Cass. civ., SS.UU., sentenza 11/09/2013, n. 20815
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È affetta dai vizi di violazione di legge e difetto di motivazione - tanto da giustificare il suo annullamento con rinvio - la sentenza con cui la sezione disciplinare del Cons. Sup. Magistratura ha ravvisato l'illecito disciplinare di cui agli artt. 1 e 2, comma 1, lettera q), del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109 a carico di un magistrato che abbia invece invocato, a giustificazione del ritardo nel deposito di provvedimenti giurisdizionali, la circostanza che lo stesso sarebbe dipeso dall'astensione obbligatoria e facoltativa per maternità, omettendo detta pronuncia di dare adeguato rilievo alla normativa primaria e secondaria posta a tutela della lavoratrice madre (legge 10 aprile 1991, n. 195, d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151, e circolari consiliari del 10 aprile 1996, 6 marzo 1998 e del 4 dicembre 2000), e, dunque, di verificare se l'organizzazione del lavoro giudiziario, attuata presso l'ufficio di appartenenza del magistrato, fosse stata rispettosa di tale apparato normativo e se i ritardi non fossero stati, invece, correlati ad essa.
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. L M G - Primo Presidente f.f. -
Dott. R R - Presidente Sez. -
Dott. S A - Consigliere -
Dott. C A - Consigliere -
Dott. P C - Consigliere -
Dott. C M M - Consigliere -
Dott. M G - Consigliere -
Dott. V B - Consigliere -
Dott. D'ASCOLA Pasquale - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 1763/2013 proposto da:
D.G.B. , elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
SANT'ELENA 29, presso lo studio dell'avvocato R G, che la rappresenta e difende, per delega a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE, MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;
- intimati -
avverso la sentenza n. 146/2012 del CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA, depositata il 15/11/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/05/2013 dal Consigliere Dott. PASQUALE D'ASCOLA;
udito l'Avvocato G R;
udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott. A U, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1) La dottoressa B..D.G. , giudice presso il
Tribunale di Terni, è stata incolpata dell'illecito disciplinare di cui al D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 1, e art. 2, comma 1, lett. q), per avere ritardato, eccedendo oltre tre volte i termini previsti dalla legge per il compimento dell'atto, nel periodo di servizio presso detto ufficio compreso tra il (omesso) e il (omesso) , il deposito di 199 sentenze civili, di cui 185 monocratiche e 14 collegiali;
221 ordinanze in materia civile, nonché altre 9 ordinanze riservate, non ancora depositate alla data dell'ispezione.
Il capo di incolpazione precisa che in due casi i ritardi nel deposito delle sentenze collegiali superavano l'anno, oltrepassato per diciotto volte nel deposito delle sentenze monocratiche. Quanto alle ordinanze, i ritardi superavano in tre casi i 300 giorni, in sedici casi i 200 ed in ventisette casi si attestavano tra i 100 e i 200 giorni.
La Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura ha ritenuto l'incolpata responsabile dell'addebito e le ha comminato la sanzione della censura.
La dottoressa D.G. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
Il Ministero della giustizia non si è costituito, benché ritualmente reso edotto dell'impugnazione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
2) Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 1, e art. 2, comma 1, lett. q), del D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 32, dell'art. 31 Cost., delle norme sulla tutela e sostegno della maternità.
Denuncia inoltre carenza e contraddittorietà della motivazione. Dopo aver riepilogato i principi fondamentali in tema di illecito disciplinare per ritardo nel deposito dei provvedimenti, l'istante sottolinea la rilevanza della condizione soggettiva del magistrato e in particolare dello stato di maternità, richiamando il diritto al congedo parentale (art. 32 cit.), trascorso il periodo di congedo obbligatorio per maternità di cui al Capo III, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi.
Il ricorso riporta la prescrizione della circolare CSM n. 160/96, ribadita dalla deliberazione 13 luglio 2006, relativa agli obblighi del dirigente dell'ufficio di rendere compatibile l'impegno lavorativo con i doveri di assistenza al bambino inferiore ai tre anni di età. Menziona la delibera 11 novembre 1998 in materia e la circostanza che il ritardo nel deposito delle decisioni causato dall'astensione obbligatoria e facoltativa non può avere rilevanza disciplinare.
Lamenta che tali principi siano stati disattesi dalla sentenza disciplinare.
A tal fine, pur nell'ambito di una riconsiderazione complessiva dell'adempimento dei doveri di ufficio da parte della ricorrente, il ricorso evidenzia che i ritardi sarebbero maturati negli anni XXXX e XXXX, quando l'incolpata aveva appena preso possesso dell'ufficio in Terni e in coincidenza con la nascita della terza figlia, avvenuta nel (omesso) , fatto che avrebbe dovuto comportare la neutralizzazione di nove mesi dal computo dei termini, tenendo conto di astensione obbligatoria, facoltativa e ferie.
Lamenta specificamente che la condizione di maternità non sia stata considerata in relazione ai ritardi contestati e al carico di lavoro assegnato.
3) Il secondo motivo, che attiene a vizi di motivazione, muove dal rilievo che la modesta produttività addebitata alla ricorrente coincide con gli anni, (omesso) , incisi dalla terza maternità, senza considerare che negli anni in cui l'incolpata aveva operato "a regime" la produttività era stata in linea con quella degli altri magistrati.
La ricorrente si duole della omessa considerazione della consistenza dei carichi di lavoro imposti, pur descritti nella nota presidenziale del 5.10.2009 e comprovati in atti;
osserva che la sentenza ignora gli sconvolgimenti organizzativi imposti dalla diversificazione di funzioni da svolgere e dall'impegno anche in materia penale, quale componente del tribunale del riesame e quale supplente GUP. 4) Le censure così sintetizzate vanno esaminate congiuntamente. La sentenza impugnata, dopo aver premesso i principi giurisprudenziali dominanti in tema di reiterazione e gravità dei ritardi, si sofferma sulla "non giustificazione" di essi quale elemento costitutivo della fattispecie, sottolineando che la giustificazione, secondo la struttura della fattispecie normativa de qua, va riferita a situazioni oggettive che abbiano avuto specifica incidenza causale sui ritardi.
Approfondisce poi il criterio della inesigibilità, caratterizzato, ad avviso della Sezione disciplinare, dal necessario riferimento alle cause "espressamente codificate" di giustificazione e di esclusione della colpevolezza.
Aggiunge che l'antigiuridicità della condotta, che da corpo all'illecito, rende tendenzialmente ingiustificabili ritardi superiori ad un anno, che violano i termini del giusto processo. In una fattispecie ad antigiuridicità speciale, osserva la Sezione, il requisito della mancanza di giustificazione, in quanto interno alla fattispecie, va posto in relazione con il requisito della gravità dei ritardi, sicché ogni esigenza di giustificazione dovrebbe essere sempre messa in rapporto di ragionevole proporzione con l'entità dei ritardi.
Ne desume che la giustificazione, pur possibile, può scaturire soltanto da una o più circostanze eccezionali e transitorie. 4.1) Venendo all'esame del caso, la