Cass. pen., sez. I, sentenza 09/02/2022, n. 04504

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. I, sentenza 09/02/2022, n. 04504
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 04504
Data del deposito : 9 febbraio 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE TRIBUNALE DI GROSSETOnel procedimento a carico di: MAZZI ALESSANDRO nato a GROSSETO il 23/03/1966 avverso la sentenza del 11/10/2018 del GIUDICE UDIENZA PRELIMINARE di GROSSETOvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere MONICA BONI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore MARIA FRANCESCA LOY che ha concluso chiedendo Il Proc. Gen. conclude chiedendo l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per nuovo esame. udito il difensore Ritenuto in fatto 1.Con sentenza deliberata 1'11 ottobre 2018 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Grosseto, all'esito del giudizio celebrato nelle forme del rito abbreviato, riqualificato il fatto ai sensi degli artt. 17 e 38 T.U.L.P.S., condannava l'imputato A M la pena di euro 206,00 di ammenda, in quanto ritenuto responsabile della omessa denuncia del trasferimento di: un fucile semiautomatico Hersal, matr. 6631464, una doppietta cal. 12 Damas Anglais Fin Ancense Etablismente Pieper -Hersal- con tre punzonature nn. 3741-1423-1810, una doppietta Damas Bernard Fin con doppia punzonatura nn. 11 e 17 ed una doppietta Beretta matr. 55206, fatto accertato in Grosseto il 3 marzo 2015. 2.Avverso tale sentenza il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Grosseto ha proposto appello per chiederne l'annullamento per violazione degli artt. 2 e 7 I. n. 895 del 1967 per avere il giudice errato nel riqualificare il fatto senza considerare che, alla stregua di pacifico orientamento della Corte di cessazione, risponde del reato di detenzione abusiva di armi il soggetto che, venutone in possesso per morte del precedente detentore, abbia omesso di denunziarne il possesso alla competente autorità di Pubblica sicurezza. Nel caso di specie l'imputato non ha denunciato l'acquisizione a titolo ereditario delle armi, ricevute per successione al padre, che a sua volta aveva omesso l'obbligatoria denuncia e le ha trasferite in altro luogo nella sua disponibilità.

3.La Corte di appello di Firenze con ordinanza in data 13 novembre 2020 ha riqualificato l'appello in ricorso per cassazione, disponendone la trasmissione alla Suprema Corte per quanto di competenza.

4. Nelle more dell'udienza di trattazione, i difensori dell'imputato hanno depositato memoria, con la quale hanno dedotto che, trattandosi di sentenza emessa all'esito di giudizio abbreviato, la stessa non avrebbe potuto essere appellata dal pubblico ministero ai sensi dell'art. 593 n. 3 cod. proc. pen., sicché la competenza a decidere sull'impugnazione spetta alla Corte di appello di Firenze. Inoltre, la riqualificazione del fatto, operata dal primo giudice, è stata compiuta in base alle testimonianze assunte, secondo le quali quelle detenute erano vecchissime armi da caccia, una ad avancarica, rinvenute dal ricorrente all'interno della casa colonica del defunto padre. Si tratterebbe di armi ornamentali ed inefficienti, di cui è diffuso il possesso in Maremma, condotte da Mazzi nella propria abitazione in buona fede nella ritenuta non obbligatorietà della denuncia. Il fatto va, dunque, inquadrato nella violazione di cui agli artt. 17 e 38 TULPS anche per l'assenza dell'elemento soggettivo del più grave delitto originariamente contestato.Considerato in diritto Il ricorso è fondato e merita, dunque, accoglimento.

1.In primo luogo, va affermato che, contrariamente a quanto dedotto nella memoria difensiva, il ricorso rientra nella competenza di questo giudice di legittimità, in quanto la sentenza impugnata ha applicato la sola pena dell'ammenda per fattispecie qualificata come di natura contravvenzionale, ragione per la quale l'unica impugnazione consentita consiste nel ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 593, comma 3, cod. proc. pen.

1.1 Né a soluzione difforme può pervenirsi a ragione della differente qualificazione giuridica del fatto, operata dal primo giudice. Il testo del terzo comma dell'art. 593 cod.proc.pen. stabilisce espressamente «sono in ogni caso inappellabili le sentenze di condanna per le quali è stata applicata la sola pena dell'ammenda» senza, pertanto, che rilevi l'eventuale modifica del titolo del reato, stabilita dal giudice di primo grado, che nel presente caso ha riqualificato l'addebito di detenzione illegale di armi da sparo nella fattispecie contravvenzionale di cui agli artt. 17 e 18 TULPS. Il D.Lgs. n. 11 del 6 febbraio 2018 ha modificato il testo dell'art. 593 cod. proc. pen. nei termini sopra citati e, come puntualizzato nella relazione illustrativa, l'intervento legislativo ha dato attuazione alla delega normativa contenuta nella legge 23 giugno 2017, n. 103, recante "Modifiche al codice penale. Al codice di procedura penale e all'ordinamento penitenziario", il cui articolo 1, commi 82, 83 e 84 lettere f), g), h), i), I), m) investe il Governo della riforma della disciplina processuale in materia di giudizi di impugnazione. La predetta relazione illustrativa ha altresì specificato che il D.Lgs. n. 11 del 2018 persegue l'obiettivo della «deflazione del carico giudiziario, mediante la semplificazione dei procedimenti di appello e di cassazione. In tale ottica, i principi di delega orientano alla modifica del procedimento davanti al giudice di pace, all'individuazione degli uffici del pubblico ministero legittimati a proporre appello, alla riduzione dei casi di appello e alla limitazione dell'appello incidentale al solo imputato". La contrazione oggettiva e soggettiva dell'area dell'appellabilità trova rispondenza nella previsione della limitazione del potere di impugnazione del pubblico ministero avverso le sentenze di condanna, emesse a seguito di dibattimento, corrispondente al già vigente analogo divieto per le decisioni di condanna pronunciate nell'ambito di procedimenti trattati con i riti alternativi del giudizio abbreviato o del patteggiamento. Secondo il nuovo primo comma dell'art. 593, infatti, «Salvo quanto previsto dagli articoli 443, comma 3, 448, comma 2, 579 e 680, l'imputato può appellare contro le sentenze di condanna mentre il pubblico ministero può appellare contro le medesime sentenze solo quando modificano il titolo del reato o escludono la sussistenza di una circostanza aggravante ad effetto speciale o stabiliscono una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato". La limitazione del potere di appello della sentenza di condanna da parte del pubblico ministero si è realizzata mediante la generalizzazione della previsione già operante per il giudizio abbreviato, nel senso che il potere d'impugnazione resta circoscritto e negato nei limiti in cui le pretese delle parti, legate all'esercizio dell'azione penale per il pubblico ministero ed al diritto di difesa per l'imputato, risultino soddisfatte. Per la parte pubblica il legislatore delegato ha ritenuto sufficiente a realizzare il dovere di esercizio dell'azione penale ed a conseguire la punizione del responsabile del reato il riconoscimento della fondatezza dell'ipotesi di accusa contenuto nella pronuncia di condanna di primo grado. Le uniche eccezioni a tale contenimento del potere d'impugnazione sono previste nei casi in cui, pur a fronte di una pronuncia affermativa della responsabilità, il giudice abbia proceduto ad una differente qualificazione giuridica del fatto di reato ovvero abbia escluso una circostanza aggravante ad effetto speciale o stabilito una pena di specie diversa. Quelle previste in deroga al divieto costituiscono situazioni nelle quali la formulazione dell'accusa ha subito un ridimensionamento in termini più favorevoli per l'imputato, tale da giustificare la proposizione dell'appello, strumento che, nel contesto della celebrazione di un ulteriore grado di merito, può dar luogo anche ad una rinnovata ricostruzione e rivalutazione degli aspetti fattuali della vicenda criminosa. Ad una prima lettura delle disposizioni applicabili pare sussistere un contrasto tra il comma primo del novellato art. 593 cod. proc. pen. nella sua previsione dell'appellabilità per il pubblico ministero delle sentenze di condanna che contengano la modifica del titolo di reato e quanto invece già stabilito dal comma terzo della stessa norma in base alla quale «sono inappellabili le sentenze di condanna per le quali è stata applicata la sola pena dell'ammenda». L'inconciliabilità delle due prescrizioni trova soluzione in base all'art. 2, comma 1, lett. b) del D.Lgs n. 11 del 2018, che ha introdotto una modifica specifica al testo del terzo comma dell'art. 593 cod. proc. pen., stabilendo che le sentenze di condanna alla pena dell'ammenda siano «in ogni caso» non appellabili senza introdurre differenziazioni di legittimazione tra le facoltà riconosciute all'imputato piuttosto che al pubblico ministero anche nel caso in cui sia intervenuta una modifica del titolo di reato. L'espressa addizione nel testo dell'art. 593 cod. proc. pen. della locuzione "in ogni caso" assume l'unico significato possibile di negare la derogabilità del regime di inappellabilità della sentenza di condanna alla sola pena dell'ammenda anche nell'ipotesi che tale statuizione consegua alla differente definizione giuridica del fatto oppure alla esclusione di circostanza aggravante ad effetto speciale (Sez. 2 , n. 7042 del 12/01/2021, Pmt in proc. Peci, Rv. 280884).Da tali premesse discende che la scelta del rito alternativo del giudizio abbreviato è indifferente e non incide sulla disciplina dell'impugnazione proponibile anche quando la stessa sia introdotta dal pubblico ministero secondo il seguente principio di diritto: «ai sensi dell'art. 593, comma 3, cod. proc. pen. come modificato dal D.Lgs. n. 11 del 2018, avverso la sentenza di condanna alla pena dell'ammenda l'unico mezzo di impugnazione proponibile anche da parte del pubblico ministero è il ricorso per cassazione, non rilevando la disciplina prevista dall'art. 443 cod. proc. pen. per il rito abbreviato e la previsione dell'appellabilità delle sentenze di condanna che abbiano modificato il titolo di reato o escluso circostanza aggravante ad effetto speciale».
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