigliere -
Dott. T A - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
G G, elettivamente domiciliato in ROMA viale GIULIO CESARE 14, presso lo studio dell'avvocato G P, difeso dall'avvocato R C, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
EREDI DI BRAGAGNOLO CESARE, BRAGAGNOLO FULVIO, BARBERO GIOVANNA, BRAGAGNOLO ELISA;
- intimati -
avverso la sentenza n. 303/01 del Tribunale di CASALE MONFERRATO, emessa e depositata il 28/08/01;RG. 432/1999. udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 29/04/05 dal Consigliere Dott. A T;
udito l'Avvocato S S (per delega avv. C R);
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. R R G che ha concluso per la inammissibilità o il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Nell'impugnata decisione lo svolgimento del processo è esposto come segue.
"Con ricorso al Pretore di Casale Monferrato in data 4.4.1996 G Giovanni proponeva opposizione avverso l'esecuzione promossa nei suoi confronti da Bragagnolo Cesare a R.E. 506/90, nonché all'atto dell'esecuzione di cui all'ordinanza del G.E. 28.3.1996 comunicata in data 1.4.1996, con ricorso 4.4.1996. Il Pretore all'udienza del 23.2.1999 sospendeva l'esecuzione ex art 624 epe e rimetteva le parti avanti il Tribunale di Casale Monferrato competente per valore con termine di 120 giorni per la riassunzione, ritualmente effettuata.
Il Giudice, con provvedimento riservato rigettava le istanze istruttorie proposte dall'opponente e fissava udienza per la precisazione delle conclusioni definitive.
All'udienza del 9.5.2001 la causa era trattenuta in decisione sulle conclusioni precisate dalle parti".
Con sentenza decisa e depositata il 28.8.2001 il Tribunale di Casale Monferrato, definitivamente pronunciando, dichiarava inammissibili le opposizioni proposte in ricorso avverso l'esecuzione n. 506/90 e avverso l'ordinanza del G.E. del 28.3.1996 e condannava l'opponente al pagamento delle spese di lite liquidate in L. 8.197.000, oltre IVA e CPA.
Contro questa decisione ha proposto ricorso per Cassazione G Giovanni Le parti intimate non hanno svolto attività difensiva. MOTIVI DELLA DECISIONE
Occorre premettere che nell'impugnata decisione viene qualificata come opposizione agli atti esecutivi sia quella proposta (secondo l'impostazione del G) contro l'esecuzione sia quella proposta contro l'ordinanza del G.E. del 28.3.96;quindi il ricorso in esame deve ritenersi ammissibile (cfr. tra le altre Cass. n. 09057 del 0670672003: "L'individuazione del mezzo di impugnazione esperibile contro un provvedimento giurisdizionale deve essere compiuta in base al principio dell'apparenza, ovvero facendo riferimento esclusivo alla qualificazione dell'azione compiuta dal giudice del provvedimento, indipendentemente dalla esattezza di essa e dalla qualificazione dell'azione data dalla parte;con riferimento alla sentenza emessa a definizione di un giudizio di opposizione esecutiva, essa è impugnabile con l'appello se il giudice ha qualificato razione come opposizione all'esecuzione, mentre è impugnabile solo con ricorso straordinario per Cassazione ex art. 111 Cost. se essa è stata qualificata dal giudice quale opposizione agli
atti esecutivi").
I tre motivi di ricorso vanno esaminati insieme in quanto connessi. Con il primo motivo la parte ricorrente denuncia "Violazione e falsa applicazione degli artt. 615 e 617 Cod. Proc. Civ." esponendo doglianze che possono essere sintetizzate come segue. La sentenza anzitutto erroneamente qualifica la domanda come opposizione agli atti esecutivi. Nel caso di specie non è stata contestata in alcun modo la legittimità dello svolgimento dell'azione esecutiva, ma è stata introdotta una controversia sulla portata sostanziale del titolo esecutivo, essendo stata sollevata la questione - non proposta nel giudizio di cognizione che il titolo ha originato - dell'interclusione assoluta del fondo dell'esecutato e della conseguente necessità di imposizione della servitù coattiva di scarico in altra porzione del fondo Bragagnolo nel rispetto degli artt. 1046 e 1033 comma 2 Cod. Civ., e precisamente quella già gravata da servitù di passaggio (pedonale e carraio) a favore del fondo dello stesso esecutato e trasformata in strada. Tale questione non investe evidentemente l'attività del soggetto designato all'attuazione coattiva dell'obbligo di fare (che deve limitarsi ad asportare il tratto di condotta che transita nel giardino Bragagnolo e non deve certo preoccuparsi ne' della nuova condotta occorrente al fondo G intercluso ne' della eventuale vasca IMHOFF da collocarsi nello stesso fondo G) e non investe quindi le modalità dell'esecuzione. Il giudicante ritenendo il contrario è, invece, incorso in palese equivoco avendo scambiato per modalità dell'esecuzione, le modalità di attuazione della contrapposta pretesa dell'esecutato. Significativamente in sentenza è richiamata la massima di Cassazione civile, sez. 3^, 27 marzo 1991 n. 3286, con ciò palesando (oltre al disconoscimento di Cassazione civile, sez. n, 28 settembre 1994 n. 7889 che ha affermato l'opposto) l'incomprensione della differenza tra eccepire la necessità di autorizzazione amministrativa per realizzare l'attività imposta dal titolo esecutivo e contrapporre al titolo una domanda di servitù coattiva. L'opposizione per cui è processo prescinde dalla critica dei singoli atti e al contrario investe l'esecuzione nella sua interezza, tanto da poter essere indifferentemente proposta anche prima del suo inizio ai sensi dell'art. 615 comma 1 Cod. Proc. Civ. La richiesta declaratoria di improcedibilità dell'azione esecutiva per mora credendi, così come la richiesta costituzione di servitù coattiva, non è neppure petitum conciliabile con il ritenuto inquadramento dell'opposizione nella fattispecie dell'art. 617 Cod. Proc. Civ. L'esecutato si oppone all'esecuzione eccependo che il titolo ha condannato solo all'eliminazione del tratto di condotta fognaria che insiste nel fondo Bragagnolo e non anche alla perdita di abitabilità del proprio fondo residenziale (intercluso), che è sanzione appunto non disposta dal titolo: di qui la necessità di consentire la realizzazione di altra condotta sostitutiva contestualmente alla eliminazione di quella stabilita dal titolo. Poiché inoltre l'esecutato si è fatto parte diligente e ha già provveduto addirittura a conseguire la prescritta autorizzazione amministrativa per realizzare la nuova condotta e poiché alla realizzazione di tale condotta si oppone proprio il Bragagnolo, in primis è stata eccepita la mora credenti e in subordine è stata svolta domanda di servitù coattiva. Il giudizio conseguente all'opposizione all'esecuzione è un vero e proprio giudizio di cognizione, nel quale, non ostandovi i limiti stabiliti dalla legge, è consentita la proposizione di domande dirette a costituire un altro titolo esecutivo. L'opposizione di specie ha registrato, inoltre, la piena accettazione del contraddittorio del Bragagnolo che si è difeso specificamente anche sulla questione della servitù coattiva. In punto ammissibilità della servitù coattiva il ricorrente si richiama al precedente di Cassazione civile, sez. 2^, 14 luglio 2000 n. 9357. Con il secondo motivo la parte ricorrente denuncia "In subordine violazione e falsa applicazione degli artt 617 e 57 Cod. Proc. Civ. e dell'art. 2969 Cod. Civ." esponendo doglianze che possono essere sintetizzate come segue. Il giudicante, dopo aver qualificato la domanda alla stregua di una opposizione agli atti esecutivi l'ha dichiarata inammissibile "perché proposta oltre i 5 giorni dalla notifica/comunicazione dell'atto opposto" avvenuta in data 1/4/1996, così motivando: "vero è, infatti, che non vi è prova del deposito del ricorso entro il quinto giorno ... il decreto del pretore di fissazione dell'udienza di comparizione delle parti è del 12.4.1996 e la semplice data del ricorso (4.4.1996) non è di per sè sufficiente ...". Il giudicante si è limitato così a rilevare la mancanza dell'attestazione di deposito sul ricorso e da questo, senza condurre altre indagini e ritenendo onere della parte sopperire all'omissione del cancelliere, ha tratto una conclusione aberrante e contraria alla realtà processuale. Giova precisare che in causa la tempestività del ricorso in rapporto al termine di cui all'art. 617 Cod. Proc. Civ. non fu mai contestata, ne' dai giudici che hanno
preceduto il giudicante, ne' dalla controparte. Si tratta di verifica che deve essere compiuta dal giudice ex officio attraverso gli atti del processo. Nel caso concreto il fascicolo di parte G al a 1 dell'elenco documenti conteneva l'atto del G.E. 28/3/1996 (da cui si computa il termine), completo di zelata attestante che la notifica è avvenuta il 1/4/1996;patimenti, conteneva il fascicolo documenti depositato con il ricorso che si assume tardivo, che riporta l'attestazione di deposito del 5/4/1996 (addirittura duplice: sulla copertina e all'interno sull'elenco documenti);infine conteneva (al n. 5 d'ordine dell'indice atti - fascicolo della fase pretorile) la copia conforme all'originale del ricorso introduttivo notificata alla controparte, che in prima pagina riporta l'annotazione manoscritta del numero di ruolo 193/96 (come peraltro il fascicolo d'ufficio della fase pretorile) e in calce elenca i documenti offerti. Alla conclusione della tempestività in questione si perviene con la verifica dei timbri datari apposti sui versamenti riscossi a mezzo marche presenti nel fascicolo d'ufficio (viene prodotta ad abundantiam nel presente giudizio ricevuta di deposito della cancelleria rilasciata il 5/4/1996) e patimenti con la verifica (ordinabile dal giudice alla cancelleria) del ruolo generale al n. 193/96 ove si poteva nuovamente rinvenire l'avvenuto deposito il giorno 5/4/1996 (viene prodotto ad abundantiam nel presente giudizio attestato della cancelleria).
Con il terzo motivo la parte ricorrente denuncia "Violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 624, 623 e 617 Cod. Proc. Civ." esponendo doglianze che possono essere sintetizzate come segue, il giudicante non è giudice dell'esecuzione: egli è stato investito della causa in forza di provvedimento del G.E., ai sensi dell'art. 616 Cod. Proc. Civ., di rimessione al giudice competente. La
sentenza, seppure non in dispositivo, ha disposto che "alle statuizioni di cui sovra consegue la revoca della concessa sospensione dell'esecuzione". Il creditore procedente non ha giammai chiesto la revoca o la modifica del provvedimento del G.E. di sospensione dell'esecuzione, e neppure ne ha mai contestata la legittimità (contestazione che avrebbe dovuto avvenire, peraltro, nelle rituali forme della opposizione agli arti esecutivi). Nell'assumere la decisione di revoca il Giudicante ha trasceso le proprie competenze ed i limiti dei propri poteri.
Il primo motivo va accolto per quanto di ragione.
Premesso che essendo denunciati errores in procedendo, questa Corte è giudice anche del fatto (processuale) ed ha, quindi, il potere - dovere di procedere direttamente all'esame ed all'interpretazione degli atti processuali (cfr. tra le altre Cass. n. 0 1097 del 24/01/2003 e Cass. a 12909 del 13/07/2004)" si osserva che in effetti sin dal ricorso datato 4.4.1996 G G ha sollevato contestazioni tutte volte all'evidente scopo di impedire l'esecuzione in questione. Infatti, in estrema sintesi la parte opponente, pur non contestando (v. il predetto ricorso 4.4.96 il cui contenuto essenziale non differisce - sul punto - da quello del ricorso per Cassazione;e v. in particolare in quest'ultimo a pag. 2 ove si ammette il passaggio in giudicato della condanna del G "...alla rimozione della condotta...") la sussistenza di un valido titolo esecutivo in ordine a detta rimozione, ha contestato che la rimozione stessa potesse aver luogo senza dare (in fatto ed in diritto) al G medesimo la possibilità di provvedere altrimenti al suddetto "...scarico...". È ben vero che tali contestazioni potrebbero apparire a prima vista come concernenti non l'an ma il quomodo dell'esecuzione;ma basta considerare che nella specie detto quomodo (sussistenza della possibilità di provvedere altrimenti) viene esposto come concretamente condizionante l'an (nel senso che secondo la parte ricorrente non è possibile togliere la condotta attuale senza consentirgli la creazione di un manufatto idoneo a consentire altrimenti il predetto scarico) per dover necessariamente concludere che ciò che si intende in realtà ottenere è la non esercitabilità del diritto della controparte a procedere ad esecuzione forzata sino al soddisfacimento della predetta esigenza dell'esecutato. In altri termini la contestazione, in ultima analisi, ha per oggetto la giuridica possibilità di procedere all'esecuzione (e dunque il merito dell'esecuzione medesima). Trattasi dunque di opposizione all'esecuzione. La tesi del G non è certamente esposta in termini del tutto chiari, ma il complesso delle sue argomentazioni non sembra consentire altra soluzione interpretativa (v. tra l'altro, a suffragio di ciò, anche l'uso di espressioni come
"....improcedibilità dell'azione esecutiva per mora credendi...). È opportuno precisare che tutte le argomentazioni esposte dalla parte opponente appaiono avere ad oggetto l'an dell'esecuzione (o, se si preferisce, detta asserita "improcedibilità dell'azione esecutiva") e non risultano mai tendenti ad ottenere risultati ulteriori, come la costituzione coattiva della servitù suddetta anche a prescindere dall'esecuzione in questione e quindi anche nel caso di rigetto delle opposizioni (detta costituzione di servitù appare infatti sempre oggetto di richieste ed argomentazioni strumentali rispetto all'opposizione all'esecuzione;e cioè in ogni caso volte solo ad impedire l'esecuzione medesima);è appena il caso di aggiungere che ove il G, nel ricorso per Cassazione, avesse inteso sostenere una tesi diversa, questa dovrebbe ritenersi inammissibile (in quanto irrituale e generica, essendo del tutto carente del requisito della chiarezza) prima ancora che priva di pregio alla luce della struttura e del contenuto del ricorso 4.4.96. Sulla base di quanto sopra esposto deve concludersi che la parte ricorrente espone doglianze fondate circa la reale natura della sua azione (nel senso che entrambe le opposizioni contenute nel ricorso 4.4.96 costituiscono in realtà opposizioni all'esecuzione;ed anzi in realtà un'unica opposizione all'esecuzione);il Tribunale di Casale Monferrato è giunto alla erronea qualificazione del contenuto di tale ricorso chiaramente sulla base (essenzialmente) di una erronea interpretazione delle norme in questione (in particolare degli artt. 615 e 617 c.p.c.). L'impugnata decisione va dunque cassata in relazione a dette doglianze accolte.
Una volta assodato ciò, si deve, in applicazione dell'ultima parte del primo comma dell'art. 384 c.p.c. decidere la causa nel merito non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto. Come già esposto in precedenza, la parte ricorrente non contesta la sussistenza di un valido titolo esecutivo (la sopra citata sentenza passata in giudicato) per la rimozione della condotta (v. in particolare a pag. 2 del ricorso;v. anche le ultime righe a pag. 10:
"....non è stata contestata in alcun modo la legittimità dello svolgimento dell'azione esecutiva...").
Appare incontestabile che, in tema di opposizione all'esecuzione, una tesi difensiva fondata su un diritto costituendo (e cioè che forse sorgerà, in virtù di sentenza costitutiva, nell'ipotesi di accoglimento della domanda relativa alla sopra citata "...servitù coattiva di fognatura...") deve ritenersi inammissibile non rientrando tra le ipotesi di possibile opposizione previste dal Legislatore con riferimento al processo esecutivo. Questa Corte deve pertanto, pronunciando nel merito, rigettare l'opposizione all'esecuzione.
Ovviamente quanto sopra esposto ha effetto assorbente rispetto al secondo motivo.
Quanto al terzo motivo basta rilevare che la revoca della concessa sospensione della provvisoria esecuzione, se ben si interpreta l'impugnata sentenza non fa parte del decisum (in altri termini non è oggetto di una pronuncia del Giudice) ma è una mera affermazione ad abundantiam (trattasi della tesi, che sembra enunciata in termini generati ed astratti, secondo cui alla "...statuizioni di cui sovra consegue la revoca della concessa sospensione dell'esecuzione...") e costituisce un mero obiter dictum non essendo volta sostenere (o ad integrare) il dispositivo (significativamente, non è enunciata nel dispositivo stesso ma sembrerebbe avere solo una qualche funzione di ulteriore chiarimento di altri assunti - peraltro, come già esposto, non condivisibili - del Tribunale).
Quindi detto terzo motivo, avendo ad oggetto un asserito capo della decisione che in realtà non sussiste, non può essere accolto. Anche se il primo motivo è stato accolto per quanto di ragione, in realtà la parte ricorrente è evidentemente soccombente;non si deve però provvedere sulle spese del giudizio di Cassazione dato che le parti intimate non hanno svolto attività difensiva. Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio di primo grado.