Cass. pen., sez. III, sentenza 05/06/2023, n. 23971

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. III, sentenza 05/06/2023, n. 23971
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 23971
Data del deposito : 5 giugno 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

a seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: MARCHESE ROSARIO nato a CALTAGIRONE il 01/03/1982 avverso l'ordinanza del 13/12/2022 del TRIB. LIBERTA di BRESCIAudita la relazione svolta dal Consigliere A S;
lette le conclusioni del PG LUIGI GIORDANO che ha chiesto il rigetto del ricorso;
lette le conclusioni del difensore, Avv. M V F con cui, in replica alle conclusioni del PG, ha insistito nell'accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza 13.12.2022, il tribunale del riesame di Brescia confer- mava l'ordinanza del tribunale collegiale della stessa città del 22.11.2022 nei con- fronti del MARCHESE ROSARIO, con cui era stata rigettata l'istanza di scarcera- zione e di revoca della misura della custodia cautelare in carcere.

2. Avverso l'ordinanza impugnata nel presente procedimento, il predetto propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo due motivi, di seguito sommariamente indicati.

2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di motivazione per aver omesso l'ordinanza di pronunciarsi sul tema principale dell'appello cautelare, ossia il diritto dell'imputato ad ottenere un provvedimento di scarcerazione per i capi di imputa- zione per cui siano decorsi i termini di custodia cautelare. In sintesi, premesso che il giudizio nasce da una istanza di scarcerazione con la quale il ricorrente chiedeva tra l'altro un provvedimento formale di scarce- razione per i capi di imputazione a suo carico, essendo decorsi i termini massimi di durata della custodia cautelare, il ricorrente rileva che la misura della custodia. è stata applicata al medesimo in data 26 settembre 2019, che il rinvio a giudizio è stato disposto il 17 novembre 2020 e che la sentenza di primo grado è stata depositata il 22 luglio 2022. I capi di imputazione a carico del Marchese erano l'associazione a delinquere di stampo mafioso, poi derubricata in associazione a delinquere semplice, finalizzata alla commissione di reati fiscali, estorsione, auto- riciclaggio e falso. Richiamato il disposto dell'articolo 303 lettera b), c.p.p. (se- condo cui dal provvedimento che dispone il giudizio alla sentenza di primo grado, laddove il reato sia punito con una pena non superiore nel massimo a 20 anni, deve decorrere un anno), si sostiene che, nel caso di specie, dal rinvio a giudizio alla sentenza di primo grado sono trascorsi 1 anno e 8 mesi, con la conseguenza che i termini massimi di fase sarebbero spirati già alla data della pronuncia di primo grado. Inoltre, avuto riguardo all'articolo 303, quarto comma, lettera a), codice di procedura penale, si sostiene che per alcuni capi di imputazione, ad ec- cezione dei capi 1, 110 e 111 sono spirati in ogni caso i termini massimi di custodia cautelare, ossia due anni, essendo il ricorrente detenuto da oltre tre anni. Si os- serva come la sentenza del tribunale di Brescia aveva parzialmente accolto le ar- gomentazioni del ricorrente, osservando come non risultassero spirati i termini massimi di custodia cautelare quantomeno con riguardo alle contestazioni 1, 110 e 111 sicché la custodia carceraria doveva protrarsi quantomeno per tali addebiti.Si tratterebbe di una motivazione censurabile poiché il tribunale avrebbe dovuto pronunciare la scarcerazione parziale del ricorrente senza rilevare invece la ca- renza di interesse ad ottenere una tale pronuncia in quanto non avrebbe consen- tito di recuperare lo status libertatis, trattandosi di un'affermazione contraria a quanto affermato nella sentenza delle Sezioni Unite n. 26350 del 2002, di tal che tale scarcerazione parziale costituiva un diritto per l'imputato, laddove invece il tribunale non si è pronunciato affatto pur essendo uno dei principali motivi dell'ap- pello cautelare, in ciò omettendo la motivazione.

2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di violazione di legge in rela- zione agli artt. 300 e 303, c.p.p. In sintesi, si duole il ricorrente per essersi l'ordinanza esclusivamente sof- fermata su un punto diverso dell'appello cautelare, ossia la richiesta di declaratoria di estinzione della misura ai sensi dell'articolo 300 c.p.p. con riferimento ai capi 1, 110 e 111. A tal proposito, la difesa rileva come la pena detentiva irrogata al Marchese con la sentenza di primo grado è stata pari a 5 anni di reclusione per il reato di estorsione, di 2 anni di reclusione per il reato di associazione per delin- quere semplice, contestata al capo 1, di 2 mesi per ogni reato fiscale per un totale di 100 mesi, di 4 mesi di reclusione per ogni fatto di auto riciclaggio contestato ai capi 110 e 111, nonché di 1 mese per i reati di falso contestati al capo 115. Richiamato il disposto dell'articolo 300, comma quarto, c.p.p., che prevede l'estinzione della misura cautelare ove la pena da scontare sia superiore alla pena irrogata, si sostiene che avendo il ricorrente scontato 2 anni ed 8 mesi al momento della sentenza di primo grado, quantomeno con riferimento al capo 1 e 111 pari a due anni e quattro mesi, la sua pena avrebbe dovuto ritenersi già scontata. L'or- dinanza impugnata invece ritiene che il Marchese sia sottoposto a titolo cautelare non per tutti i capi di imputazione ma solo per il delitto associativo e per quelli fiscali. Seguendo il ragionamento contraddittorio del tribunale del riesame per tali reati il Marchese è stato condannato alla pena di 2 anni per il reato associativo e a 2 mesi di reclusione ciascuno per i reati fiscali rientranti nel titolo sicché la pena complessivamente inflitta al Marchese per i reati che costituirebbero titolo di cu- stodia supererebbe ampiamente la durata della custodia stessa. Si tratterebbe tuttavia di motivazione censurabile per un duplice ordine di ragioni. Anzitutto perché per i reati fiscali dovrebbe ritenersi spirato il termine massimo di cui all'articolo 303, quarto comma, lettera a), c.p.p., ossia 2 anni di durata della custodia cautelare, di cui il tribunale non tiene conto e su -cui non si pronuncia. Quanto invece al reato associativo la misura dovrebbe ritenersi estinta ai sensi dell'articolo 300, comma quarto, c.p.p., avendo il Marchese scontato già i 2 anni di reclusione, cioè la pena irrogata, anche prima dell'emissione della sen- tenza di primo grado. Si osserva come l'orientamento richiamato nell'ordinanza impugnata, che imporrebbe di considerare la pena complessivamente irrogata per tutti i reati avvinti dalla continuazione, fa riferimento al termine di fase e non a quello massimo di cui all'articolo 300, quarto comma, c.p.p., che sancisce un ben diverso principio volto a tutelare l'imputato in applicazione dell'articolo 13 della Costituzione. Facendo applicazione di tale principio nel caso di specie dovrebbe infatti ritenersi che la pena complessivamente inflitta al Marchese per il capo 1 o per i reati fiscali è pari a circa 10 anni e quindi troverebbe applicazione l'articolo 303 lettera b) n. 2 c.p.p., con conseguente estinzione della misura essendo de- corso il termine massimo di fase dal decreto che dispone il giudizio alla sentenza di primo grado.

3. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha depositato in data 17.02.2023 la propria requisitoria scritta con cui ha concluso per il rigetto del ri- corso. In sintesi, il PG ritiene il ricorso infondato. Secondo quanto risulta dal prov- vedimento impugnato, la questione originariamente dedotta con l'istanza proposta personalmente dall'imputato riguardava la "scarcerazione per decorrenza dei ter- mini massimi di custodia cautelare con riferimento ai capi riguardanti i delitti fiscali e gli autoriciclaggi". Il Tribunale rigettava la questione, ritenendo che non fossero "decorsi i termini massimi di custodia cautelare quanto meno con riguardo alle contestazione di cui ai capi 1), 110) e 111)". Con successivo appello ex art. 310 cod. proc. pen., il ricorrente, impugnando la decisione di rigetto del Tribunale, ha sostenuto di avere interesse ad una caducazione parziale della misura, evidente- mente per la decorrenza dei termini massimi di custodia cautelare ex art. 303, comma 4, cod. proc. pen. "In ogni caso", per i reati per i quali il tribunale aveva ritenuto l'attuale efficacia del titolo cautelare, secondo l'appellante doveva essere pronunciata dichiarazione di perdita di efficacia della misura ex art. 300, comma 4, cod. proc. pen., essendo stato ristretto per un periodo superiore all'entità della condanna. Il Tribunale del riesame, ad avviso del PG, pare aver risposto alla spe- cifica doglianza devoluta. Secondo il Tribunale, infatti, le contestazioni di cui ai capi 110) e 111) non rientrano tra quelle per le quali è stata applicata la misura cautelare;
dunque, non doveva essere emesso alcun provvedimento di caduca- zione parziale dell'ordinanza cautelare relativamente a questi reati;
inoltre, la mi- sura cautelare non doveva essere ritenuta estinta ex art. 300, comma 4, cod. proc. pen., perché con la condanna inflitta all'imputato "la pena complessivamente in- flitta al Marchese per i reati costituenti titolo di custodia supera ampiamente la durata della custodia cautelare". Con il primo motivo di ricorso, secondo il PG, il ricorrente pare porre un diverso tema, concernente la decorrenza dei termini di fase dal provvedimento che dispone il giudizio alla sentenza di primo grado, ci- tando al riguardo l'art. 303, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. Questo tema sem- bra esulare da quanto devoluto al Tribunale e al collegio dell'appello cautelare. Secondo l'indirizzo giurisprudenziale consolidato la natura devolutiva del giudizio di appello cautelare circoscrive la cognizione del giudice entro il limite segnato dai motivi dedotti dall'impugnante e dal decisum del provvedimento gravato;
anzi con l'appello non possono proporsi motivi nuovi rispetto a quelli avanzati nell'istanza sottoposta al giudice di primo grado, né al giudice ad quem è attribuito il potere di estendere d'ufficio la sua cognizione a questioni non prese in esame dal giudice a quo (da ultimo, Sez. 3, n. 41185 del 20/10/2021;
in precedenza, tra le altre, Sez. 3, n. 30483 del 28/05/2015, Rv. 264818;
Sez. 1, n. 43913 del 02/07/2012, Rv. 253786 - 01). E' il caso di precisare, però che se la questione fosse stata posta, l'interesse non sarebbe venuto meno neppure in seguito al sopravvenuto passag- gio a una fase successiva in conseguenza della condanna, anche ai fini del computo dei termini di custodia cautelare, in quanto la scarcerazione dell'imputato per de- correnza dei termini di fase della custodia cautelare alla quale non si sia tempe- stivamente provveduto deve essere disposta nella fase successiva (cosiddetta scarcerazione ora per allora), purché la scadenza di detti termini - come nel caso di specie - riguardi tutte le imputazioni oggetto del provvedimento coercitivo e non solo alcune di esse (Sez. U, n. 26350 del 24/04/2002, Fiorenti, Rv. 221657). Con il medesimo motivo, il ricorrente ha dedotto anche il superamento dei termini di durata massima della custodia cautelare ex art. 303, comma 4, lett. a), cod. proc. pen. "per taluni capi di imputazione", lamentando che il tribunale non abbia dispo- sto la scarcerazione parziale dell'imputato per tali capi d'imputazione, sussistendo l'interesse ad una caducazione parziale della misura. Sul punto, il Tribunale, pur riportando un precedente che riguarda la durata dei termini di fase della misura cautelare, per il PG ha correttamente richiamato il fatto che i reati sono "avvinti dal vincolo della continuazione". Ai fini dell'individuazione dei termini massimi di custodia cautelare ex art. 303., comma 4, c.p.p., infatti, è necessario tenere conto del reato contestato o del reato ritenuto in sentenza, in relazione al momento in cui, a seconda della dinamica processuale, il relativo calcolo viene effettuato (Sez. 6, n. 4235 del 16/12/1999 - dep. 07/03/2000, Campanella A, Rv. 21650701);
in caso di reato continuato occorrerà avere riguardo alla pena edittale prevista per i singoli reati ritenuti in sentenza come uniti dal vincolo della continuazione 'e non al reato qualificato come più grave (Sez. 1, n. 71 del 13/01/1992, Raso, Rv. 189141). Seppure per alcuni reati il termine massimo ex art, 303, comma 4, cod.proc. pen. fosse stato superato, pertanto, l'imputato non avrebbe comunque inte- resse a una declaratoria in tal senso, non essendo ancora perenti i termini massimi per il reato più grave in contestazione, atteso che da un simile provvedimento non conseguirebbe la remissione in libertà (Sez. U, n. 26350 del 24/04/2002, Fiorenti, Rv. 22165701). Con il secondo motivo, secondo il PG, il ricorrente pare porre la diversa questione dell'estinzione del provvedimento cautelare ex art. 300, comma 4, cod. proc. pen. Sul punto è già stato illustrato come il tribunale abbia motivato ade- guatamente, rilevando che la misura cautelare non doveva essere ritenuta estinta ex art. 300, comma 4, cod. proc. pen. perché la condanna inflitta all'imputato perché "la pena complessivamente inflitta al Marchese per i reati costituenti titolo di custodia supera ampiamente la durata della custodia cautelare".
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