Cass. pen., sez. I, sentenza 02/01/2023, n. 00016

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. I, sentenza 02/01/2023, n. 00016
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 00016
Data del deposito : 2 gennaio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: BUNEA RAZVAN GABRIEL nato il 17/11/1997 avverso l'ordinanza del 13/01/2022 della CORTE APPELLO di ROMAudita la relazione svolta dal Consigliere C R;
lette le conclusioni del PG, LUIGI CUOMO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Ritenuto in fatto 1. Con provvedimento del 12 ottobre 2021 il Tribunale di primo grado di Vaslui (Romania) ha disposto l'esecuzione della pena conseguente ad otto diverse condanne inflitte, per reati commessi in Romania, nei confronti del cittadino rumeno G B R, ed ha emesso conseguente mandato di arresto europeo. Tra tali sentenze di condanna vi era anche quella n. 1573 del 2019 del Tribunale di primo grado di Focsani, che condannava il ricorrente ad 1 anno di reclusione per un reato di furto in abitazione commesso tra il 28 ed il 29 aprile 2019. Con sentenza del 18 novembre 2021 la Corte d'appello di Roma ha rifiutato la consegna alla Romania del cittadino rumeno, ritenendo lo stesso ormai radicato in Italia, e contemporaneamente, ai sensi del d. Igs. 7 ottobre 2010, n. 161, ha riconosciuto le sentenze di condanna estere emesse nei suoi confronti, disponendo che la pena fosse scontata in Italia. Con successiva ordinanza del 13 gennaio 2022 la Corte d'appello di Roma, in funzione di giudice dell'esecuzione, ha accolto l'istanza del pubblico ministero di determinazione del quantum di pena da imputare al reato di furto in abitazione commesso la notte tra il 28 ed il 29 aprile 2019, reato ostativo alla sospensione dell'esecuzione, e, previo scioglimento del cumulo, ha determinato tale pena in 1 anno di reclusione.

2. Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso il condannato, per il tramite del difensore, con unico motivo, in cui deduce reformatio in i)eius rispetto al provvedimento dell'autorità giudiziaria rumena che aveva chiesto la consegna, v in quanto il ricorrente era stato effettivamenté\c5 un anno di reclusione per il reato di furto in abitazione in esame, ma poi nel successivo provvedimento di cumulo ofél Tribunale di primo grado di Vaslui del 12 ottobre 2021 aveva rideterminato la pena per questo titolo, divenuto reato satellite. Pur non essendovi l'indicazione precisa della pena rideterminata per questo reato, la circostanza che l'aumento complessivo di pena per i reati satellite fosse pari ad 1/3 della pena risultante dal cumulo materiale, doveva indurre a ritenere che l'autorità giudiziaria rumena avesse rideterminato in soli 4 mesi di reclusione la pena per il furto in abitazione in esame.

3. Con requisitoria scritta il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione, dr. Luigi Cuomo, ha concluso per il rigetto del ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato. Nel provvedimento del 21 ottobre 2021, equivalente - per la parte che riguarda questo giudizio - a quello esistente nel nostro sistema processuale di applicazione della continuazione in executivis, il Tribunale di primo grado di Vaslui ha ridotto la pena di 1 anno di reclusione inflitta in sentenza in una pena che in effetti non è ben specificata, perché oggetto di un provvedimento cumulativo che riguardava tutti i reati satellite per cui era stato condannato il ricorrente, ma in ogni caso pari complessivamente ad 1/3 della pena risultante dal cumulo materiale delle pene inflitte con le varie pronunce di condanna.La Corte di appello di Roma ha, invece, determinato la pena da imputare al furto in abitazione in 1 anno di reclusione, riprendendo quindi la pena originaria inflitta in sentenza, che, però, non era più pena legale nell'ordinamento rumeno per effetto dell'intervento del provvedimento del 21 ottobre citato. Il sistema non consente al giudice interno ad quem di discostarsi dalla pena inflitta dal giudice dell'ordinamento a quo, perché se è vero che l'art. 3, comma 1, legge 3 luglio 1989, n. 257, recante "disposizioni per l'attuazione di convenzioni internazionali aventi ad oggetto l'esecuzione delle sentenze penali", prevede che "con la sentenza di riconoscimento la corte di appello determina, sulla base della pena stabilita nella sentenza straniera, la pena, prevista dalla legge italiana, che deve essere ancora eseguita", lasciando pensare ad una certa libertà nella determinazione della pena da parte del giudice interno che dispone il riconoscimento della sentenza di condanna estera, però è anche vero che il comma 2 della stessa norma aggiunge che, "nel determinare la pena, la corte di appello applica i criteri previsti nell'articolo 10 della convenzione", ed il comma 3 precisa ulteriormente che, soltanto "quando l'entità della pena non è stabilita nella sentenza straniera, la corte la determina sulla base dei criteri indicati negli articoli 133, 133- bis e 133- ter del codice penale". L'art. 10 della Convenzione di Strasburgo del 21 marzo 1983 sul trasferimento delle persone condannate, richiamato dall'art. 3, comma 2, citato, dispone che: "in caso di proseguimento dell'esecuzione, lo Stato d'esecuzione è vincolato dalla natura giuridica e dalla durata della sanzione quali risultano dalla condanna. Tuttavia, qualora la natura o la durata di questa sanzione fossero incompatibili con la sua legislazione, o se la sua legislazione lo esigesse, lo Stato di esecuzione può, mediante una decisione giudiziaria o amministrativa, adattare questa sanzione alla pena o alla misura previste dalla propria legge per reati della stessa natura. Quanto alla sua natura, tale pena o misura corrisponde, per quanto possibile, a quella inflitta dalla condanna da eseguire. Essa non può aggravare, per sua natura o durata, la sanzione pronunciata nello Stato di condanna né eccedere il massimo previsto dalla legge dello Stato d'esecuzione". Il sistema processuale prevede, pertanto, che il giudice interno si debba limitare a recepire la pena estera e soltanto "quando l'entità della pena non è stabilita nella sentenza straniera, la corte la determina sulla base dei criteri indicati negli articoli 133, 133- bis e 133- ter del codice penale", come prevede il comma 3 dell'art. 3 I. n. 257 del 1989 sopra citata. D'altronde, l'art. 9 della Convenzione di Strasburgo, che avrebbe consentito anche l'applicazione di una procedura diversa che lascia più margine di libertà al giudice interno, disponendo che "le autorità competenti dello Stato di esecuzione devono: a) continuare l'esecuzione della condanna immediatamente o sulla base di una decisione giudiziaria o amministrativa, alle condizioni previste dall'articolo 10;
o b) convertire, per mezzo di una procedura giudiziaria o amministrativa, la condanna in una decisione di detto Stato, sostituendo in tal modo la pena inflitta nello Stato di condanna con una sanzione prevista dalla legge dello Stato di esecuzione per lo stesso reato, alle condizioni previste all'articolo 11", è stato recepito solo parzialmente nell'ordinamento interno. L'art. 3 della legge di ratifica 25 luglio 1988, n. 334 ha disposto, infatti, espressamente che "ai sensi dell'articolo 3, paragrafo 3, della convenzione e' esclusa l'applicazione della procedura prevista nell'articolo 9, paragrafo 1, lettera b), della convenzione stessa". In definitiva, nell'ordinamento interno è possibile solo "continuare" l'esecuzione della condanna, ma non "convertire" la stessa (Sez. 6, Sentenza n. 14505 del 20/03/2018, D S, Rv. 272480: "ai fini dell'esecuzione in Italia della pena detentiva inflitta all'estero, nei casi di applicazione della Convenzione di Strasburgo sul trasferimento delle persone condannate del 21 marzo 1983, la corte d'appello, in forza del regime della continuazione scelto con la legge di ratifica del 25 luglio 1988, n. 334, non deve convertire la pena inflitta dal giudice straniero, ma, a differenza di quanto previsto dall'art. 735 cod. proc. pen., deve limitarsi a recepirla, salvo il limite previsto dall'art. 10 della C°. nv. cit., espressamente richiamato dall'art. 3, legge 3 luglio 1989, n. 257, della sua incompatibilità, per durata o natura, con quella edittale prevista dalla legislazione interna, nel qual caso potrà adattare detta sanzione a quella prevista per reati della stessa natura, purchè non sia più grave o più lunga). In definitiva, il giudice interno non è libero nella determinazione della pena da applicare al condannato, e si deve limitare a recepire la pena inflitta dal giudice straniero, fatti salvi i limiti indicati dall'art. 10 della citata Convenzione che possono giustificare un circoscritto "adattamento" della sanzione stessa (Sez. 6, n. 21955 del 04/05/2006, F, Rv. 234739;
Sez. 5, n. 3597 del 15/11/1993, D C, Rv. 197022). Ne consegue che il ricorso deve essere accolto, con rinvio per nuovo giudizio.
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