Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 12/06/2004, n. 11212

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 12/06/2004, n. 11212
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 11212
Data del deposito : 12 giugno 2004
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. M S - Presidente -
Dott. G C - Consigliere -
Dott. P P - Consigliere -
Dott. T S - Consigliere -
Dott. M U - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
I.N.P.S. - ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA VIA DELLA FREZZA

17, presso l'Avvocatura Centrale dell'istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati GIUSEPPE FABIANI, PILERIO SPADAFORA, UMBERTO LUIGI PICCIOTTO, giusta delega in atti;



- ricorrente -


contro
M M, domiciliato in ROMA presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato D B, giusta delega in atti;



- controricorrente -


e contro
MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in

ROMA VIA DEI PORTOGHESI

12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;



- controricorrente -


avverso la sentenza n. 318/01 della Corte d'Appello di MESSINA, depositata il 26/10/01 R.G.N. 1473/2000;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 17/03/04 dal Consigliere Dott. Ulpiano MORCAVALLO;

udito l'Avvocato TRIOLO per delega FABIANI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO

Riccardo che ha concluso per l'accoglimento del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d'appello di Messina, confermando sul punto la decisone di primo grado, ha affermato la legittimazione passiva dell'INPS (e non del Fondo per la mobilità della manodopera costituito presso il Ministero del Lavoro, anch'esso convenuto in giudizio) in relazione all'obbligo di corrispondere all'odierno lavoratore intimato le quote del trattamento di fine rapporto maturate nel periodo di integrazione salariale intercorso fra l'aprile 1988 e il 18 febbraio 1992, relativo alla collocazione in cassa integrazione guadagni - a decorrere dal 1984 - dei lavoratori della s.p.a. Moi Moschella, dichiarata fallita in data 6 febbraio 1991.
I giudici di merito hanno ritenuto, per quanto rileva in questa sede, che - a decorrere dalla soppressione dell'anzidetto Fondo per la mobilità, disposta dall'art. 8 del decreto legge 21 marzo 1988 n. 86, convertito nella legge 20 maggio 1988 n. 160 - le somme maturate
per i periodi di integrazione salariale successivi alla data di entrata in vigore di tale decreto siano posti a carico dell'INPS, obbligato al pagamento dei trattamenti relativi alla cassa integrazione ai sensi della legge 8 agosto 1972 n. 464. Di tale sentenza l'Istituto domanda la cassazione deducendo due motivi di impugnazione.
Resistono con distinti controricorsi il Ministero del lavoro e il lavoratore intimato.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 8, commi 2 e 8, del decreto legge n. 86 del 1988, nel testo risultante dalla legge di conversione n. 160 del 1988. Premessa l'evoluzione normativa dell'istituto delle quote di t.f.r. maturate durante la cassa integrazione, si osserva che l'abrogazione, da parte dell'art. 8, comma 2, del d.l. n. 86 del 1988 (così come convertito), delle
norme che ponevano a carico del Fondo per la mobilità della manodopera gli oneri per le predette quote di t.f.r. per fattispecie come quelle in esame (art. 21, commi 5 e 6, della legge n. 675 del 1977) e la contestuale conferma delle disposizioni in materia di cui
all'art. 2, secondo comma, della legge n. 464 del 1972, hanno effetto, giusta l'art. 8, comma 8, del medesimo d.l., solo con riferimento alle domande di integrazione salariale presentate successivamente alla data di entrata in vigore del decreto (23 marzo 1988) e per i relativi periodi che siano successivi alla predetta data, conseguendone che la responsabilità dell'Istituto risulta limitata al trattamento di straordinario di integrazione salariale la cui domanda ed il cui periodo iniziale di concessione ricadano interamente nel vigore del menzionato decreto legge, mentre persiste la responsabilità del Fondo anche con riguardo ad un periodo di integrazione salariale che, come nel caso di specie, sia successivo alla medesima data, ma anteriormente iniziato in base ad una precedente domanda.
Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dei principio generale della unicità del trattamento straordinario di integrazione salariale. Si ribadisce la tesi di cui al precedente motivo, osservandosi che la Corte territoriale ha errato nel ritenere applicabile, per un periodo finale del trattamento di cassa integrazione, un regime di responsabilità per il t.f.r. diverso da quello iniziale, poiché deve ritenersi errata una visione atomistica che scinda l'intervento assistenziale in tanti periodi quanti risultano dalla decretazione ministeriale di conferimento delle prestazioni e poiché, invece, dal complesso della disciplina in materia si evince un principio di unicità del trattamento straordinario di integrazione salariale;
in particolare, varie disposizioni di legge configurano detto trattamento quale unica e unitaria provvidenza, complessivamente utile a diversi fini, e specificamente ad un periodo unitario fa riferimento l'art. 2 della legge n. 464 del 1972 quanto alla relativa quota di trattamento di
fine rapporto di lavoro.
Tali motivi, da esaminare congiuntamente in quanto logicamente connessi, sono fondati.
La questione posta dalla presente controversia è già stata risolta da questa Corte in base alle seguenti considerazioni, che in questa sede si confermano (cfr. Cass. n. 6342 del 2003;
n. 4171 del 2002;
n. 1237 del 1997
). L'art. 8, comma 2, del d.l. n. 86 del 1988, convertito con modificazioni dalla legge n. 160 del 1988, che ha abrogato l'art. 21, quinto comma, della legge n. 675 del 1977, che poneva a carico del
Fondo per la mobilità della manodopera le quote di indennità di anzianità maturate durante il periodo di fruizione della cassa integrazione guadagni straordinaria da parte di lavoratori non rioccupati nella stessa azienda al termine di detto periodo, per l'impossibilità da parte dell'azienda di mantenere il livello occupazionale (disposizione applicabile anche ai lavoratori di aziende industriali fallite, collocati in cassa integrazione guadagni straordinaria a norma dell'art. 25, comma settimo, della legge n. 675 del 1977, nel testo introdotto dall'art. 2 della legge n. 301 del 1979), trova applicazione, come espressamente disposto dalla norma
transitoria del comma 8 del citato art. 8, solo relativamente alle domande di integrazione salariale presentate successivamente alla data di entrata in vigore del decreto legge "e per i relativi periodi che siano successivi alla predetta data".
In relazione a tale norma, deve stabilirsi se essa faccia riferimento solo alla domanda iniziale di ammissione dell'impresa al trattamento straordinario di integrazione salariale, oppure anche ai periodi successivi, in cui la persistenza della integrazione salariale è condizionata, in genere, alla verifica di attuazione dei programmi di ristrutturazione, riorganizzazione o riconversione aziendale (cfr. art. 1, terzo comma, l. n. 464 del 1972). Nel senso della fondatezza della prima di dette ipotesi convergono sia considerazioni di fondo relative alla disciplina dell'integrazione salariale straordinaria, sia elementi desumibili dallo stesso tenore della disposizione da interpretare. Va rilevato, infatti, che la domanda iniziale e quelle successive hanno natura giuridica e funzioni nettamente diverse. Solo la domanda iniziale di ammissione del datore di lavoro al regime di integrazione salariale è diretta all'emanazione di un provvedimento amministrativo (concessorio o autorizzativo), sulla base di una valutazione, da parte della competente autorità amministrativa, della situazione di fatto illustrata dal programma presentato dall'impresa interessata, e di un apprezzamento degli interessi pubblici coinvolti, relativi al governo dell'economia, in tutti i suoi riflessi sociali, occupazionali e produttivi;
le richieste successive, invece, intervengono in relazione ad un rapporto già costituito, nell'ambito del quale il datore di lavoro è titolare di posizioni di diritto soggettivo e non di interesse legittimo, visto che la conferma dell'integrazione salariale per i periodi successivi presuppone solo verifiche non discrezionali circa il rispetto degli adempimenti cui il datore di lavoro è tenuto in base alla disciplina del rapporto (cfr. Cass. n. 533 del 2000;
n. 30 del 1999
). Stante la sostanziale unitarietà del rapporto relativo all'ammissione di un'impresa alla c.i.g.s., nonostante il frazionamento dei relativi periodi ai fini di una puntuale verifica del corretto adempimento agli obblighi inerenti all'ammissione dell'impresa al beneficio, è logico che la norma transitoria in esame vada interpretata nel senso che la proroga della disciplina legale in atto si riferisca a tutto il periodo in corso, conseguente all'iniziale domanda di ammissione, e non al singolo periodo in cui il rapporto è frazionato ai fini dell'erogazione.
D'altra parte, la disposizione del comma 8 dell'art. 8 cit., nel suo tenore letterale apparentemente poco piano, ha ragione di operare, quanto al suo specifico riferimento ai periodi di cassa integrazione, relativi a domande successive alla data di entrata in vigore del decreto legge, che siano anch'essi successivi alla medesima data, dato che la precisazione è evidentemente finalizzata ad evitare, quanto alla disciplina dei rapporti instaurati sulla base di dette domande, che la normativa possa spiegare effetti retroattivi, nell'ipotesi delle domande di integrazione salariale (successive al 23 marzo 1988) aventi ad oggetto anche periodi anteriori a tale data (la possibilità di un effetto retroattivo della domanda di integrazione salariale essendo dimostrata, per es., dalla previsione dell'art. 7 della legge n. 164 del 1975, secondo cui il ritardo nella presentazione della domanda comporta che il trattamento non può aver luogo per periodi anteriori di una settimana alla data di effettiva presentazione della domanda). Ne risulta confermato, a contrario, che, con riferimento alle domande anteriori, le disposizioni dei commi 1 e 2 del medesimo art. 8 non si applicano affatto, senza distinzioni basate sulla collocazione temporale dei singoli periodi di erogazione dell'integrazione salariale, coerentemente con l'intento principale della disposizione di escludere l'applicabilità della nuova disciplina ai rapporti in corso.
Poiché nella specie è pacifico, e implicitamente accertato in sede di merito, che la domanda iniziale di ammissione alla cassa integrazione è antecedente all'entrata in vigore della nuova normativa, trova applicazione per tutto il periodo la normativa previgente, che poneva le quote di t.f.r. a carico di Fondo per la mobilità della manodopera;
e, conseguentemente, il giudice di merito ha errato nel ritenere che l'obbligo di pagamento fosse a carico del Ministero del Lavoro solo per il periodo anteriore alla entrata in vigore della nuova normativa.
Il ricorso deve dunque essere accolto. Cassata la sentenza impugnata, non essendo necessari ulteriori accertamenti, la causa può essere decisa nel merito, con il rigetto della domanda proposta nei confronti dell'INPS.
A tanto non osta che la domanda sia stata proposta alternativamente nei confronti del Ministero del lavoro, dovendosi precisare che la presente pronuncia non spiega effetto rispetto alla statuizione del giudice di merito relativa alla domanda alternativa. Infatti, Cass., Sez. un., n. 11202 del 2002, pur ritenendo che è configurabile un litisconsorzio necessario processuale in caso di domanda proposta alternativamente nei confronti di due diversi convenuti, ha precisato che l'attore, che sia appellato da quello dei convenuti ritenuto obbligato dal giudice di primo grado, ha l'onere, a norma dell'art. 346 c.p.c., di riproporre la domanda nei confronti dell'altro soggetto convenuto in primo grado;
e Cass. n. 3261 del 2003 ha ulteriormente precisato che nel giudizio di Cassazione, poiché non è applicabile l'art. 346 c.p.c. e le pretese della parte vincitrice in secondo grado anche implicitamente non accolte debbono essere fatte valere attraverso il ricorso incidentale di cui all'art. 371 c.p.c., in ipotesi di domanda soggettivamente alternativa, la
parte, che in grado d'appello abbia ottenuto l'accoglimento nei confronti di uno dei convenuti in giudizio, impedisce il passaggio in giudicato della pronuncia di assoluzione dell'altro convenuto solo attraverso la proposizione di un ricorso incidentale per Cassazione che soddisfi i requisiti della tempestività, dell'esposizione sommaria dei fatti e della mera espressione della volontà di insistere nella pretesa di condanna, inizialmente formulata. Nulla per le spese dell'intero giudizio tra l'INPS e il lavoratore a norma dell'art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo anteriore a quello di cui all'art. 42, comma 11, del d.l. 30 settembre 2003 n. 269, convertito con modificazioni nella legge 24 novembre 2003 n. 326, nella specie inapplicabile ratione temporis. Vi sono giusti motivi per compensare le spese dell'intero giudizio tra l'INPS e il Ministero del lavoro.

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