Cass. pen., sez. VI, sentenza 22/09/2022, n. 35636
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Testo completo
la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: C V, nato a Fasano il 04/12/1945 avverso la sentenza emessa dalla Corte di appello di Lecce il 19/04/2021;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udito il Sostituto Procuratore Generale, che ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
udito l'avv. G C, difensore dell'imputato, che ha concluso insistendo nell'accoglimento dei motivi di ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Lecce ha confermato la sentenza con cui V C è stato condannato per il reato di peculato. Confronto, nella qualità di amministratore di sostegno di D P L, con più azioni si sarebbe appropriato della complessiva somma di 77.723,56 euro prelevandola dai libretti postali e dai conto correnti bancari intestati all'amministrata (dall'8.11.2006 al 1.2.2011).
2. Ha proposto ricorso per cassazione l'imputato articolando otto motivi.
2.1. Con il primo si deduce violazione di legge;
il tema attiene alla indeterminata descrizione del fatto nel decreto che dispone il giudizio che, si assume, sarebbe nullo per indeterminatezza dell'accusa, non essendo specificato quando e su quali libretti di risparmio o conti correnti sarebbero stati compiuti i prelevamenti;
ciò avrebbe impedito di esercitare compiutamente il diritto di difesa, anche in ragione della ampiezza temporale della contestazione. I libretti e i conti sarebbero stati alcuni intestati esclusivamente alla D P, in quanto persona sottoposta ad amministrazione, altri alla stessa D P ed a altre persone, altri ancora a D P ma con delega al prelievo in favore dell'imputato e non tutti i prelievi troverebbero giustificazione nella qualifica pubblica di questi. Le sentenze avrebbero finito per costruire la responsabilità dell'imputato, e quindi la prova della condotta appropriativa, in ragione della inosservanza di regole contabili, di documentazione e di rendicontazione in materia di amministrazione di sostegno - peraltro evocate per la prima volta dal perito alla fine del processo di primo grado e mai richiamate nel capo di imputazione - ovvero per non aver ottemperato agli inviti ricevuti dal giudice tutelare addirittura dopo la data indicata nella imputazione.
2.2. Con il secondo motivo si deduce la nullità delle sentenze di primo e secondo grado per violazione dell'art. 521 cod. proc. pen. e del principio di correlazione tra accusa e sentenza. Rispetto ad un fatto iniziale in cui si contestava l'appropriaziore per sè di somme di denaro, l'imputato sarebbe stato invece condannato, all'esito della perizia disposta dal Tribunale, per la violazione di regole di rendicontazione o di contabilizzazione. Ciò avrebbe violato la prerogative difensive e il Tribunale non si sarebbe nemmeno curato di verificare le ragioni delle supposte violazioni.
2.3. Con il terzo motivo si lamenta vizio di motivazione in relazione alle deduzioni difensive compiute sulla perizia e sui criteri utilizzati dal perito. Il tema attiene alla valutazione della prova peritale, alla dedotta inesperienza del perito, all'assenza di criteri di riferimento certi e obiettivi sotto il profilo normativo per poter affermare la correttezza della scelta da parte dello stesso perito di privilegiare uno piuttosto che un altro criterio di ricostruzione, all'assoluta mancanza di confronto con quella che era la prassi del Tribunale di Brindisi in tema di amministrazione di sostegno, alla incapacità di spiegare come l'imputato potesse avere provveduto al sostentamento dell'amministranda e alla gestione del patrimonio per tutti gli anni di cui alla imputazione. Su tali decisivi profili la sentenza sarebbe silente.
2.4. Con il quarto motivo si deduce violazione di legge in relazione agli artt. 411 - 380 cod. civ. Si assume che la sentenza sarebbe viziata: a) perché il Giudice tutelare aveva perimetrato gli obblighi dell'amministratore di sostegno escludendo l'automatica applicabilità alla sua figura delle norme previste in materia di tutela, attesa la clausola di salvezza di cui all'art. 411 cod. civ., e avrebbe richiesto solo nel 2011, dopo il decesso dell'amministrata, all'amministratore il "deposito eventuale di documentazione, avendo sino a quel momento il C dovuto esclusivamente osservare l'obbligo di riferire semestralmente sulla attività svolta e sulle condizioni di vita personale e sociale del beneficiario" (così il ricorso a pag. 18);
b) perché non si sarebbe tenuto conto che l'imputato era stato autorizzato a prelevare la somma di 350,00 euro al mese senza obbligo di rendiconto per il sostentamento e l'ordinaria amministrazione del patrimonio;
c) perchè sarebbero state assimilate discipline ed istituti tra loro diversi, come l'amministrazione di sostegno e la tutela, non avrebbe considerato la effettiva portata dalla clausola di compatibilità di cui all'art. 411 cod. civ.. e, diversamente da quanto hanno fatto i Giudici di merito, la non affatto scontata applicazione all'amministrazione di sostegno, attraverso l'art. 411, dell'art. 380 cod. civ.;
d) quanto all'affermazione secondo cuii il decreto di nomina non conterrebbe nessuna esclusione dell'obbligo di rendicontazione, atteso che non si sarebbe tenuto in tal modo conto che il Giudice per quattro anni non aveva mai chiesto di rispettare l'art. 380 cod. civ. proprio perché aveva ritenuto non cogente la norma indicata;
e) quanto all'affermazione secondo cui da alcuni provvedimenti sarebbe invece evincibile che l'imputato fosse obbligato a rendicontare;
non sarebbe stato considerato che il secondo dei due provvedimenti richiamati sarebbe successivo alla data di consumazione del reato.
2.5. Con il quarto motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al giudizio di responsabilità;
l'imputato non avrebbe avuto la disponibilità delle somme per ragione dell'ufficio, atteso che il nucleo principale dei prelievi sarebbe stato compiuto su un conto in cui l'amministrata aveva conferito delega all'imputato e senza che il giudice ne fosse a conoscenza;
dunque l'imputato avrebbe avuto accesso non in ragione dell'ufficio ma della procura a lui conferita. Il fatto sarebbe al più inquadrabile nel reato di appropriazione indebita. La prova dell'appropriazione non potrebbe essere fatta conseguire dalla inosservanza delle regole di gestione del patrimonio (si richiama giurisprudenza) e non sarebbe fondato neppure l'assunto, contenuto in sentenza, secondo cui la questione della qualificazione giuridica dei fatti sarebbe stata posta solo con l'atto di appello. Il possesso della somme, si argomenta, sarebbe stato ottenuto attraverso la omissione di informazioni (potere di delega) e dunque al più sarebbe configurabile il delitto di truffa;
così come non sarebbe stata presa in considerazione adeguatamente la possibilità che il fatto fosse riconducibile al delitto di abuso d'ufficio. Né, ancora, sarebbe stata
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udito il Sostituto Procuratore Generale, che ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
udito l'avv. G C, difensore dell'imputato, che ha concluso insistendo nell'accoglimento dei motivi di ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Lecce ha confermato la sentenza con cui V C è stato condannato per il reato di peculato. Confronto, nella qualità di amministratore di sostegno di D P L, con più azioni si sarebbe appropriato della complessiva somma di 77.723,56 euro prelevandola dai libretti postali e dai conto correnti bancari intestati all'amministrata (dall'8.11.2006 al 1.2.2011).
2. Ha proposto ricorso per cassazione l'imputato articolando otto motivi.
2.1. Con il primo si deduce violazione di legge;
il tema attiene alla indeterminata descrizione del fatto nel decreto che dispone il giudizio che, si assume, sarebbe nullo per indeterminatezza dell'accusa, non essendo specificato quando e su quali libretti di risparmio o conti correnti sarebbero stati compiuti i prelevamenti;
ciò avrebbe impedito di esercitare compiutamente il diritto di difesa, anche in ragione della ampiezza temporale della contestazione. I libretti e i conti sarebbero stati alcuni intestati esclusivamente alla D P, in quanto persona sottoposta ad amministrazione, altri alla stessa D P ed a altre persone, altri ancora a D P ma con delega al prelievo in favore dell'imputato e non tutti i prelievi troverebbero giustificazione nella qualifica pubblica di questi. Le sentenze avrebbero finito per costruire la responsabilità dell'imputato, e quindi la prova della condotta appropriativa, in ragione della inosservanza di regole contabili, di documentazione e di rendicontazione in materia di amministrazione di sostegno - peraltro evocate per la prima volta dal perito alla fine del processo di primo grado e mai richiamate nel capo di imputazione - ovvero per non aver ottemperato agli inviti ricevuti dal giudice tutelare addirittura dopo la data indicata nella imputazione.
2.2. Con il secondo motivo si deduce la nullità delle sentenze di primo e secondo grado per violazione dell'art. 521 cod. proc. pen. e del principio di correlazione tra accusa e sentenza. Rispetto ad un fatto iniziale in cui si contestava l'appropriaziore per sè di somme di denaro, l'imputato sarebbe stato invece condannato, all'esito della perizia disposta dal Tribunale, per la violazione di regole di rendicontazione o di contabilizzazione. Ciò avrebbe violato la prerogative difensive e il Tribunale non si sarebbe nemmeno curato di verificare le ragioni delle supposte violazioni.
2.3. Con il terzo motivo si lamenta vizio di motivazione in relazione alle deduzioni difensive compiute sulla perizia e sui criteri utilizzati dal perito. Il tema attiene alla valutazione della prova peritale, alla dedotta inesperienza del perito, all'assenza di criteri di riferimento certi e obiettivi sotto il profilo normativo per poter affermare la correttezza della scelta da parte dello stesso perito di privilegiare uno piuttosto che un altro criterio di ricostruzione, all'assoluta mancanza di confronto con quella che era la prassi del Tribunale di Brindisi in tema di amministrazione di sostegno, alla incapacità di spiegare come l'imputato potesse avere provveduto al sostentamento dell'amministranda e alla gestione del patrimonio per tutti gli anni di cui alla imputazione. Su tali decisivi profili la sentenza sarebbe silente.
2.4. Con il quarto motivo si deduce violazione di legge in relazione agli artt. 411 - 380 cod. civ. Si assume che la sentenza sarebbe viziata: a) perché il Giudice tutelare aveva perimetrato gli obblighi dell'amministratore di sostegno escludendo l'automatica applicabilità alla sua figura delle norme previste in materia di tutela, attesa la clausola di salvezza di cui all'art. 411 cod. civ., e avrebbe richiesto solo nel 2011, dopo il decesso dell'amministrata, all'amministratore il "deposito eventuale di documentazione, avendo sino a quel momento il C dovuto esclusivamente osservare l'obbligo di riferire semestralmente sulla attività svolta e sulle condizioni di vita personale e sociale del beneficiario" (così il ricorso a pag. 18);
b) perché non si sarebbe tenuto conto che l'imputato era stato autorizzato a prelevare la somma di 350,00 euro al mese senza obbligo di rendiconto per il sostentamento e l'ordinaria amministrazione del patrimonio;
c) perchè sarebbero state assimilate discipline ed istituti tra loro diversi, come l'amministrazione di sostegno e la tutela, non avrebbe considerato la effettiva portata dalla clausola di compatibilità di cui all'art. 411 cod. civ.. e, diversamente da quanto hanno fatto i Giudici di merito, la non affatto scontata applicazione all'amministrazione di sostegno, attraverso l'art. 411, dell'art. 380 cod. civ.;
d) quanto all'affermazione secondo cuii il decreto di nomina non conterrebbe nessuna esclusione dell'obbligo di rendicontazione, atteso che non si sarebbe tenuto in tal modo conto che il Giudice per quattro anni non aveva mai chiesto di rispettare l'art. 380 cod. civ. proprio perché aveva ritenuto non cogente la norma indicata;
e) quanto all'affermazione secondo cui da alcuni provvedimenti sarebbe invece evincibile che l'imputato fosse obbligato a rendicontare;
non sarebbe stato considerato che il secondo dei due provvedimenti richiamati sarebbe successivo alla data di consumazione del reato.
2.5. Con il quarto motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al giudizio di responsabilità;
l'imputato non avrebbe avuto la disponibilità delle somme per ragione dell'ufficio, atteso che il nucleo principale dei prelievi sarebbe stato compiuto su un conto in cui l'amministrata aveva conferito delega all'imputato e senza che il giudice ne fosse a conoscenza;
dunque l'imputato avrebbe avuto accesso non in ragione dell'ufficio ma della procura a lui conferita. Il fatto sarebbe al più inquadrabile nel reato di appropriazione indebita. La prova dell'appropriazione non potrebbe essere fatta conseguire dalla inosservanza delle regole di gestione del patrimonio (si richiama giurisprudenza) e non sarebbe fondato neppure l'assunto, contenuto in sentenza, secondo cui la questione della qualificazione giuridica dei fatti sarebbe stata posta solo con l'atto di appello. Il possesso della somme, si argomenta, sarebbe stato ottenuto attraverso la omissione di informazioni (potere di delega) e dunque al più sarebbe configurabile il delitto di truffa;
così come non sarebbe stata presa in considerazione adeguatamente la possibilità che il fatto fosse riconducibile al delitto di abuso d'ufficio. Né, ancora, sarebbe stata
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