Cass. civ., sez. I, sentenza 17/07/2004, n. 13297
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In tema di dichiarazione dello stato di adottabilità, il diritto del minore ad essere educato nell'ambito della propria famiglia, sancito dall'art. 1 della legge 4 maggio 1983, n. 184, non può prescindere da un giudizio di idoneità della stessa famiglia, e tale giudizio, pur dovendo essere compiuto in modo relativo, ossia correlativamente anche all'ambiente in cui determinati comportamenti potrebbero considerarsi tollerabili, trova pur sempre un limite di carattere assoluto allorché vengano posti in essere o tollerati comportamenti che ripugnano alla coscienza sociale in qualsiasi contesto avvengano. (Nella fattispecie, la S.C. ha confermato il giudizio di inidoneità formulato dai giudici di merito in base all'accertata sottoposizione delle minori ad abusi sessuali e della dimostrata incapacità dei genitori di svolgere il loro ruolo esercitando la necessaria vigilanza).
Testo completo
ORIGINALE O Z T A EPUBBLICA ITALIANA D 13297/04 A B O L O L E A E N S I I S D E L A R T L ' . V - 9 4 TE 6 Oggetto 8 £ adottabilità SEZIONE PRIMA CIVILE N . 1 dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: 8 4 Dott. A S - Presidente R.G.N. 30003/03 Dott. U R P Rel. Consigliere 24120 Cron. Dott. D P Consigliere Rep. Dott. W C Consigliere Ud.09/06/04 Dott. F F Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: CIRELLA LUCIA, COSENZA GIUSEPPE, elettivamente domiciliati in ROMA VIALE DELLE MILIZIE 38, presso lo PERROTTA CASAGRANDE, rappresentati e STUDIO LEGALE - MARIO ANZISI, giusta mandato a difesi dall'avvocato margine del ricorso; - ricorrenti contro PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE CIANNELLA CARMINE, PROCURATORE GENERALE PRESSO D'APPELLO NAPOLI ; CASSAZIONE;COVELLI MARIO; - intimati -- 2004 T avverso la sentenza n. 11/03 della Corte d'Appello di 1438 -1- I NAPOLI, depositata il 08/07/03;1 udita la relazione della causa svolta nella pubblica dal Dott.Consigliere U udienza 09/06/2004del R PNCO; udito per il ricorrente 1'Avvocato ANZISI che ha chiesto l'accoglimento del ricorso e la declaratoria di illegittimità costituzionale del D.L. 150/01; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. L A R che ha concluso per il rigetto del ricorso. -2- SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto del 15-16.5.2000 il Tribunale per i Minorenni di Napoli dichiarava 10 stato di adottabilità di Annalisa Cosenza (nata in Napoli il 2.10.1989) e Jessica Cosenza (nata in Napoli il 23.8.1995) sul presupposto di una "assoluta, grave ed irreparabile incapacità dei genitori e del contesto familiare ad assicurare condizioni di vita adeguate e le necessarie cure" in quanto le minori mostravano segni evidenti di "esposizione ad esperienze di sessualità traumatica" e di "vissuti angosciosi e traumatici" in ambito familiare. 7 Con ricorso del 29.6.2000 i coniugi Giuseppe Cosenza e L C nonché i coniugi Antonio Cirella ed Anna Cercognito, nelle rispettive qualità di genitori e di nonni materni delle minori, proponevano opposizione avverso detto decreto, sostenendo l'insussistenza di qualsivoglia violazione agli obblighi gravanti sui genitori e sugli ascendenti e lamentando che le periodiche visite della madre e della nonna presso gli istituti nei quali le minori erano state ricovarate dallo stesso Tribunale erano state ritenute deleterie per le minori, senza considerare che le esperienze traumatiche di sessualità risultanti 3 dalla consulenza psicodiagnostica potevano essere state determinate altrove e non necessariamente in ambiente familiare. Con sentenza del 4.12.2000 il Tribunale per i l'opposizione, ravvisando Minorenni rigettava l'esistenza di una situazione di abbandono irreversibile delle minori ed evidenziando che, a fronte degli effetti devastanti legati agli abusi intravedevano subiti dalle minori, non si parentale e possibilità di recupero del ruolo familiare. Proponevano impugnazione i genitori delle 2 minori ed, all'esito del giudizio, la Corte - sezione per i minorenni con d'Appello di Napoli - sentenza del 27.3-8.7.2003 rigettava il gravame. Dopo aver affermato che il principio enunciato nell'art. 1 della Legge 184/83, secondo cui "il minore ha diritto ad essere educato nell'ambito della propria famiglia", presuppone la presenza di una famiglia idonea al compito formativo della prole e che la inidoneità costituisce il presupposto per l'accesso agli istituti dell'affido e dell'adozione, richiamava la Corte d'Appello i vari provvedimenti con cui erano stati disposti l'allontanamento delle minori ed il loro 4 collocamento in ambiente familiare nonché la sospensione della potestà genitoriale. Evidenziava quindi il quadro allarmante che emergeva dall'osservazione psicodiagnostica delle minori esposte ad esperienze di sessualità traumatica, riportando il racconto da loro fatto con riferimenti a particolari che denotavano conoscenze di esperienze sessuali non appropriate all'età. Riteneva inoltre non decisivo che ii procedimento penale a carico dei genitori per il reato di cui all'art. 609 bis C.P. fosse stato archiviato per l'impossibilità di individuare i soggetti che materialmente avevano posto in essere gli abusi sessuali sulle minori sia perché non è stata riprodotta nel nuovo C.P.P. la disposizione di cui all'art. 3 comma 2 del codice di rito previgente con l'eliminazione così della cosiddetta pregiudiziale penale, sia per l'ampiezza della delibazione del giudice minorile (situazione di abbandono materiale e morale) che eccede la configurazione del fatto-reato, sia per il trauma psicologico riscontrato nelle minori che hanno reiteratamente manifestato il loro rifiuto nei confronti delle figure parentali e sia infine 5 perchè, in ogni caso, anche qualora i genitori non fossero stati partecipi o complici degli abusi, si verserebbe pur sempre in un'ipotesi di grave "culpa in vigilando" in quanto la reiterazione nel tempo degli episodi non poteva passare inosservata a genitori di media e normale diligenza, mentre nel caso in essiesame avevano nonmostrato di aver capito ancora nulla della tragica esperienza che aveva segnato le minori. Il tutto peraltro anche in segnalazioni in ordine alla presenza di varie trascuratezza con cui erano tenute sotto il profilo igienico-sanitario. Confermava quindi lo stato di * abbandono morale e materiale in cui versavano le minori in conseguenza della comprovata incapacità - dei genitori in modo idoneo il loro gestirea ruolo. Avverso tale sentenza propongono ricorso per cassazione G C e L C, deducendo cinque motivi di censura. MOTIVI DELLA DECISIONE Con il primo motivo di ricorso Giuseppe Cosenza e L C denunciano violazione e falsa applicazione dell'art. 8 della Legge 184/83 così come modificato dall'art. 17 comma 1 della Legge 28.3.2001 n.149, lamentando che la Corte 6 d'Appello non abbia tenuto conto di tale modifica che prevede l'assistenza del legale dei genitori nel corso dell'intero procedimento di adottabilità e non ne abbia conseguentemente disposto la rinnovazione od il rinvio a tal fine al Tribunale processuale di trattasi di norma in quanto applicazione, suggerita dalla nuova immediata formulazione dell'art. 111 Cost. Sollevano poi, per l'ipotesi che la tesi non fosse condivisa, eccezione di illegittimità costituzionale dell'art. 8, nel testo anteriore alla modifica, in relazione all'art. 24 Cost.. La censura è infondata. I ricorrenti, nel sostenere la necessità dell'assistenza legale del minore e dei genitori (o degli altri parenti) sin dall'inizio del procedimento volto ad accertare la sussistenza delle condizioni per la dichiarazione dello stato di adottabilità, richiamano l'art. 8 comma 4 della Legge n.184/83 come sostituito dall'art. comma 4 della Legge 28.3.2001 n.149. però che Una tale tesi non tiene conto l'entrata in vigore della nuova disciplina processuale è stata differita, in un primo tempo, al 30.6.2002 con D.L. 150/01 (convertito con 7 modifiche dalla Legge 240/01), successivamente al 30.6.2003 con D.L. 126/02 (convertito con modifiche dalla Legge 175/02), poi al 30.6.2004 con D.L. (convertito con modifiche dalla Legge 147/03 200/03) ed infine al 30.6.2005 dall'art. 2 D.L. 24.6.2004 n.158, ancora non convertito. Conseguentemente, non solo avanti al Tribunale ed alla Corte d'Appello ma anche nel presente giudizio di legittimità, la nuova disciplina non avrebbe potuto trovare applicazione, essendo ancora in vigore la precedente la quale nella fase preliminare, che si esaurisce con decreto (artt. da 10 a 15), non prevede l'assistenza di un difensore. In ogni caso, trattandosi di una fase ormai esaurita, essa non avrebbe potuto, secondo principi che regolano l'efficacia della legge processuale nel tempo, retroagire e comportare la nullità dell'intero procedimento e la necessità della sua rinnovazione. E' da rilevare, peraltro, che il procedimento in esame è stato strutturato diversamente con la Legge 149/01, non essendo più contemplata la fase a cognizione sommaria prevista invece dalla Legge la possibilità di emettere184/83 ma solo provvedimenti provvisori nell'ambito dell'unica 8 fase del giudizio di primo grado. Manifestamente infondata deve ritenersi infine l'eccezione di illegittimità costituzionale dell'art. 8 della Legge in esame n.184/83 nella sua formulazione originaria ancora in vigore, subordinatasollevata dai ricorrenti in via in relazione all'art. 24 comma 2 ed all'art. 3 Cost.. La Corte Costituzionale con sentenza n.160 del 10.5.1995 ha già affrontato la questione ritenendola infondata sul rilievo dell'esigenza di maggiore celerità della fase ėsommaria della possibilità, in ogni caso, della parte interessata di nominare un proprio difensore di fiducia, senza : che, in mancanza, possa ravvisarsi un obbligo del giudice di nominare un difensore di ufficio. Né diverse conclusioni,a sia pure sotto il profilo della non manifesta infondatezza, potrebbe pervenirsi sulla base del nuovo testo dell'art. 111 Cost. ed in particolare della prevista necessità del contraddittorio, essendo già contenuto un tale 1principio in termini anche più specifici ai fini in esame ("la difesa è un diritto inviolabile in ogni stato e grado del processo") nell'art. 24 comma 2 Cost., sotto il cui profilo la Corte Costituzionale ha esaminato la questione. 9 ☐ Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano contraddittorietà ed insufficienza illogicità, motivazione. Lamentano che la sentenza della impugnata non indica i motivi di diritto posti a base della decisione, sostenendo che essa si fonda sul presunto abuso compiuto dai genitori o da altri nei confronti delle minori, senza alcun riferimento allo stato di abbandono richiesto dall'art. 8 della Legge 184/83 e nonostante fossero cadute in sede penale le accuse formulate a loro carico, frutto di deduzioni degli assistenti sociali. Sostengono inoltre che non si tenuto conto del livello molto basso in cui delle socio-culturale sono utilizzate con significato espressioni improprio. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione dell'art. 1 della Legge 184/83. Lamentano che la Corte d'Appello, nel sostenere l'inidoneità della famiglia di origine al fine di superare il principio contenuto nell'art. 1, secondo cui il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell'ambito della propria famiglia, non abbia effettuato con la necessaria cura l'analisi in ordine alla realtà familiare di provenienza delle minori, ai rapporti affettivi, ai 10 legami con la realtà circostante, allo stile di vita ed al livello socio-culturale della famiglia nonchè alle abitudini delle minori medesime. Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 8 e 10 della Legge 184/83, lamentando che la Corte d'Appello abbia ravvisato 10 stato di abbandono delle minori nella mancata assistenza materiale e morale, nell'incuria protratta nel tempo, nei maltrattamenti e negli abusi sessuali e che la carenza affettiva sia stata fondata sui presunti abusi sessuali, senza considerare adeguatamente, anche in relazione all'art. 17 comma 4 in base al quale possono essere valutati anche fatti sopravvenuti alla dichiarazione di adottabilità, che tali accuse erano state archiviate nel relativo procedimento penale. Sostengono inoltre, quanto alla mancata assistenza materiale, che nei limiti possibilità avevano provveduto aldelle loro mantenimento delle figlie, dichiarandosi anche disposti, sin dall'inizio, a ricevere aiuto dalle strutture proposte. Con il quinto motivo infine i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 5 ed 8 della Legge 184/83. Deducono che, pur 11 di aver qualche contatto con le figlie, nel 1997 si erano spinte a sottrarle per pochi giorni e che da allora era stato loro sempre negato di vederle nonostante la "ratio" delle norme richiamate sia quella di evitare che in caso di affidamento, per sua natura temporaneo, il minore possa perdere qualsiasi contatto con la propria famiglia creando i presupposti per un rifiuto da parte del medesimo nei confronti dei genitori. I motivi di ricorso fin qui sommariamente esposti, da esaminarsi congiuntamente per l'intima connessione delle doglianze espresse, contengono sostanzialmente, sebbene anche sotto l'apparente censura di violazione di legge, delle questioni di : merito non proponibili in sede di legittimità in quanto volte a prospettare una situazione di fatto difforme da quella accertata dalla Corte d'Appello attraverso una diversa interpretazione delle circostanze emerse ovvero mediante la valorizzazione di alcune di esse che non sarebbero state adeguatamente valutate dalla sentenza impugnata 0 la sottovalutazione di altre che ritenutesarebbero state invece erroneamente decisive. Ciò tanto più se si consideri che in base alla disciplina ancora in vigore non è consentito " 12 il ricorso per cassazione per difetto di motivazione ma solo per violazione di legge (art. 17 u.c. Legge 184/83). La Corte d'Appello del resto ha ampiamente motivato le conclusioni cui è pervenuta in ordine all'esistenza dello stato di abbandono morale e materiale in cui versavano le minori, sottolineando i numerosi abusi sessuali cui erano state sottoposte nell'ambito della loro stessa famiglia, come era risultato dalla consulenza psicodiagnostica espletata nel corso del giudizio e rilevando come, in ogni caso, non potesse escludersi una "culpa in vigilando" dei genitori, reiterazione degli episodi di abuso, attesa la si volesse escludere una quand' anche loro partecipazione attiva. In tale contesto perde, oltre tutto, ogni rilievo il riferimento all'intervenuta assoluzione dal reato di violenza sessuale di cui all'art. 609 bis C.P. loro contestato, permanendo pur sempre il giudizio negativo che la Corte d'Appello ha espresso anche sotto il suddetto diverso profilo. Peraltro, sempre in relazione alla sentenza penale, non possono non evidenziarsi le corrette argomentazioni sul piano giuridico esposte dalla 13 nell'escludere ogni effetto Corte d'Appello pronuncia sul rilievo del preclusivo а detta diverso ambito del giudizio penale rispetto a quello ben più ampio del giudizio minorile in presenza del più vasto contenuto desumibile dalla previsione dello stato di abbandono morale e materiale a fronte della specificità della previsione penale. Del resto la genericità sul punto del motivo ricorso, che non consente di conoscere gli di esatti termini dell'imputazione né i fatti specifici contestati in quella sede e né infine l'esatto contenuto della doglianza dedotta con l'atto di appello, avrebbe precluso in ogni caso in questa sede ogni possibile valutazione sulla esclusione degli effetti del giudicato affermata dalla Corte d'Appello e sulla sostanziale inoperatività dell'art. 654 C.P.P. che ne derivata. E' appena il caso solo di rilevare il non puntuale riferimento operato dalla Corte d'Appello alla cosiddetta pregiudizialità penale ed alla sua inapplicabilità sulla base del nuovo testo dell'art. 295 C.P.C. che non ha riprodotto la norma di cui all'art. 3 comma 2 del C.P.P. previgente. 14 Tale istituto riguardava infatti la diversa ipotesi della sospensione del giudizio civile qualora il procedimento penale fosse ancora in corso ed avesse carattere pregiudiziale, mentre nel caso in esame il richiamato procedimento risulta definito, con la conseguenza che la soluzione poggia sull'art. 654 è stata sottolineata C.P.P. di cui sopra l'inapplicabilità. Attese le conclusioni cui è pervenuta la Corte d'Appello, la questione non è però decisiva ed è sufficiente corregerne la motivazione nei termini sopra esposti ai sensi dell'art.384 comma 2 C.P.C.. Né può essere condivisa la doglianza relativa alla mancata considerazione del contesto socio- familiare in cui le bambine sono nate e vissute per alcuni anni, avendo la Corte d'Appello correttamente sottolineato in linea di principio come il diritto del minore ad essere educato nell'ambito della propria famiglia, sancito dall'art. 1 della Legge 184/83, non possa prescindere da un giudizio di idoneità della stessa famiglia. E' fin troppo ovvio del resto che tale giudizio di idoneità, pur dovendosi interpretare in modo relativo, correlativamente cioè anche all'ambiente in cui determinati comportamenti 15 F potrebbero considerarsi trovatollerabili, pur sempre un limite di carattere assoluto allorchè оessere tollerati comportamenti vengano posti in che ripugnano alla coscienza sociale in qualsiasi contesto essi avvengano. tale è la valutazione sostanzialmente espressa dalla Corte d'Appello nel formulare il suo giudizio di inidoneità a seguito di un minuzioso esame delle numerose risultanze emerse e del quadro altamente allarmante prospettato, che evidenzia, da una parte, gli abusi cui le minori sono state assogettate e, dall'altra, l'incapacità dei genitori nell'ipotesi per loro più favorevole di omessa vigilanza di esercitare adeguatamente il loro ruolo. Anche per quanto riguarda la disposta sospensione di ogni frequentazione fra le minori ed i genitori, censurata in particolare con il quinto motivo, la Corte d'Appello fornisce una congrua motivazione basata non solo sulla gravità dei fatti e sull'ulteriore pregiudizio cheaccertati deriverebbe alle minori ma altresì sul rifiuto espresso da costoro ed al quale legittimamente è sintomatico della stato attribuito rilievo potenzialità negativa che tali incontri " 16 1 assumerebbero. In definitiva i quattro motivi in esame vanno dichiarati inammissibili per le esposte ragioni, mentre il ricorso nel suo complesso va rigettato in considerazione dell'infondatezza del primo motivo. Nulla va disposto in ordine alle spese, non essendosi costituita nessuna delle controparti.