Cass. civ., sez. V trib., sentenza 10/08/2022, n. 24581
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ato la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 8501/2013 R.G. proposto da SAISEB TOR DI VALLE s.p.a. (già SAISEB ITALIANA STRADE EDILIZIA BONIFICHE s.p.a.), in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in Roma, Viale Parlo!' n. 43, rappresentata e difesa dall'avv. Francesco d'Ayala Valva, come da procura a margine del ricorso - ricorrente -contro AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore p.t., rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura dello Stato, presso i cui uffici in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata - con troricorrente avverso la sentenza della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per il LAZIO depositata il 9 febbraio 2012, n. 54/38/12. Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 4 aprile 2022 dal Consigliere dr. S S;6 uditi gli avv. L F, in sostituzione dell'avv. Francesco d'Ayala Valva, che ha insistito per l'accoglimento del ricorso, e l'Avvocato dello Stato S A, che ne ha chiesto il rigetto;udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dr. R M, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso. N. 8501/13 R.G. FATTI DI CAUSA A seguito di un p.v.c. del 30.3.2006 elevato dalla G.d.F. di Roma, l'Agenzia delle Entrate-Direzione Provinciale 1 di Roma notificò a Saiseb Tor di Valle s.p.a. (già Saiseb Italiana Strade Edilizia Bonifiche s.p.a.), per l'anno d'imposta 2003, un avviso di accertamento con cui si contestava l'indebita detrazione di IVA assolta in relazione a diversi subappalti per lavori di impermeabilizzazione, coibentazione, per impianti elettrici telefonici TV e lavori in economia, la società avendo ricevuto fatture passive erroneamente assoggettate all'aliquota ordinaria (all'epoca, del 20%) anziché a quella agevolata del 10°/0 e del 4%;l'Ufficio contestava altresì, ai fini IRPEG, l'indebita deduzione di costi non inerenti, consistenti nel pagamento diretto del servizio mensa fruito dai dipendenti dei subappaltatori. Conseguentemente, vennero recuperate a tassazione maggiori IVA, IRAP e IRPEG. La società impugnò l'avviso con ricorso dinanzi alla C.T.P. di Roma, che con sentenza n. 470/08/09 lo rigettò. Avverso detta sentenza propose appello la società, ma la C.T.R. del Lazio, con sentenza del 9.2.2012, n. 54/38/12, confermò la gravata decisione. In particolare, il giudice d'appello evidenziò, quanto all'IVA, che la società non aveva provato la corretta applicazione dell'aliquota ordinaria al 20%, non risultando specificata - né in sede di verifica, né successivamente - la consistenza delle prestazioni ottenute, né potendosi evincere quali componenti dell'imponibile totale fossero da ascrivere alla fornitura di materie prime e semilavorati (soggetti ad aliquota ordinaria) e quali concernessero invece la prestazione di servizio;quanto all'IRPEG, osservò il giudice d'appello che la deduzione dei costi in questione N. 8501/13 R.G. presupponeva l'emissione di corrispondente fattura da parte del prestatore- subappaltatore, giacché l'accollo delle relative spese da parte del committente non può che configurarsi come parte integrante del corrispettivo. Saiseb Tor di Valle s.p.a. ricorre ora per cassazione, affidandosi a formali diciotto motivi, cui resiste l'Agenzia delle Entrate con controricorso. Il P.G., all'udienza di discussione, ha chiesto il rigetto del ricorso. RAGIONI DELLA DECISIONE 1.1 — Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art.2697 c.c. e del combinato disposto degli artt. 16 e 19 d.P.R. n. 633/1972, nonché dei pertinenti nn. della Tabella A disciplinanti l'aliquota ridotta al 4 e al 10%;ciò ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. La ricorrente si duole dell'erroneità dell'affermazione per cui l'onere della prova circa il corretto assoggettamento ad aliquota ordinaria (anziché a quella ridotta) gravi sul contribuente, laddove a contestare la correttezza della tassazione sia l'Ufficio;in tal caso, infatti, l'onere non può che gravare su quest'ultimo, secondo le regole generali. 1.2 — Con il secondo motivo, in subordine e sotto altro profilo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 16 d.P.R. n. 633/1972, nonché dei pertinenti nn. della Tabella A disciplinanti l'aliquota ridotta al 4 e al 10%, ancora ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. La ricorrente lamenta l'erroneità dell'affermazione secondo cui, posta la mancata dimostrazione della consistenza dei servizi resi dalle subappaltatrici, in rapporto con la fornitura di materie prime e semilavorati, occorre applicare indistintamente l'aliquota ridotta, anziché quella ordinaria.N. 8501/13 R.G. 1.3 — Con il terzo motivo, in subordine rispetto a quelli che precedono, si denuncia omessa motivazione circa i presupposti per l'applicazione delle aliquote agevolate in discorso, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. 1.4 — Con il quarto motivo, in subordine rispetto al primo e al secondo, si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 16 e 19 d.P.R. n. 633/1972, nonché dei pertinenti nn. della Tabella A disciplinanti l'aliquota ridotta al 4 e al 10%, con riferimento all'oggetto dei subappalti, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. Per l'ipotesi in cui la Corte dovesse ritenere che l'onere della prova gravi sul contribuente, si censura la decisione nella parte in cui si afferma, per implicito, che a contratti di subappalto per fornitura di beni e servizi nel campo dell'edilizia si applichi sempre l'aliquota ridotta del 4 e del 10%, anziché quella ordinaria, anche se essi siano affidati per singole fasi di esecuzione. Ciò in quanto il subappaltatore, qualora nell'oggetto del contratto non sia mutuato il capitolato dei lavori, non può materialmente conoscere la sussistenza dei presupposti dell'IVA agevolata. 1.5 — Con il quinto motivo, in ulteriore subordine, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 16 e 19 d.P.R. n. 633/1972, nonché dei pertinenti nn. della Tabella A disciplinanti l'aliquota ridotta al 4 e al 10%, con riferimento all'oggetto unitario dei contratti di subappalto e alla determinazione di un corrispettivo unico, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. Sempre riguardo all'affermazione per cui, non essendo possibile distinguere tra le singole componenti, l'intera prestazione di "fornitura e posa in opera" è stata correttamente ritenuta assoggettabile ad aliquota ridotta, si sostiene che al più, N. 8501R3 R.G. trattandosi di corrispettivo unitariamente fatturato, avrebbe dovuto applicarsi l'aliquota ordinaria del 20% all'intero corrispettivo. 1.6 — Con il sesto motivo, sotto concomitante profilo, si denuncia l'illogicità della motivazione circa l'erroneo trattamento unitariamente applicato al corrispettivo del subappalto, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. 1.7 — Con il settimo e l'ottavo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 16 d.P.R. n. 633/1972 in combinato disposto con la Tabella A, nonché con l'art. 98 Dir. 2006/112/Ce, in relazione all'art. 19 stesso d.P.R., ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. Sotto ulteriore e subordinato profilo, rileva al riguardo la ricorrente che, poiché l'aliquota subordinata costituisce una agevolazione fiscale, il fatto di goderne o meno rientra nella facoltà del contribuente, che non è quindi obbligato a fruire dell'aliquota ridotta. Si chiede, qualora tale interpretazione sia ritenuta non corretta, che della questione sia investita la CGUE, suggerendosi anche il pertinente quesito. 1.8 — Con il nono e il decimo motivo, in ulteriore subordine, si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 19 d.P.R. n. 633/1972 in combinata lettura con l'art. 6, comma 8, del d.lgs. n. 471/1997, in relazione con la Tabella A e all'art. 16 stesso d.P.R., ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. La società rileva che il cessionario IVA non è in grado di incidere sul contenuto della fattura che riceve, sicché non può negarsi il diritto di detrazione ove il cessionario stesso sia in buona fede e l'applicazione dell'aliquota ordinaria, invece di quella ridotta, non incida sul principio di neutralità, effettività e cartolarità che N. 8501/13 R.G. presiedono all'imposta. Anche in tal caso, si invoca l'eventuale rinvio pregiudiziale alla CGUE, formulandosi il relativo quesito. 1.9 — Con l'undicesimo e il dodicesimo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 19 d.P.R. n. 633/1972, in combinato disposto con l'art. 18 stesso d.P.R. e l'art. 2033 c.c., ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., giacché il disconoscimento del diritto a detrazione su IVA versata in eccesso (come nella specie) si pone in conflitto col diritto di credito di pari importo vantato nei confronti dell'Amministrazione finanziaria, a titolo di indebito oggettivo. Si chiede che, qualora si ritenga il contrario, la questione sia rimessa alla Corte costituzionale, per contrasto tra le norme rubricate e gli artt. 3 e 24 Cost. 1.10 — Con il tredicesimo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 471/1997 in relazione agli artt. 18 e 19 d.P.R. n. 633/1972, nonché all'art. 2033 c.c., ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., chiedendosi in subordine la disapplicazione delle sanzioni irrogate, a fronte della sussistenza di un credito IVA da richiedere a rimborso. 1.11 — Con i motivi quattordicesimo, quindicesimo, sedicesimo e diciottesimo, la ricorrente denuncia rispettivamente insufficienza, illogicità, contraddittorietà e ancora illogicità della motivazione, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., nella parte concernente il disconoscimento dei costi per servizio mensa fruito dai dipendenti delle subappaltatrici, sotto variegati profili. 1.12 — Con il diciassettesimo motivo, infine, si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 109 TUIR, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., nella N. 8501/13 R.G. parte in cui il giudice d'appello ha erroneamente affermato che detti costi avrebbero dovuto comunque essere fatturati dalla subappaltatrice, evidente essendo l'effettività e la inerenza degli stessi. 2.1 - In relazione alle problematiche principalmente poste dalla ripresa IVA per cui è causa, è necessario dapprima affrontare la questione circa la portata dell'ius superveniens costituito dall'art. 1, comma 935, della legge n. 205/2017, giacché - essendo stato riformulato, con detta norma, il disposto dell'art. 6, comma 6, del d.lgs. n. 471/1997, nel senso che in caso di detrazione indebitamente fruita il contribuente è tenuto alla sola sanzione pecuniaria, mantenendo il diritto di detrazione stessa - la novella potrebbe astrattamente riverberarsi sulla ripresa stessa. Tuttavia, così non è. Infatti, è costante ed ampiamente ricevuto l'insegnamento secondo cui il diritto di detrazione non può essere esercitato in relazione ad un'imposta non dovuta, salvo che l'esercizio dell'azione restitutoria risulti impossibile o eccessivamente oneroso (v. Cass. n. 15178/2014, Cass. n. 8919/2020, nonché Corte di Giustizia, 19 settembre 2000, C-342/87, Genius Holding, e ancora Corte di Giustizia, 26 aprile 2017, C-564/15, Farkas). Il legislatore italiano, però, intervenendo (ut supra) sull'art. 6, comma 6, d.lgs. 471/1997, ha attribuito il diritto di detrazione ex art. 19 d.P.R. n. 633/1972 al cessionario o committente che abbia assolto l'imposta in misura superiore a quella effettiva, se erroneamente versata dal cedente o prestatore, assoggettando però il primo alla sanzione amministrativa in misura compresa fra C 250 ed C 10.000. La disposizione si chiude con la previsione secondo cui ) N. 8501/13 R.G. "la restituzione dell'imposta è esclusa qualora il versamento sia avvenuto in un contesto di frode fiscale". Come sostanzialmente ritenuto sia dalla dottrina, sia dalla stessa giurisprudenza di questa Corte (in particolare, Cass. n. 23817/2020, in motivazione), attraverso l'escamotage dell'applicazione della sanzione (che denota un latente giudizio di disvalore sull'operazione, che resta evidentemente irregolare), sembra essersi attribuito con previsione innovativa il diritto di detrazione al cessionario, in un'ipotesi in cui ciò non era dapprima consentito. In tal guisa, resterebbe realizzata una sorta di semplificazione tendente ad evitare il farraginoso meccanismo delle azioni di ripetizione tra i vari soggetti coinvolti nell'operazione imponibile, sulla base della nota autonomia dei rapporti incrociati tra cedente, cessionario e fisco (su cui si veda, per tutte, Cass. n. 23288/2018). Pochi mesi dopo l'entrata in vigore della norma, questa Corte ha affrontato il tema della sua immediata applicabilità ai giudizi pendenti (ciò in forza di un possibile ricorso al principio del favor rei, sancito dall'art. 3 del d.lgs. n. 471/1997, in tema di sanzioni), tuttavia negandola (Cass., 3 ottobre 2018, n. 24001, così massímata: "L'art. 6, comma 6, del d.lgs. n. 471 del 1997, nella formulazione introdotta dall'art. 1, comma 935, della I. n. 205 del 2017, nella parte in cui prevede che, nell'ipotesi di applicazione dell'imposta in misura superiore a quella effettiva, erroneamente assolta dal cedente o prestatore, resta fermo il diritto del cessionario o committente alla detrazione, ai sensi degli artt. 19 e ss. del d.P.R. n. 633 del 1972, non ha efficacia retroattiva né può ad essa riconoscersi valore di norma interpretativa, essendo priva di ogni N. 8501/13 R.G. riferimento al precedente regime ed all'esigenza di una chiarificazione del meccanismo di detrazione dell'IVA contemplato dallo stesso"), non venendo in rilievo, nella specie, il profilo sanzionatorio e non avendo la disposizione, nel resto, natura di legge di interpretazione autentica. Il legislatore è dunque ritornato sulla questione, con l'art. 6, comma 3-ter, del d.l. 34/2019, conv. con modificazioni in legge n. 58/2019, attribuendo alla disposizione stessa natura retroattiva. Tuttavia, con due ulteriori pronunce pressoché coeve (la già citata Cass. n. 23817/2020, nonché Cass. n. 24289/2020), questa stessa Corte ha preso atto della natura retroattiva della disposizione, precisando però che, in conformità al suo tenore letterale, essa trova applicazione nei soli casi in cui sia stata erroneamente applicata un'aliquota maggiore rispetto a quella prescritta, non anche in tutte le ipotesi di IVA non dovuta (ad es., per un'operazione non imponibile, come nel caso all'esame della stessa Cass. n. 24289/2020). Resta fermo che, ove il cessionario non possa richiedere il rimborso secondo la normativa in questione, può ovviamente avvalersi dell'azione di ripetizione d'indebito verso il cedente ovvero, se soggetto IVA, richiedere il rimborso al fisco, ove l'errata applicazione dell'imposta di rivalsa indebitamente assolta si rifletta sulla liquidazione finale, determinando un'eccedenza rimborsabile (in tal senso, la citata Cass. n. 24289/2020). Sulla questione della detraibilità, per vero, si registra una pronuncia più recente e di tenore più restrittivo (Cass. n. 10439/2021), secondo cui un'interpretazione dell'art. 6, comma 6, cit., eurounitariamente orientata, ne impone una lettura nel lo 2 N. 8501/13 R.G. senso che la detrazione dell'imposta assolta spetta per la sola parte corrispondente all'imposta effettivamente dovuta, la disposizione solo avendo finalità tendenti a mitigare il trattamento sanzionatorio. L'asserto incide direttamente sulla questione che qui occupa (concernente appunto l'ipotesi in cui il cessionario, nella prospettiva dell'Ufficio, avrebbe detratto l'imposta in misura superiore a quella invece detraibile) e comunque rafforza il già descritto insegnamento di Cass. n. 23817/2020 e Cass. n. 24289/2020 circa l'inapplicabilità della novella a casi come quello qui in esame, escludendosi nella sostanza tout court la sussistenza di un carattere d'innovazione dello stesso art. 6, comma 6, cit., circa il mero rapporto impositivo. Ritiene dunque la Corte di dover dare continuità alla propria giurisprudenza sul punto. 2.2 — Ciò posto, il primo motivo è fondato. Il giudice d'appello ha ritenuto che costituisse onere del cessionario dimostrare che le operazioni descritte nelle fatture fossero soggette ad aliquota ordinaria, anziché ridotta. Sostiene ora la ricorrente che, al lume della giurisprudenza secondo cui grava sul contribuente che invoca l'applicabilità dell'aliquota ridotta l'onere di dimostrare la sussistenza dei relativi presupposti (in particolare, Cass. n. 14904/2001 e Cass. n. 7124/2003), ciò non può non valere anche nel caso inverso, ove a sostenere ciò sia l'Amministrazione finanziaria. L'assunto coglie nel segno. Invero, questa Corte ha costantemente affermato che l'applicazione delle aliquote IVA ridotte, ex art. 16, comma 2, d.P.R. n. 633/1972 e Tabella A ad esso allegata, ha carattere agevolativo, sicché le n N. 8501/13 R.G. relative norme sono di stretta interpretazione (da ultimo, Cass. n. 32955/2018, e ancora Cass. n. 26317/2020), tanto che, "trattandosi di un'eccezione a quella ordinaria generalmente prevista, il contribuente deve dimostrarne la ricorrenza dei relativi presupposti" (così, ex multis, Cass. n. 1735/2014). Da ciò discende che, poiché la vicenda per cui è processo scaturisce dalla pretesa non assoggettabilità ad aliquota ordinaria di talune operazioni imponibili - ciò che costituisce la regola, stando al disposto dell'art. 16, comma 1, d.P.R. n. 633/1972 -, il relativo onere della prova non può che gravare su quel soggetto che, reputando doversi applicare l'aliquota ridotta, invoca l'eccezione a detta regola: appunto, nel caso che occupa, l'Ufficio, e ciò secondo le regole generali sancite dall'art. 2697 c.c. E' appena il caso di precisare che - rispetto all'insegnamento della già citata Cass. n. 10439/2021, che (come s'è detto;v. par. 2.1), ha adottato una interpretazione restrittiva ed eurounitariamente orientata dell'art. 6, comma 6, del d.lgs. n. 471/1997, come modificato dall'art. 1, comma 935, della legge n. 205/2017 - la questione che qui viene in rilievo è comunque parzialmente diversa, perché mentre in quel caso era indiscussa la fruizione della detrazione in misura eccedente rispetto al dovuto, in questo caso l'applicabilità delle aliquote ridotte è tutta da dimostrare, incerti essendone i presupposti invocati dall'Ufficio, in tutto o in parte. Ciò è tanto vero che, nel dubbio, la stessa C.T.R. ha ritenuto di poter avallare l'operato dello stesso Ufficio circa l'applicabilità delle aliquote ridotte alle singole operazioni imponibili in discorso e per l'intero, pur N 8501/13 R.G. nella sostanziale certezza (o anche solo probabilità) che almeno una parte fosse assoggettabile ad aliquota ordinaria. Pertanto, ha errato il giudice del merito nel ritenere che l'onere della prova, a fronte della detrazione dell'IVA all'aliquota ordinaria esercitata dalla società ricorrente conformemente alle fatture ricevute dalle ditte subappaltatrici, gravasse sulla società stessa, occorrendo invece che, in caso di contestazione da parte dell'Ufficio - che ritenga applicabile l'aliquota ridotta - quest'ultimo offra le relative prove, dimostrando la sussistenza dei presupposti. 2.3 - I motivi dal secondo al tredicesimo restano conseguentemente assorbiti. 3.1 - I motivi dal quattordicesimo al diciottesimo - concernenti, sotto vari profili, il disconoscimento dei costi sostenuti per il servizio mensa dei dipendenti delle imprese subappaltatrici, ai fini IRPEG - sono suscettibili di trattazione unitaria, perché oggettivamente connessi, e sono fondati. Il giudice d'appello ha rilevato che detti costi configurano una parte integrante del corrispettivo della prestazione e, pertanto, avrebbero dovuto confluire nella sfera giuridica del prestatore, che avrebbe a sua volta dovuto fatturare i costi stessi alla committente, odierna ricorrente. Conseguentemente - prosegue la C.T.R. -, mancando la fattura delle ditte subappaltatrici, i costi in discorso non possono essere riconosciuti come deducibili. Tuttavia, nel manifestare il proprio convincimento, la C.T.R. ha seguito un iter motivazionale del tutto astratto, prescindendo completamente dalla ricerca delle relative pattuizioni contrattuali tra la Saiseb e le ditte subappaltatrici ed in particolare dalla disamina del contenuto della lettera-contratto datata N. 8501/13 R.G. 29.9.2001, allegata al ricorso di primo grado e riprodotta in ricorso in questa sede (p. 63), con cui la stessa Saiseb e la Sud Edil s.r.l. (principale subappaltatrice del cantiere edile di Pontremoli) avevano pattuito che i costi di vitto e alloggio degli operai sarebbero stati sostenuti direttamente dalla committente. Così facendo, il giudice d'appello ha illogicamente svalutato la pacifica circostanza che l'esborso per il costo dei pasti degli operai delle subappaltatrici era stato effettivamente e direttamente sostenuto dalla committente come da accordi, ad un tempo incorrendo nella violazione dell'art. 109 TUIR. Infatti, secondo la consolidata lettura giurisprudenziale del c.d. principio di inerenza, espresso dalla citata disposizione, e del relativo onere probatorio, affinché i costi sostenuti nell'attività d'impresa possano essere dedotti dai componenti positivi di reddito occorre che il contribuente dimostri di averli sostenuti (che siano, cioè, certi, e ciò anche mediante idoneo supporto documentale - v. ex multis, Cass. n. 13300/2017), in cosa consistano (onde suffragarne l'inerenza, "vale a dire che si tratti di spesa che si riferisce ad attività da cui derivano ricavi o proventi che concorrono a formare 11 reddito di impresa" - così, Cass. n. 11241/2017) nonché, in caso di contestazione dell'Amministrazione, anche la loro congruità (Cass. n. 10269/2017;in senso contrario su tale ultimo aspetto, si vedano, però, Cass. n. 22938/2018, nonché Cass. n. 30366/2019). Pertanto, non essendovi contestazione, da parte dell'Ufficio, circa la certezza ed in ogni caso circa la congruità dei costi in discorso, si tratta di verificare se - alla N. 8501/13 R.G. luce delle pattuizioni sopra riportate e delle altre eventualmente evincibili dal corredo probatorio regolarmente acquisito - sia configurabile anche il requisito dell'inerenza degli stessi costi all'attività, valutazione riservata al giudice del merito in sede di rinvio, che terrà anche conto del principio secondo cui "il controllo del fisco sull'inerenza dei costi d'impresa, ai fini della loro deducibilità, non può interferire nel campo delle scelte imprenditoriali, a meno che la sproporzione tra prestazioni non sia rilevante ed evidente 'ictu °culi" (così, Cass.n. 2224/2021). 4.1 — In definitiva, il ricorso è accolto nei termini di cui in motivazione. La sentenza impugnata è dunque cassata in relazione, con rinvio alla C.T.R. del Lazio, in diversa composizione, che procederà ad un nuovo esame dell'appello della società contribuente, attenendosi ai superiori principi, e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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