Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 07/07/2004, n. 12509

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In ipotesi di interposizione nelle prestazioni di lavoro, non è configurabile una concorrente obbligazione del datore di lavoro apparente con riferimento ai contributi dovuti agli enti previdenziali, rimanendo tuttavia salva l'incidenza satisfattiva di pagamenti eventualmente eseguiti da terzi, ai sensi dell'art. 1180, primo comma, cod. civ, nonché dallo stesso datore di lavoro fittizio, senza che abbia rilevanza la consapevolezza dell'altruità del debito, atteso che nell'ipotesi di pagamento indebito dal punto di vista soggettivo, il coordinamento tra gli artt. 1180 e 2036 cod.civ. porta a ritenere che sia qualificabile come pagamento di debito altrui, ai fini della relativa efficacia estintiva dell'obbligazione (con le condizioni di cui al terzo comma dell'art. 2036), anche il pagamento effettuato per errore.

La violazione del divieto d'intermediazione od interposizione nelle prestazioni di lavoro sancito dall'art. 1 della legge 23 ottobre 1960 n. 1369 può essere commessa anche da soggetti che professionalmente esercitino un'attività imprenditoriale consistente nell'assunzione di regolari appalti di opere o servizi, in quanto tale circostanza non esclude la possibilità che in un determinato caso concreto essi pongano in essere un contratto diverso dal vero e proprio appalto ed avente oggetto la fornitura di "forza - lavoro" anziché di un "opus".

Il divieto di intermediazione e di interposizione nelle prestazioni lavorative, stabilito dall'art. 1 della legge n. 1369 del 1960, non confligge con l'ordinamento comunitario, quale risulta a seguito della sentenza 11 dicembre 1997 della Corte di Giustizia delle Comunità Europee; infatti detta pronunzia ritiene incompatibile con l'ordinamento comunitario il monopolio pubblico del collocamento, ma non riguarda l'attività di fornitura da parte di un appaltatore o di un altro intermediario di mere prestazioni di manodopera, con la realizzazione di un'interposizione sostitutiva della stipulazione di un diretto contratto tra lavoratore e fruitore effettivo delle prestazioni.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 07/07/2004, n. 12509
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 12509
Data del deposito : 7 luglio 2004
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. S S - Presidente -
Dott. D R A - Consigliere -
Dott. T S - rel. Consigliere -
Dott. A G - Consigliere -
Dott. M U - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
BERNARDI S.P.A., DI TOMMASO RICCARDO, elettivamente domiciliati in ROMA presso la CACNELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, difesi dall'avvocato F M, giusta delega in atti;



- ricorrenti -


contro
INPS - ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE;



- intimato -


e sul 2^ ricorso n. 01/02/0817 proposto da:
INPS - ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA VIA DELLA FREZZA

17, presso l'Avvocatura Centrale dell'Istituto, difeso dagli avvocati A S, F F, giusta delega in atti;

- controricorrente e ricorrente incidentale -
e contro
BERNARDI S.P.A., DI TOMMASO RICCARDO;



- intimati -


avverso la sentenza n. 620/01 del Tribunale di UDINE, depositata il 21/05/01 - R.G.N. 354/99;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 23/01/04 dal Consigliere Dott. Saverio TOFFOLI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE

Ennio Attilio che ha concluso per il rigetto del ricorso principale, - accoglimento dell'incidentale.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
A seguito di accertamenti compiuti dall'Ispettorato del lavoro di Udine, l'Inps, ritenuto che la s.p.a. Bi aveva utilizzato le prestazioni di quattordici lavoratori, posti a disposizione dalla Soc. coop. a r.l. Espressione, in violazione del divieto, di cui all'art. 1 della legge n. 1369/1960, di intermediazione nelle prestazioni di lavoro, e che quindi tali lavoratori dovevano ritenersi alle dipendenze di detta società, agiva in via monitoria contro di essa, per conseguire il pagamento dei contributi previdenziali inerenti ai rapporti di lavoro in questione. In relazione agli illeciti accertati dai suoi funzionari e da quelli dell'Ispettorato del lavoro (omesso versamento dei contributi dovuti per 14 lavoratori dipendenti occupati in diversi periodi dal 23.6.1994 al 22.12.1994), lo stesso Istituto irrogava, con ordinanza- ingiunzione, le relative sanzioni amministrative pecuniarie nei confronti di Riccardo D T, legale rappresentante della Soc. Bi.
Il decreto ingiuntivo e l'ordinanza ingiunzione erano opposti, con separati atti, davanti al Pretore di Udine, che, riuniti i due giudizi, accoglieva ambedue le opposizioni. Infatti riteneva il decreto ingiuntivo opposto nullo per effetto della nullità del relativo ricorso, dipendente dalla mancata indicazione nella attestazione del funzionario dell'Inps, che costituiva la prova del credito, della relativa causale e in particolare dei nominativi dei lavoratori interessati e degli elementi posti a base della determinazione della somma richiesta. Per analoghe ragioni riteneva nulla anche l'ordinanza ingiunzione.
Proposto appello da parte dell'Inps, il Tribunale di Udine, per quanto ancora rileva, concordava con il primo giudice quanto alla nullità del decreto opposto, ma riteneva invece l'ordinanza- ingiunzione immune da un analogo vizio, visto che essa conteneva un'indicazione, pur sommaria, degli elementi di fatto e di diritto dell'illecito sanzionato, ed era correlata ad una idonea, circostanziata contestazione, comprensiva dei nomi dei lavoratori. Il giudice di secondo grado inoltre osservava che, una volta dichiarata la nullità del decreto ingiuntivo, doveva esaminarsi nel merito la domanda di condanna che, a seguito dell'opposizione, era stata introdotta nel relativo giudizio ordinario di cognizione. Sul merito riteneva innanzitutto infondata la tesi della contrarietà della disciplina di cui all'art. 1 l. n. 1369/1960 alla normativa comunitaria, e in particolare ai principi di libera concorrenza economica e di libera circolazione dei servizi, osservando che la sentenza della Corte di giustizia 11 dicembre 1997 si era pronunciata solo sul monopolio pubblico nel collocamento della manodopera. Sui fatti di causa rilevava che dalla prova testimoniale era emerso un quadro chiaro e coerente, caratterizzato dal fatto che i soci e i dipendenti della cooperativa avevano svolto presso il magazzino di Ronchis della società Bi attività meramente manuale, sotto la direzione del personale della società stessa e in maniera promiscua con i suoi dipendenti, attività consistita nel carico e nello scarico della merce, nello smistamento dei vari articoli, nella sistemazione dei capi di vestiario sugli appositi sostegni, nel "cartellinamento" di taglie e colori e nella etichettatura, oltre che nella pulizia dei locali. Le poche attrezzature impiegate (macchinali per la etichettatura e muletti per carico e scarico) erano di proprietà della Bi. L'orario di lavoro era stabilito dalla società appellante e il suo rispetto era controllato dai dipendenti di quest'ultima.
Si era quindi in presenza di appalto di mere prestazioni di lavoro, senza intervento nell'esecuzione dell'appalto dell'organizzazione lavorativa dell'appaltatore. Peraltro le prestazioni rese dai soci della cooperativa erano del tutto prive di autonomia e gli stessi si comportavano come dipendenti della Bi.
Riguardo alla quantificazione del debito contributivo (e alla valutazione della gravità dell'illecito amministrativo), il Tribunale escludeva che potessero rilevare i versamenti già eseguiti dalla Cooperativa. Osservava che nelle ipotesi in cui è applicabile l'art. 1 della legge n. 1369/1960 non sussiste solidarietà tra committente e appaltatore, poiché i lavoratori si considerano "a tutti gli effetti" dipendenti dell'imprenditore;
che non sussiste fungibilità del soggetto tenuto all'adempimento delle obbligazioni contributive;
e che la natura satisfattiva ai pagamenti eseguiti dall'apparente datore di lavoro non può dipendere da una loro qualificazione come adempimento del terzo, a norma dell'art. 1180 c.c., mancando la necessaria consapevolezza del solvens di essere
estraneo al rapporto obbligatorio e quindi la coscienza e volontà di adempiere un debito altrui.
In conclusione, il Tribunale condannava la Soc. Bi a pagare all'Inps i contributi nella misura non contestata di L. 29.374.000, oltre gli importi per somme aggiuntive e interessi legali ai sensi dell'art. 116, comma 18, l. 23 dicembre 2000 n. 388. In motivazione precisava che gli importi aggiuntivi, inizialmente calcolati in base alle previsioni dell'art. 4 del d.l. 30 dicembre 1987 n. 536, convertito dalla legge 29 febbraio 1988 n. 48, erano dovuti nella misura stabilita dal citato comma 18, che a sua volta richiama il disposto dell'art. 1, commi da 217 a 224 della legge 23 dicembre 1996 n. 662. Confermava inoltre l'ordinanza-ingiunzione sopra indicata, previa motivazione in merito anche all'elemento soggettivo. In particolare escludeva il carattere retroattivo della eliminazione delle sanzioni amministrative in materia di omissioni contributive, di cui all'art. 116, comma 12, della l. n. 388/2000.
Contro questa sentenza la s.p.a. Bi e il D T hanno proposto ricorso per Cassazione, affidato a otto motivi. L'Inps ha resistito con controricorso e ha proposto ricorso incidentale affidato a un motivo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso principale e quello incidentale devono essere riuniti (art. 335 c.p.c.). Con il primo motivo del ricorso principale si denuncia violazione dell'art. 1 della legge n. 1369/1960 e dell'art. 10 Cost., in relazione all'art. 86 (ex 90) del Trattato dell'Unione europea. Si sostiene che la Corte di giustizia delle Comunità europee con la sentenza 11 dicembre 1997 n. C-55/96, "Job Centro", abbia stabilito, con riferimento anche all'art. 1 della l. n. 1369/1960, l'incompatibilità con il diritto comunitario della normativa nazionale che vieti qualunque attività di mediazione o interposizione tra domanda ed offerta di lavoro.
Il motivo è infondato. Come già osservato da questa Corte (sentenze 25 luglio 2002 n. 10987 e 2 agosto 2002 n. 11614 - cfr. anche Cass. 1 febbraio 2000 n. 1105), il divieto di intermediazione e di interposizione nelle prestazioni lavorative, stabilito dall'art. 11. n. 1369 del 1960, che persegue lo scopo di garantire, con la effettività del rapporto di lavoro, una più forte tutela del diritto al lavoro dei lavoratori assunti dall'intermediario, impedendo, o, quantomeno, ostacolando elusioni fraudolente della disciplina posta a garanzia del lavoratore (cfr. Corte cost. 22 aprile 1992 n. 191), non confligge con l'ordinamento comunitario, quale risulta a seguito della sentenza 11 dicembre 1997 della Corte di giustizia delle Comunità europee. Infatti questa pronuncia contiene un'interpretazione del diritto comunitario rispetto alla problematica sottoposta alla Corte di giustizia e non trae conclusioni specifiche e vincolanti circa la conformità a tale diritto della normativa italiana indicata dal giudice che aveva sollevato la questione pregiudiziale, il quale, peraltro, prendendo unitariamente in considerazione l'art. 11, 1 comma, della legge 29 aprile 1949 n. 264 e l'art. 1, primo comma, della legge n. 1369/1960, aveva - a quanto pare - imprecisamente
prospettato che quest'ultima disposizione vietasse le attività di "mediazione" - oltre che di interposizione - "tra domanda e offerta di lavoro", invece che le attività di "intermediazione" e interposizione riguardo all'esecuzione di mere prestazioni di lavoro. Di fatto la Corte di giustizia si è limitata a ritenere incompatibili con l'ordinamento comunitario (e in particolare con i principi in tema di concorrenza e di abuso di posizione dominante), a determinate condizioni, le norme nazionali che vietino qualunque attività di mediazione e interposizione tra domanda e offerta di lavoro che non sia svolta dagli uffici pubblici di collocamento. In altri termini, oggetto della pronuncia è il monopolio nell'attività di collocamento della manodopera, cioè di mediazione rispetto alla stipulazione di normali contratti di lavoro subordinato tra il prestatore d'opera e il soggetto beneficiario delle sue prestazioni, mentre non è affatto presa in considerazione l'attività di fornitura da parte di un appaltatore o di un altro intermediario di mere prestazioni di manodopera, con la realizzazione di un'interposizione sostitutiva della stipulazione di un diretto contratto tra lavoratore e fruitore effettivo delle prestazioni. Con il secondo motivo si denuncia violazione degli artt. 1, 3 e 5 della legge n. 1369/1960 e degli artt. 3 e 41 Cost.. Rilevato che in taluni casi la legge riconosce l'inapplicabilità del divieto di appalto di mere prestazioni d'opera (art.

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