Cass. pen., sez. II, sentenza 01/07/2021, n. 25168

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. II, sentenza 01/07/2021, n. 25168
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 25168
Data del deposito : 1 luglio 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: B VITTORIO nato a PALERMO il 18/05/1956 avverso l'ordinanza del 04/12/2020 del TRIB. LIBERTA di PALERMOudita la relazione svolta dal Consigliere A M;
sentite le conclusioni del PG ETTORE PEDICINI, per l'inammissibilita' del ricorso;
udito il difensore avv V G, sostituto per delega orale, il quale si riporta ai motivi del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 4/12/2020- dep. 7/12/2020 il TRIBUNALE di PALERMO- sez. riesame confermava l'ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari del GIP di PALERMO in data 6/11/2020 nei confronti di B V, indagato per il reato di usura continuata, commesso dal 2011 fino al 10/12/2018. A costui si contestava di svolgere una attività non autorizzata di finanziamento nel settore di piccoli prestiti di denaro a privati per l'acquisto di abbigliamento al negozio PECORARO, sito a PALERMO in viale Lazio, ove i 'clienti' dell'indagato si recavano per acquistare direttamente merce, fino a un limite di spesa fissato da B: ciò veniva rIportato nel cartellino verde che veniva esibito al titolare del negozio, il quale dapprima riceveva garanzia, poi era pagato dallo stesso B, che riscuoteva per tale attività tassi di interesse attorno al 25-30% all'anno, e talvolta superavano tale percentuale.

2. B propone ricorso per cassazione, e deduce come motivo anzitutto la carenza o illogicità della motivazione quanto all'aver ritenuto la sussistenza del delitto di cui all'art. 644 co. 1, 3 e 5 n. 3 cod. pen. Rileva anzitutto che le relazioni di affari intrattenute dall'indagato non riguardavano soltanto l'attività di finanziamento, bensì pure quella di intermediazione col grossista, poiché altrimenti il grossista non avrebbe accordato la vendita della merce: per questo la somma che dapprima il GIP e poi il TRIBUNALE avevano ritenuto costituire nel suo insieme interessi in realtà includeva anche l'importo della commissione per l'anzidetta intermediazione. Aggiunge che il tasso soglia avrebbe dovuto essere determinato aumentando della metà i valori stabiliti periodicamente con decreto del Ministero dell'Economia e delle Finanze in base ai tassi effettivi globali medi rilevati dalla Banca d'Italia e dall'Ufficio italiano cambi, ai sensi dell'art. 2 della legge n. 108/1996, poiché quest'ultimo non rappresentava il parametro normativo dell'usura;
al contrario, il tasso soglia indicato nel prospetto della GdF aveva tenuto conto soltanto - e in modo errato - del tasso comunicato dalla Banca d'Italia. Contestava la tesi del Collegio del riesame, secondo cui ai fini della configurazione dell'ipotesi di cui al co. 3 dell'art. 644 cod. pen., fosse superfluo il riferimento a qualsiasi tasso limite;
in realtà, il reato contestato al capo di imputazione appariva generico perché non era chiaro a quale delle due fattispecie descritte dal comma essa si riferisse: comunque l'intero impianto accusatorio si fondava sull'avere gli interessi applicati superato il tasso soglia stabilito dalla Banca d'Italia nel periodo storico di riferimento, e quindi non era possibile aver presenti anche interessi inferiori al tasso soglia, ma sproporzionati riguardo alle concrete modalità del fatto. Su queste ultime sarebbe mancata una indagine mirata. Ulteriore vizio di motivazione emergerebbe dalla difficoltà economiche delle vittime, contestate quale aggravante, poiché non sarebbe stata data la prova dell'approfittamento dei clienti, e il TRIBUNALE si sarebbe limitato per un verso a usare formule di stile, per altro verso a contraddire sé stesso: infatti, nella trattazione delle esigenze cautelari aveva escluso che per le vittime sussistesse lo stato di bisogno. Altrettanto indimostrata sarebbe stata la tesi del riesame, secondo cui le condizioni praticate nel settore dei finanziamenti commerciali avrebbero tassi del 6-7 %, comunque non superiori al 10%.

3. Un profilo sul quale il ricorso ha molto insistito attiene alla durata del prestito: che le rate per i vari fruitori dei prestiti fossero risultate dilazionate in modo indefinito precludeva l'effettiva determinazione degli interessi in concreto praticati, e di conseguenza la qualificazione illecita in termini di usura a causa dell'ipotizzato superamento del tasso soglia. Il TRIBUNALE si sarebbe limitato a considerare l'importo del prestito originario e l'importo da restituire e, sul presupposto che si sarebbe trattato di rate mensili, avrebbe ricavato dalla periodicità mensile la durata del prestito;
al contrario, nelle dichiarazioni delle presunte persone offese veniva fuori che - pur con un tasso convenuto al 30% (da presumere annuo) rispetto a quanto ricevuto - non era stato stabilito un tempo preciso per estinguere il debito: il rientro era di fatto rimesso alle possibilità del debitore. Quel che costui doveva assicurare era la restituzione integrale di quanto ottenuto, se pure con importi variabili, non necessariamente mensili e senza l'imposizione di un termine finale;
la stessa polizia giudiziaria aveva constatato che sulle schede dell'indagato talora era indicata la restituzione di 200 euro, talaltra di 100, o di 50, o di 20. La difesa censura che sulla posizione di
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