Cass. pen., sez. V, sentenza 03/04/2020, n. 11308

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. V, sentenza 03/04/2020, n. 11308
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 11308
Data del deposito : 3 aprile 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sui ricorsi proposti da: PILONE MARINA nato a TORINO il 02/04/1962 ARBEZZANO ALBINA CATERINA nato a LANZO TORINESE il 25/12/1959 avverso la sentenza del 09/10/2018 della CORTE APPELLO di TORINOvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere M B;
udito il Sostituto Procuratore Generale P F che ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio limitatamente alle pene accessorie ed il rigetto nel resto del ricorso;
uditi i difensori delle imputate: l'avv. E A R per M P, che chiede l'accoglimento del ricorso e l'avv. M R, per entrambe anche in sostituzione dell'avv. L, il quale chiede l'accoglimento dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la decisione in epigrafe, la Corte d'Appello di Torino, in parziale riforma della sentenza emessa il 18.5.2016 dal Tribunale di Torino, ha dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione nei confronti di M P e A C A in relazione al capo B della contestazione, avente ad oggetto il reato di concorso in bancarotta semplice per omesso controllo sulla tenuta delle scritture contabili e sulla redazione dei bilanci e per omesso invito agli amministratori a richiedere tempestivamente la dichiarazione di fallimento, con aggravamento del dissesto della società ED.AR.T. s.p.a., dichiarata fallita con sentenza del 17/3/2009, società della quale erano state - rispettivamente - la prima, sindaco dal 10.1.2006 al 25.2.2008, e la seconda presidente del collegio sindacale dal 20.11.2000 sino al 25.2.2008. La sentenza della Corte d'Appello ha confermato, invece, quella di primo grado quanto al capo A dell'imputazione ed al concorso delle imputate nel reato di bancarotta impropria da reato societario commesso per aver contribuito alla causazione per aggravamento del dissesto, attraverso condotte di falso in bilancio attribuite ai sindaci secondo lo schema legale previsto dall'art. 40 cpv. cod. pen.;
precisamente le imputate avrebbero omesso il controllo sulla tenuta delle scritture contabili e sulla redazione dei bilanci al 31.12.2004, 31.12.2005 e 31.12.2006, formulando parere favorevole all'approvazione degli stessi, nonostante in essi fossero esposti fatti materiali non rispondenti al vero sulla situazione economica, patrimoniale e finanziaria della società, dei quali erano a conoscenza come sindaci. Il reato è stato ritenuto aggravato ai sensi dell'art. 219, comma 2, n. 1, I. fall. dall'aver commesso più fatti di bancarotta e le imputate sono state condannate alla pena di due anni di reclusione, riconosciute le attenuanti generiche prevalenti sulla citata aggravante;
sono state inflitte ad entrambe, altresì, le pene accessorie previste dall'ultimo comma dell'art. 216 I. fall. nella misura obbligata decennale antecedente alla dichiarazione di incostituzionalità pronunciata dalla Corte costituzionale con sentenza n. 222 del 2018. 2. Avverso la sentenza predetta propongono ricorso per cassazione entrambe le imputate.

2. M P ha proposto impugnazione in sede di legittimità tramite i difensori avvocati M R ed Elisa Rubiola, deducendo sei motivi.

2.1. Il primo argomento difensivo censura violazione di norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilità con riferimento all'art. 238-bis cod. proc. pen. ed all'acquisizione ed utilizzazione della relazione peritale predisposta dal dott. Calcagno in altro procedimento, svoltosi, con rito abbreviato e senza la partecipazione delle attuali imputate, a carico degli amministratori della fallita per il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione e definito con sentenza di condanna di Paolo, E e L G, passata in giudicato in seguito alla decisione di inammissibilità del ricorso emessa dalla Quinta Sezione Penale della Corte di cassazione con sentenza n. 47540 del 2/7/2015. Il perito del processo già definito è stato nominato consulente del pubblico ministero e sentito quale teste, con acquisizione del suo elaborato solo successiva all'assunzione della sua testimonianza in contraddittorio, ma ciò non basta, secondo la difesa ed a dispetto di quanto argomenta la Corte d'Appello, a far ritenere rispettate le condizioni di tenuta del principio del contraddittorio - e di conseguente utilizzabilità dei dati di fatto derivati dalla sentenza passata in giudicato - ai sensi dell'art. 111, comma 4, Cost. e dell'art. 238-bis del codice di rito: non si è in presenza, infatti, di prove assunte in incidente probatorio o nel dibattimento, bensì di una perizia acquisita al rito abbreviato, ed il difensore dell'imputato non ha partecipato all'assunzione di tale prova. La violazione del principio costituzionale emerge ancor più evidente se si tiene mente alla circostanza che il GIP ha respinto la richiesta di archiviazione formulata nei confronti dei sindaci ed ha disposto l'imputazione coatta di costoro proprio in base all'acquisizione della relazione contabile peritale del dott. Calcagno. 12. La seconda censura attiene alla nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 238-bis e 187-192, comma 3, del codice di rito nonché per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine ai criteri di valutazione della prova. Sotto un primo profilo, i fatti storici dei quali la sentenza della Corte di cassazione citata costituirebbe prova non attengono all'imputazione a carico delle ricorrenti, ma alla responsabilità degli amministratori della fallita per una diversa loro condotta (la bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione dell'intero compendio corrispondente al deficit fallimentare e non i reati di falsi in bilancio), sicchè l'acquisizione e l'utilizzazione del suo contenuto si collocano al di fuori dell'alveo dell'art. 187 cod. proc. pen. secondo cui oggetto di prova sono solo i fatti che si riferiscono all'imputazione. È impossibile utilizzare a carico dei sindaci, ai quali si contesta - in sintesi - di non aver impedito alcuni falsi in bilancio, valutazioni emesse nella sentenza resa nei confronti degli amministratori ai quali tali fatti di falso in bilancio non sono stati contestati. Lo stesso aggravamento del dissesto causato dal mancato impedimento dei delitti di falso in bilancio, che costituisce il cuore dell'imputazione mossa alla ricorrente, non è stato oggetto del giudizio a carico degli amministratori. Sotto un secondo profilo, in ogni caso, la valutazione condotta dalla Corte d'Appello viola il criterio indicato dall'art. 192, comma 3, cod. proc. pen.Il fatto accertato del quale può far prova la sentenza passata in giudicato ed acquisita, infatti, al più è quello di cui al dispositivo ma non può corrispondere alle circostanze ritenute accertate nella motivazione. Inoltre, nonostante la Corte d'Appello vi faccia cenno, mancano i riscontri ai fatti accertati dei quali si ritiene l'utilizzabilità ai sensi dell'art. 238-bis cod. proc. pen., poiché tale natura non può riconoscersi alla testimonianza del consulente tecnico, già perito, ascoltato nel processo.

2.3. Il terzo motivo di ricorso deduce erronea applicazione dell'art. 40 cpv. cod. pen. in relazione agli artt. 2621 cod. civ. e 223 I. fall. e mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione quanto alla asserita difformità del comportamento dei sindaci rispetto agli obblighi previsti dalla legge in relazione al loro incarico, nonché alla concreta possibilità per i sindaci di impedire i reati asseritamente commessi dagli amministratori e, conseguentemente, di evitare il ritenuto aggravamento del dissesto. La ricorrente, inoltre e più specificamente, nominata sindaco in data 10.1.2006 e cessata nell'incarico il 26.10.2007, non può essere chiamata a rispondere di non aver impedito l'eventuale falsità del bilancio al 31.12.2004, approvato in data 29.6.2005, quindi precedentemente alla sua nomina. La breve permanenza nell'incarico della ricorrente impedisce, altresì, di ritenere che ella avesse i poteri impeditivi necessari ad evitare gli asseriti comportamenti di falso in bilancio degli amministratori e, conseguentemente, ad evitare l'aggravamento del dissesto. Il contributo causale consapevole da parte della ricorrente all'aggravamento del dissesto è stato ritenuto solo apoditticamente dalla Corte d'Appello, confondendo mere negligenze sindacali con la responsabilità dolosa omissiva per il reato di bancarotta societaria contestato. Non sussiste la prova, inoltre, del nesso causale tra la condotta omissiva del sindaco e la causazione dell'evento, poiché nel caso di specie il dissesto origina da fattori diversi rispetto all'operazione falsificatoria principale ascritta alla ricorrente (il falso valutativo relativo alla partecipazione nella società Castello di Montaldo) e si radica nella gestione tipica ed ordinaria della società fallita sulla quale i sindaci non hanno alcun potere di vigilanza, confondendosi altrimenti tali poteri con quelli gestori propri degli amministratori. La motivazione della Corte d'Appello su tale punto riferito al nesso causale è del tutto assente. La motivazione del provvedimento impugnato, invece, si presenta carente ed illogica con riferimento al tema dell'espletamento degli obblighi gravanti sui sindaci, dilatati abnormemente, là dove non si è tenuto conto che il Collegio sindacale ha svolto con puntualità le verifiche trimestrali in ordine alla regolarità della gestione contabile ed ha partecipato alle riunioni del Consiglio di Amministrazione ed alle Assemblee ordinarie di soci. Si evidenziano, poi, in chiave difensiva, i rilievi diretti agli amministratori, contenuti nel verbale del Collegio sindacale del 4.10.2006 in ordine ad alcune criticità gestionali (ritardi negli incassi da clienti e ritardi nei pagamenti dei fornitori) ed alla necessità di operare un monitoraggio costante dei crediti. Tale monito ebbe una conseguenza rassicurante per i sindaci nell'aumento del capitale sociale per quasi 500.000 euro mediante "versamenti soci in conto capitale" e nella nomina ad amministratori delegati dei due figli di L G, Paolo ed E. Anche in data
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