Cass. pen., sez. IV, sentenza 05/12/2022, n. 45948

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. IV, sentenza 05/12/2022, n. 45948
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 45948
Data del deposito : 5 dicembre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: DE CHECCHI GIULIANO nato a FOSSO il 05/09/1960 avverso l'ordinanza del 02/02/2022 della CORTE APPELLO di VENEZIAudita la relazione svolta dal Consigliere L V;
lette le conclusioni del PG che ha chiesto il rigetto del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. Con istanza depositata il 27 aprile 2017 il difensore di G D C, nell'interesse del proprio assistito, chiese la liquidazione dell'equa riparazione dovuta ad ingiusta sottoposizione a misura cautelare privativa della libertà personale che questi aveva sofferto nell'ambito del procedimento iscritto al numero 3177/93 del Registro notizie di reato della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Venezia. Come esposto dall'istante, la privazione della libertà personale era avvenuta sulla base di due diverse ordinanze cautelari pronunciate dal G.i.p. del Tribunale di Venezia nel medesimo procedimento, ma per reati diversi: la prima eseguita dal 13 aprile 1994 al 20 agosto 1995;
la seconda eseguita dal 19 febbraio 1996 al 12 marzo 1996. Con ordinanza del 7 novembre 2018 l'istanza fu dichiarata inammissibile dalla Corte di appello di Venezia perché non recava la sottoscrizione di D C. Secondo la Corte territoriale, poiché la procura speciale conferita al difensore non era posta in calce all'atto e non faceva espresso riferimento alla domanda di riparazione, non v'era certezza che l'istanza fosse stata proposta da soggetto legittimato. L'ordinanza con la quale era stata dichiarata l'inammissibilità dell'istanza fu annullata dalla Corte di cassazione con sentenza del 30 gennaio 2020. Di conseguenza, la Corte di appello di Venezia è stata nuovamente investita della richiesta di equa riparazione e l'ha respinta nel merito con ordinanza del 2 febbraio 2022. 2. La Corte territoriale riferisce che D C fu sottoposto a misura cautelare sulla base di due successive ordinanze. La prima fu emessa dal G.i.p. del Tribunale di Venezia in data 9 aprile 1994 per la ritenuta sussistenza di gravi indizi dei seguenti delitti: - artt. 110, 81, comma 2, cod. pen., 73 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, reato che, in ipotesi accusatoria, D C avrebbe commesso, in concorso col fratello M D C, cedendo e vendendo per la successiva distribuzione a terzi, «rilevanti non precisate quantità di eroina e cocaina, in Dolo e Mira sino alla fine di marzo del 1994» (capo A dell'imputazione provvisoria);
- artt. 110, 81, comma 2, 61 n. 2, 56, 629 cod. pen., reato che, in ipotesi accusatoria, D C avrebbe commesso, in concorso col fratello, «al fine di realizzare i profitti del traffico indicato sub A)», sottoponendo Fabio Ornnenese a «violenti pestaggi» al fine di ottenere da lui il pagamento degli «illeciti proventi derivanti dalla vendita di sostanze stupefacenti», «in Dolo e Mira sino alla fine di marzo del 1994» (capo B dell'imputazione provvisoria).L'ordinanza del 9 aprile 1994 disponeva la custodia in carcere, fu eseguita il 13 aprile 1994 e fu confermata dal Tribunale per il riesame il 29 aprile 1994. D C rimase detenuto fino al 10 giugno 1994, quando ottenne gli arresti domiciliari. Il 20 agosto 1995 fu posto in libertà. La seconda ordinanza fu emessa in data 14 febbraio 1996 dal G.i.p. presso il Tribunale di Venezia e fu eseguita il 19 febbraio 1996. D C fu sottoposto a misura custodiale per la ritenuta sussistenza di gravi indizi dei seguenti delitti: - artt. 110, 81, comma 2, e 73 d.P.R. 309/90, reato che egli avrebbe commesso, in concorso col fratello, M D C e con F O «in Fossò e Mira dal 1993 a tutt'oggi» (capo 40 dell'imputazione provvisoria);
- art. 74 d.p.r. 309/90 per aver costituito insieme a M D C, R M e F G una associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di stupefacenti «tra Vigonovo e Mira dal 1993 a tutt'oggi» (capo 43 dell'imputazione provvisoria);
- artt. 110, 56, 629 cod. pen., reato che, in ipotesi accusatoria, D C avrebbe commesso, in concorso col fratello, in danno di M B minacciandolo al fine di ottenere da lui il pagamento degli illeciti proventi della vendita di stupefacenti, «in provincia di Venezia, fine del 1994» (capo 46 dell'imputazione provvisoria);
- detenzione e porto in luogo pubblico di una pistola, reato che, in ipotesi accusatoria, D C avrebbe commesso, in concorso col fratello M, «in provincia di Venezia, fine del 1994» (capo 47 dell'imputazione provvisoria). Questa ordinanza fu annullata dal Tribunale per il riesame di Venezia in data 12 marzo 1996. Il Tribunale valutò che il quadro indiziario evidenziato nell'ordinanza cautelare non avesse carattere di gravità e G D C fu posto in libertà se non detenuto per altra causa.

2.1. Con sentenza del 18 maggio 2015 (irrevocabile il 16 ottobre 2015) il Tribunale di Venezia ha assolto G D C da due accuse: - avere, in concorso col fratello M, ceduto sostanza stupefacente «in ragione di circa 5 grammi a fornitura» a F O che doveva poi rivendere la sostanza a terzi (reato commesso «in Fossò-Mira «dal 1993 a tutt'oggi, salvo il breve periodo detentivo sofferto [...] per la medesima causa»);
- avere ceduto eroina a L G («in Campagna Lupia agli inizi del 1995»). La sentenza di assoluzione passata in giudicato si riferisce, dunque: in parte, a un fatto per il quale non è stata applicata misura cautelare (la cessione di eroina a L G);
in parte, ai fatti oggetto del capo 40) della seconda ordinanza, nel quale sono compresi - ratione temporis e in virtù del riferimento alla persona di F O - i fatti di cui al capo A) della prima ordinanza.

2.2. Dall'ordinanza impugnata emerge che le tentate estorsioni contestate al capo B) della prima ordinanza e al capo 46) della seconda ordinanza, così come il porto d'armi contestato al capo 47) della seconda ordinanza, furono oggetto di stralcio e che, in relazione a questi reati, la Procura della Repubblica di Venezia formulò richiesta di archiviazione, accolta dal G.i.p. il 2 settembre 2011. Quanto al reato di cui all'art. 74 d.P.R. n. 309/90 (capo 43 della seconda ordinanza) la Corte territoriale riferisce che, con sentenza della Corte di Assise di appello di Venezia del 31 ottobre 2001 (irrevocabile il 6 maggio 2003), G D C è stato ritenuto responsabile di violazione dell'art. 74 d.P.R. 309/90 per avere partecipato, insieme a M D C, G M, R M e F G ad una associazione a delinquere finalizzata all'acquisto e alla distribuzione di sostanze stupefacenti, operante dal 1992 al 1994, ed è stato condannato per questo (e per violazioni dell'art. 73 d.P.R. 309/90) alla pena di anni dodici di reclusione.

2.3. L'ordinanza impugnata ha ritenuto sussistente la colpa grave dell'interessato ai sensi dell'art. 314, comma 1, cod. proc. pen. osservando: - da un lato, che il quadro indiziario sulla base del quale le ordinanze cautelari furono emesse era grave;
- dall'altro, che le violazioni degli artt. 73 e 74 d.P.R. 309/90 accertate con la sentenza della Corte di Assise di appello di Venezia del 31 ottobre 2001 (irrevocabile il 6 maggio 2003) integrano comportamenti gravemente colposi che concorsero a determinare la privazione della libertà personale. La Corte territoriale sottolinea in proposito che, nel compendio probatorio valutato ai fini della condanna definitiva, vi sono anche gli atti del procedimento n. 3177/93 r.g.n.r. e che le condotte valutate ai fini di tale condanna sono state commesse in concorso con i medesimi soggetti indagati in quel procedimento e nel medesimo arco temporale.

3. Contro l'ordinanza è stato proposto tempestivo ricorso dal difensore di G D C che ha formulato un unico motivo, articolato in più punti, col quale lamenta: violazione di legge e falsa applicazione dell'art. 314 cod. proc. pen. e nullità dell'ordinanza per violazione dell'art. 178 lett. c) cod. proc. pen. Con riguardo al primo profilo, il difensore si duole che la Corte territoriale abbia ritenuto idonee ad integrare la colpa ostativa condotte che la sentenza di assoluzione ha ritenuto non sufficientemente provate escludendone la sussistenza. Osserva, poi, che la seconda ordinanza è stata annullata dal Tribunale per il riesame, sicché, riguardo ad essa, non deve trovare applicazione l'art. 314, comma 1, bensì l'art. 314, comma 2. cod. proc. pen. Sottolinea che la condizione ostativa al riconoscimento del diritto all'indennizzo, integrata dall'avere dato o concorso a dare causa alla custodia cautelare per dolo o colpa grave, non opera se l'accertamento dell'insussistenza ab origine delle condizioni di applicabilità della misura avviene sulla base dei medesimi elementi trasmessi al giudice che ha adottato il provvedimento cautelare in quanto, in tal caso, la condotta dolosa o colposa dell'imputato è priva di efficienza causale in ordine all'emissione della misura. Con specifico riferimento alle condotte valutate come colpose dall'ordinanza impugnata, la difesa lamenta che le stesse siano state desunte dagli atti di un diverso procedimento conclusosi con sentenza di condanna. Osserva che la Corte veneziana ha fondato la propria argomentazione sulle analogie esistenti tra gli elementi di fatto esaminati nei due procedimenti e ha posto in luce che i fatti ritenuti sussistenti nella sentenza definitiva di condanna furono commessi nel medesimo periodo di tempo cui si riferiscono i fatti oggetto delle ordinanze cautelari e in concorso con le medesime persone. Sostiene che l'argomentazione è viziata da errore di diritto perché il giudice della riparazione può tenere conto ai fini della propria decisione solo di quanto emerso nel procedimento in cui sono state adottate le misure cautelari e non anche dell'esito di procedimenti diversi. Sottolinea che il procedimento concluso con la sentenza di condanna cui l'ordinanza impugnata fa riferimento è diverso da quello nel quale D C sostiene di essere stato ingiustamente privato della libertà personale e che, quanto accertato con tale sentenza, non può aver avuto rilevanza causale nell'adozione dei provvedimenti privativi della libertà personale cui si riferisce l'istanza di equo indennizzo. Il ricorrente sostiene, inoltre, che l'ordinanza impugnata sarebbe affetta da nullità ai sensi dell'art. 178 lett. c) cod. proc. pen. perché la ricorrenza di una condotta colposa è stata affermata sulla base di documenti «acquisiti dopo che era stata espletata l'udienza pubblica di discussione dell'istanza» e senza che il ricorrente abbia potuto interloquire in proposito.
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