Cass. civ., sez. I, sentenza 05/07/2012, n. 11263

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In presenza di un'istanza di regolamento di competenza rivolta avverso un provvedimento di sospensione del giudizio disposto a norma dell'art. 295 cod. proc. civ., l'effetto sospensivo non dipende dall'introduzione del procedimento ex art. 47 cod. proc. civ., essendo, infatti, quel giudizio già sospeso; ne discende logicamente che, venuta meno la causa di sospensione che ha provocato l'istanza di regolamento, la parte interessata, entro i sei mesi successivi, ha il potere di provocare la ripresa del processo in precedenza sospeso, impedendo così il verificarsi della sua estinzione; inoltre la circostanza che il giudizio sia stato inizialmente riassunto dinanzi ad una sezione della corte territoriale e quindi, con provvedimento presidenziale, sia stato assegnato ad altra sezione, non ha alcun rilievo ai fini della tempestività dell'atto di riassunzione, nè implica in alcun modo che la riassunzione sia stata disposta d'ufficio, trattandosi di un mero provvedimento di organizzazione dell'attività dell'ufficio, emesso sul presupposto dell'ormai già ripristinata pendenza del giudizio tempestivamente riassunto dalla parte.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. I, sentenza 05/07/2012, n. 11263
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 11263
Data del deposito : 5 luglio 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

01263/ 12 2 1 Oggetto REPUBBLICA ITALIANA / IN NOME DEL POPOLO ITALIANO 3 Società. 6 LA CORTE SUPREM DI CASSAZIONE R.G. N. 15813/2010 2 1 Cron. 11263 PRIM SEZIONE CIVILE 1 Rep. C.I. Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott.

DONATO PLENTEDA

Ud. 09/05/2012Presidente Dott.

RENATO RORDORF

Rel. Consigliere PU Dott. A

CINI

Consigliere Dott.

MRIA ROSARIA CULTRERA

Consigliere Dott.

ROSA MRIA DI VIRGILIO

Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso 15813-2010 proposto da: DESSI' PIER GIORGIO (C.F. DSSPGR42S30B354D), elettivamente domiciliato in ROM, VIALE BRUNO BUOZZI 99, presso l'avvocato P C, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati LEONZI PIERFRANCO, GIOVANNI CESARI, giusta procura a margine del ricorso;
2012 ricorrente 720 - contro F A (c.f. FGLNTN43R64C332L), elettivamente domiciliata in ROM, VIA CAS

SIODORO

9, presso l'avvocato NUZZO MRIO, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato MRICONDA VINCENZO, giusta procura a margine del controricorso; controricorrente contro SOCIETA' COOPERATIVA ULIVETO A R.L.; whe intimata- avverso la sentenza n. 220/2010 della CORTE D'APPELLO di VENEZIA, depositata il 29/01/2010; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/05/2012 dal Consigliere Dott. RENATO RORDORF; udito, per il ricorrente, l'Avvocato ANTONIO D'ALESSIO, con delega, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso e chiede la riunione al ricorso n. 19705/09; udito, per la controricorrente, l'Avvocato SERGIO BLASI, con delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso e della istanza di riunione; udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PASQUALE FIMIANI che ha concluso per il rigetto del ricorso. 2 Svolgimento del processo Con atto notificato il 24 luglio 1999 il sig. Piergiorgio Dessì citò in giudizio dinanzi al Tribunale di Venezia la sig.ra Antonia Fogliata e la Società Cooperativa a r.l. Uliveto (in prosieguo indicata come Cooperativa Uliveto) per far accertare che la sua quota di partecipazione a detta società non era stata da lui ceduta alla suindicata sig.ra Fogliata, la quale non era dunque divenuta mai socia, e che egli invece ne conservava la titolarità. Essendo stata accolta dal tribunale la domanda dell'attore, la sig.ra Fogliata propose appello, ma il giudizio di secondo grado venne sospeso in attesa della definizione di altra causa, allora pendente dinanzi alla Corte d'appello di Brescia tra l'appellante e la Cooperativa Uliveto, in cui si discuteva della legittimità di una delibera assembleare che aveva revocato la medesima sig.ra Fogliata dalla carica di consigliere di amministrazione sul presupposto che ella fosse priva della qualità di socia. Il provvedimento di sospensione emesso dalla Corte d'appello di Venezia, impugnato con regolamento di competenza, fu cassato da questa corte con ordinanza n. 25501 del 6 dicembre 2007. Nel frattempo era stata però già definita la causa che si N assumeva fosse pregiudiziale ed il giudizio sospeso era 3. stato già riassunto. Quindi, con sentenza resa pubblica il 29 gennaio 2010, la Corte d'appello di Venezia, in accoglimento del gravame, accertò che il sig. Dessì non era più titolare della quota di partecipazione sociale della quale si discuteva e che, di conseguenza, egli non interesse a far accertare l'eventualeaveva neppure mancato acquisto della qualità di socia da parte della sig.ra Fogliata. La decisione della corte veneta mosse dalla premessa che la riassunzione del giudizio doveva ritenersi ritualmente effettuata, una volta venuta a cessare la causa di sospensione, benché fosse in quel momento ancora pendente il ricorso per regolamento di competenza avverso il precedente provvedimento con cui il giudizio era stato sospeso. Quanto al merito, la pronuncia si fondò sul rilievo che, ai fini del riconoscimento della qualità di socio di cooperativa, quel che importa è l'esistenza di una delibera di ammissione, assunta dal competente organo sociale, non bastando il solo negozio di trasferimento della partecipazione dal cedente al cessionario, sicché, nel caso in esame, poiché non risultava essere mai stata impugnata la delibera con la quale, sin dal settembre del 1980, la cooperativa aveva preso atto dell'uscita del sig. Dessì dalla società e del subentro della sig.ra ها Fogliata, nessuna ulteriore questione poteva porsi al riguardo. 4 Per la cassazione di questa sentenza il sig. Dessì ha proposto ricorso, articolato in tre motivi. La sig.ra Fogliata ha replicato con controricorso, mentre la Cooperativa Uliveto, contumace già nei gradi di merito, non ha svolto alcuna difesa neppure in questa sede. Sono state depositate memorie. Motivi della decisione 1. E' stata preliminarmente richiesta, dal difensore di parte ricorrente, la riunione del presente ricorso ad altro ricorso proposto dalla sig.ra Fogliata avverso un'ulteriore sentenza della Corte d'appello di Brescia. Sentenza, chequest'ultima, si abbiaafferma accolto l'opposizione di terzo del sig. Dessì contro la precedente pronuncia della medesima corte bresciana che aveva formato oggetto del ricorso per cassazione a suo questa corte contro la sentenza tempo rigettato da all'esito della quale era stato riassunto in grado d'appello il presente giudizio, prima sospeso. La richiesta non è da accogliere. Non solo, infatti, i due ricorsi che si vorrebbero riuniti hanno ad oggetto sentenze diverse, ma neppure si ravvisano ragioni di opportunità processuale per disporne rapporto di la riunione, in difetto di qualsiasi pregiudizialità giuridica dell'una decisione rispetto all'altra, giacché ciò implicherebbe un'ulteriore 5 dilazione nella definizione di un procedimento che già si protrae da fin troppi anni. 2. I primi due motivi del ricorso investono entrambi il medesimo tema processuale. Col primo di essi il ricorrente denuncia la nullità del procedimento perché, dopo la cassazione del provvedimento con cui il giudizio era stato sospeso, esso sarebbe stato illegittimamente riassunto d'ufficio ad opera del presidente della corte d'appello, il quale l'aveva assegnato alla seconda sezione di detta corte, senza l'indispensabile impulso della parte interessata. Il precedente atto con cui detta parte aveva inteso riassumere il processo dinanzi alla prima sezione della stessa corte, quando ancora il ricorso per cassazione avversO il provvedimento di sospensione era pendente, secondo il ricorrente sarebbe infatti da considerare tamquam non esset: ragion per la quale avrebbe dovuto esser dichiarata l'estinzione del giudizio. Anche il secondo motivo di ricorso, evidentemente connesSO al primo, è volto a lamentare la mancata declaratoria di estinzione del giudizio, a suo tempo tempestivamente eccepita. Insiste infatti il ricorrente nel sostenere che l'atto di riassunzione, depositato dal difensore della sig.ra Fogliata quando ancora era pendente il ricorso per regolamento di competenza avverso il provvedimento di sospensione del giudizio, avrebbe 6° dovuto esser considerato privo di effetti e che, non essendo intervenuto alcun ulteriore atto di riassunzione dopo la pronuncia della Suprema corte sul regolamento di competenza, il medesimo giudizio si sarebbe estinto. 3. Le riferite doglianze sono prive di fondamento. In presenza di un provvedimento di sospensione del giudizio, emesso a norma dell'art. 295 c.p.c., che sia stato impugnato dinanzi alla Corte di cassazione con istanza per regolamento di competenza, proposta a norma dell'art. 47 c.p.c., la riassunzione del processo sospeso intervenire anche prima che vi sia stata la può ben pronuncia sull'istanza di regolamento, ogni qual volta sia nel frattempo venuta meno la causa di sospensione (si veda già, in tal senso, Cass. n. 12299 del 2003). E' bensì vero che l'art. 48 c.p.c. stabilisce che i processi relativamente ai quali è chiesto il regolamento di competenza sono sospesi per effetto della stessa proposizione del regolamento e che la relativa riassunzione, a norma del successivo art. 50, postula ovviamente che sull'istanza di regolamento la Suprema corte si sia pronunciata. Ma siffatte disposizioni sono evidentemente calibrate sull'ipotesi originaria di regolamento di competenza, ossia sul presupposto che la Cassazione sia chiamata ad indicare quale, tra più a decidere su unagiudici, abbia la competenza determinata controversia: nel qual caso è appunto dall'istanza di regolamento che deriva la necessità di e talesospensione dei procedimenti di cui si discute, stato di sospensione non può che perdurare fin quando il regolamento pende. Altra è, invece, la situazione che viene a determinarsi in presenza di un'istanza di un provvedimento diregolamento rivolta avversO sospensione di un giudizio, emesso a norma del citato art. 295. In questo caso l'effetto sospensivo del predetto giudizio non dipende dall'introduzione del procedimento ex art. 47 c.p.c., per l'ovvia ragione che sospeso e che proprio dellaquel giudizio già legittimità di tale sospensione si discute. Donde consegue che, venuta meno la causa di sospensione che ha provocato l'istanza di regolamento, non vi sarebbe più alcun plausibile motivo per costringere il giudizio ad un'ulteriore fase di stallo in attesa della definizione di un regolamento ormai privo di reale incidenza. Una diversa interpretazione implicherebbe un ingiustificato prolungamento dei tempi di definizione del giudizio, incompatibile con il principio costituzionale della ragionevole durata. Può naturalmente accadere - ed è in effetti accaduto nel presente caso che il venir meno della causa di sospensione (perché, ad esempio, il giudizio che si assumeva essere pregiudiziale è stato definito) non venga tempestivamente portato a conoscenza della Suprema corte ル dinanzi alla quale pende il regolamento di competenza avente ad oggetto il provvedimento di sospensione;
e ne può perciò conseguire non solo che il procedimento per regolamento di fatto si protragga per un tempo successivo al venir meno della causa di sospensione di cui si discute, ma anche che la pronuncia sull'istanza di regolamento intervenga quando detta causa di sospensione in realtà non c'è più. Ma, per le ragioni già indicate, sarebbe del tutto incongruo ipotizzare che, sol per questo, la parte interessata resti priva del potere di provocare la ripresa del processo in precedenza sospeso; e ciò soprattutto quando, non essendosi evidentemente provveduto a trasmettere alla Suprema corte il fascicolo d'ufficio della causa sospesa, come prescritto dall'art. 47, terzo comma, c.p.c., nessun materiale impedimento si riassunzione (cfr.,frapponga all'immediata su quest'ultimo profilo, Cass. n. 16556 del 2008). Alla stregua del principio di diritto sopra enunciato, appare dunque chiaro che, lungi dall'essere privo d'effetto, l'atto di riassunzione del giudizio posto in essere dalla difesa della sig.ra Fogliata, entro sei mesi dalla cessazione della causa di sospensione, è da ritenersi pienamente idoneo ad impedire il verificarsi dell'estinzione del giudizio medesimo, come correttamente rilevato dalla corte d'appello. 9 La circostanza, poi, che il giudizio sia stato inizialmente riassunto dinanzi ad una sezione della corte territoriale e quindi, con provvedimento presidenziale, sia stato assegnato ad altra sezione, non ha alcun rilievo ai fini della tempestività dell'atto di riassunzione, né in alcun modo implica che la riassunzione sia stata disposta d'ufficio, trattandosi di mero provvedimento di organizzazione dell'attivitàun dell'ufficio, emesso sul presupposto dell'ormai già ripristinata pendenza del giudizio tempestivamente riassunto dalla parte. 4. Il terzo motivo di ricorso attiene al merito della vertenza ed è volto a lamentare la violazione degli artt. 2909 e 2523 c.c., nonché dell'art. 324 c.p.c. Il ricorrente sostiene, anzitutto, che la decisione assunta nell'impugnata sentenza sarebbe fondata sull'autorità della pronuncia emessa dalla Corte di cassazione in data 26 maggio 20006, n. 12627, ma che, non essendo egli stato parte del giudizio conclusosi con detta sentenza, la cui valenza pregiudiziale rispetto alla presente causa era stata peraltro espressamente esclusa a seguito del regolamento di competenza già più volte sopra richiamato, sarebbe stata fatta scorretta applicazione delle norme di legge in tema di effetti del giudicato. 10 Si tratta, però, di una doglianza manifestamente priva di fondamento, per la decisiva ed assorbente ra gione che la corte d'appello non ha in alcun modo fatto applicazione delle norme in tema di giudicato, riferendosi alla citata sentenza n. 12627/06 di questa corte solo per recepire il principio di diritto ivi richiamato, secondo cui l'acquisto della qualità di socio di una cooperativa dipende dall'incontro della volontà dell'aspirante socio con quella dell'ente, restando sullo sfondo il contratto col quale la quota sia stata trasferita al nuovo socio dal precedente titolare della partecipazione. Nulla assolutamente consente quindi di affermare che la corte di merito abbia fondato la propria decisione su un precedente giudicato o che abbia ritenuto pregiudiziale la statuizione intervenuta nell'altro giudizio cui s'è fatto cenno. Nel medesimo motivo di ricorso sono poi formulate altre difese, volte a supportare la denuncia di violazione dell'art. 2523 C.C. (nel testo vigente prima della riforma attuata dal d. lgs. n. 6 del 2003), che disciplina il trasferimento delle quote di società cooperativa. La formulazione di tali difese appare, però, assai confusa e non tale da consentire l'enucleazione di una censura specificamente rivolta alla ratio decidendi della sentenza impugnata, che sostanzialmente riposa sull'accertamento dell'avvenuta dismi ssione della 11 partecipazione sociale ad opera del sig. Dessì, sin dal 1980, di cui la società prese debitamente atto, e sulla conseguente irrilevanza, ai fini della presente causa, degli accordi contrattuali intercorsi tra il medesimo sig. Dessì e la sig.ra Fogliata, non avendo il primo un adeguato interesse a contestare l'acquisto della qualità di socio da parte della seconda. Il ricorrente ora sostiene di non aver mai voluto revocare in dubbio la qualità di socia della Fogliata " nei confronti della Cooperativa Uliveto, bensì ottenere una declaratoria giudiziale, nei confronti sia della Fogliata sia della Cooperativa Uliveto, della sua perdurante qualità di socio" (ricorso, pag. 22);
e però testualmente il tenore delle suesubito dopo riporta difese in primo grado in cui espressamente si sostiene della rivendicazione della qualità dil'infondatezza socia da parte della sig.ra Fogliata, poi si riportano le disposizioni statutarie in tema di cessione delle quote sociali ed, infine, si contesta (anche invocando l'autorità di una successiva sentenza della Corte d'appello di Brescia, della quale tuttavia non può certo tenersi conto in questa sede essendo stata irritualmente allegata alla comparsa conclusionale di secondo grado e non avendola la Corte d'appello di Venezia neppure menzionata nella decisione qui impugnata) che la delibera del consiglio di amministrazione della Cooperativa 12 Uliveto in data 20 settembre 1980, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di secondo grado, abbia potuto validamente sancire l'uscita del sig. Dessì dalla compagine sociale. Contestazione, quest'ultima, che appare però non condivisibile, sia perché in parte si risolve in una censura - non ammissibile in questa sede al modo in cui il giudice di merito ha interpretato la citata deliberazione consiliare, sia perché l'assunto secondo cui detta deliberazione consiliare sarebbe priva di effetti, in quanto radicalmente nulla, è sfornita di idonei argomenti di supporto, dal momento che la sua asserita contrarietà allo statuto sociale il quale non consente la cessione di quote sociali per atto tra vivi, onde si sostiene che l'organo amministrativo dell'ente non avrebbe potuto prendere atto della volontà del sig. Dessì di uscire dalla cooperativa trasferendo ad altri la propria quota avrebbe semmai potuto determinare 1'annullabilità di quella delibera (in applicazione analogica di quanto dispone l'art. 2377 C.C. per l'invalidità delle delibere assembleari di s.p.a.), ma non certo la sua radicale nullità. E' vero che questa corte, con riferimento a vicende disciplinate dalla normativa societaria anteriore alla riforma disposta col d. lgs. n. 6 del 2003, ha affermato che una deliberazione dell'organo amministrativo della 13' società, se assunta in totale difetto di poteri, è da ritenersi inefficace e che ciò può esser fatto valere dall'interessato, al fine di rimuovere la causa della lesione del proprio diritto, prescindendo dalle forme e dai termini stabiliti per l'annullamento delle delibere consiliari, i quali sono destinati ad operare solo quando la delibera resti nell'ambito dell'esercizio del potere gestorio (si veda, tra le altre, Cass. 28 marzo 1996, n.2850). Ma, nel caso in esame, non può sostenersi che il amministrazione della cooperativa, consiglio di il subentro in società di un socio al nell'ammettere posto di un altro, abbia agito al di fuori dei suoi poteri, perché s'è già detto che l'assunzione della società di questo tipo (e, partecipazione in una registrazione del fatto che un correlativamente, la precedente partecipante abbia cessato di esser tale) vicenda che riguarda la struttura stessa dell'ente e che, perciò, non può dirsi ad esso estranea. Ne resta confermato che si sarebbe potuto discutere dell'invalidità della suindicata delibera consiliare del 1980, per la sua eventuale contrarietà al divieto di cessione di quote previsto dallo statuto, a condizione che detta delibera fosse stata tempestivamente impugnata dall'interessato, ma non si può pretendere di farla dichiarare priva di effetti a distanza di oltre trenta anni. 14 5. I l ricorso, quindi, deve esser rigettato, con conseguente condanna del ricorrente, in favore della controricorrente, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

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