Cass. civ., sez. II, ordinanza 02/08/2018, n. 20429
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.
Segnala un errore nella sintesiSul provvedimento
Testo completo
seguente ORDINANZA sul ricorso 1703-2014 proposto da: PENNACCHIO FRANCESCO, rappresentato e difeso dagli avvocati VITTORIO DI M e PASQUALE PACIFICO;- ricorrente -contro DI M FORA, rappresentata e difesa dagli avvocati P C e G DI M;- con troricorrente - avverso la sentenza n. 3288/2012 della CORTE D'APPELLO di NAPOLI, depositata il 15/10/2012;udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/02/2018 dal Consigliere G F. Esposizione del fatto P F, premesso di essere proprietario di un immobile ad uso abitativo, sito in Ischia, confinante con altro fabbricato, di proprietà di F D M, conveniva quest'ultima innanzi al Tribunale di Napoli, esponendo che la convenuta era solita occupare il viottolo comune con motocicli ed oggetti vari, rendendone impossibile l'utilizzo e ne chiedeva la condanna a lasciare libero il viottolo comune oltre al risarcimento dei danni. Il Tribunale di Napoli rigettava la domanda. La Corte d'Appello di Napoli confermava integralmente la sentenza di primo grado. Per la cassazione di detta sentenza propone ricorso per cassazione, con due motivi, P F. La D M resiste con controricorso. Considerato in diritto Il primo motivo denuncia l'omesso esame della domanda attorea e la aullit dei a sentenza impugnata, nonché la violazione degli art.112,115,116, 132 cpc, la violazione dell'art. 849 c.c., degli artt. 1102 e 1117 cc., in relazione agli art. 360 nn.3) e 4) cpc, lamentando che la Corte territoriale abbia omesso di prendere in esame la domanda proposta dal ricorrente, avente natura reale, qualificandola erroneamente come domanda di natura personale. Il ricorrente lamenta altresì che la Corte territoriale, sempre in conseguenza dell'errata qualificazione della propria domanda, abbia erroneamente dichiarato inammissibile la propria domanda di accertamento di cessazione della turbativa e di ripristino dello stato dei luoghi, e respinto la richiesta di ammissione di nuove prove in appello. I motivi, che, in quanto strettamente connessi vanno unitariamente esaminati, sono infondati. Conviene premettere che, secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, l'interpretazione della domanda giudiziale costituisce operazione riservata al giudice del merito, il cui giudizio, risolvendosi in un accertamento di fatto, non è censurabile in sede di legittimità quando sia motivato in maniera congrua ed adeguata, avuto riguardo all'intero contesto dell'atto e senza che ne risulti alterato il senso letterale, tenuto conto, in tale operazione, della formulazione testuale dell'atto nonché del contenuto sostanziale della pretesa in relazione alle finalità che la parte intende perseguire(Cass.2289312008). Orbene, nel caso di specie, la Corte territoriale, nell'esercizio dell'attività di interpretazione della domanda ad essa riservata, ha ritenuto, con adeguato apprezzamento di merito, che l'azione dell'odierno ricorrente, in quanto unicamente diretta a far cessare la situazione denunciata quale menomazione del godimento della proprietà e non accompagnata dalla richiesta di declaratoria del relativo diritto, avesse natura personale, con la conseguenza che non costituiva presupposto necessario della domanda la questione dell'appartenenza all'attore del bene a tutela del quale agiva. Tale statuizione è conforme a diritto. La domanda diretta ad ottenere la rimozione della situazione lesiva del diritto di proprietà, non accompagnata dalla contestuale richiesta di declaratoria del diritto reale, può infatti assumere la veste di azione di reintegrazione in forma specifica, di natura personale, se è intesa al ristabilimento di un'attività esercitata sulla base del diritto di proprietà, in quanto l'azione si fonda sul diritto di credito conseguente alla lesione del diritto reale (Cass. 884/2011). La Corte territoriale ha dunque fatto coerentemente discendere dalla mancata prova dell'imputabilità alla convenuta dei comportamenti contestati, il rigetto della domanda, avente natura personale, svolta nei suoi confronti. Non è dunque ravvisabile alcuna omessa pronuncia, poichè la Corte, sulla base della su menzionata qualificazione della domanda, ha ritenuto che fosse irrilevante accertare la situazione di proprietà dell'odierno ricorrente ( in tal senso Cass. 884/2011 e Ss.Uu.7305/2014), sussistendo la prova che la convenuta aveva omesso di porre in essere gli atti denunciati da quest'ultimo. Del pari, con adeguato apprezzamento di merito, la Corte ha ritenuto la novità e la conseguente tardività delle domande formulate dal P con le quali questi chiedeva di poter egli stesso procedere alla rimozione di impianti e cose lasciati abusivamente nel viottolo, e dichiararsi altresí il proprio diritto alla comunione sul viale antistante l'edificio di sua proprietà. Non sussiste, inoltre, la dedotta nullità della sentenza per assoluta carenza di motivazione, ravvisabile solo quando nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile una obiettiva deficienza del criterio logico che lo ha condotto alla formazione del proprio convincimento. Come si è già evidenziato, nel caso di specie, l'iter logico posto a fondamento della decisione di appello è espresso in modo chiaro ed è ben indicata la ratio decidendi in virtù della quale la Corte territoriale ha ritenuto di confermare la statuizione di rigetto della domanda. L'omessa motivazione non può infatti consistere nella difformità dell'apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice di merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice di individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove e scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione e dare prevalenza all'uno o all'altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge, in cui un valore legale è assegnato alla prova (ex plurimis, Cass. n.6064/08). Il ricorso va dunque respinto e le spese, regolate secondo soccombenza, si liquidano come da dispositivo. Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater Dpr 115 del 2002 sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi