Cass. pen., sez. II, sentenza 25/05/2021, n. 20754

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. II, sentenza 25/05/2021, n. 20754
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 20754
Data del deposito : 25 maggio 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso proposto nell'interesse di: P F, n. a Bergamo il 27/10/1978, avverso la sentenza del 28/6/2016 della Corte di appello di Brescia;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere M P;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, che ha chiesto dichiararsi la inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Brescia, con la sentenza indicata in epigrafel ha parzialmente riformato, rideterminando in me/ius la sanzione irrogata in primo grado, la decisione del tribunale di Bergamo dell'Il dicembre 2013, che aveva riconosciuto la responsabilità dell'imputato per i reati a lui ascritti (detenzione a fine di vendita di capi di abbigliamento recanti marchi o segni distintivi contraffatti;
ricettazione dei medesimi prodotti, acquistati al fine di trarne profitto nella consapevolezza della loro provenienza da delitto, qualificato il fatto di ricettazione di lieve entità), unificati sotto il vincolo della continuazione / e lo aveva condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi cinque di reclusione ed euro 500 di multa. Avverso tale provvedimento ricorre l'imputato, a mezzo del difensore di fiducia, deducendo a motivi della impugnazione:

1. violazione della legge penale ex art. 606 lett. b) cod. proc. pen., in relazione al principio di specialità che governa il rapporto tra sanzione penale e sanzione amministrativa della medesima condotta (art. 9 della legge 689/1981 e 1 comma 7 D.L. 35/2005, come interpretato alla luce della sentenza n. 22225 del 19/1/2012 emessa dalle Sezioni unite della Corte di cassazione), avendo errato la Corte d'appello e, prima di essa il tribunale, nel qualificare il fatto (ricezione e detenzione di capi di abbigliamento recanti marchi o segni distintivi contraffatti) in termini di delitto di ricettazione, escludendo la prospettata più mite qualificazione del fatto in termini di illecito amministrativo, ben potendo il soggetto attivo definirsi, sulla base della condotta tenuta, "acquirente finale" della merce detenuta nel bagagliaio della sua vettura;
merce acquistata per farne uso personale o per farne dono ai suoi più stretti congiunti;

2. vizio di motivazione, ex art. 606 lett. e) cod. proc. pen., per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità, quanto alla dimostrazione del dolo atto a sorreggere la consapevolezza della provenienza da delitto della merce ricevuta, atteso che il congruo prezzo di acquisto indicato con le spontanee dichiarazioni rese nel procedimento e l'ottima qualità della contraffazione e della fattura dei capi di abbigliamento posseduti depongono per la inimmaginabilità (almeno al momento dell'acquisto) della natura contraffatta dei marchi e dei segni distintivi che distinguono la merce detenuta;

3. i medesimi vizi di motivazione (mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità) caratterizzano la dimostrazione della finalizzazione al mercato (art. 474 cod. pen.) dei capi recanti marchi contraffatti acquistati, in quanto è rimasto indimostrato che tali oggetti di vestiario fossero destinati ad un uso diverso da quello personale, ammesso spontaneamente dal ricorrente;

4. erronea applicazione della legge penale incriminatrice, per violazione del principio di specialità di cui all'art. 15 cod. pen.. La difesa chiede in particolare un revirement giurisprudenziale rispetto alla sentenza n. 23427/2001, resa da questa Corte a Sezioni unite (le due distinte fattispecie di cui all'art. 648 cod. pen. e 474 cod, pen. concorrono tra loro, sanzionando condotte diverse e tutelando differenti interessi giuridici);
viceversa, anche alla luce dei principi espressi dalla sentenza n. 22225/2012 resa a Sezioni unite e già sopra invocata ai fini della corretta qualificazione giuridica del fatto di ricettazione, deve oggi ritenersi che tra ricettazione e detenzione di beni recanti marchi contraffatti sussista un rapporto di genere a specie, che si risolve nella esclusiva applicabilità della fattispecie che sanziona la derivazione della merce da contraffazione in marchi, giacché contenente elementi specializzanti rispetto alla mera ricettazione di cose provento di delitto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile, in quanto meramente ripetitivo dei motivi posti all'attenzione della Corte di merito con il gravame, senza peraltro che sia svolto alcun confronto critico con le diffuse argomentazioni spese nel merito per dimostrare nell'agente la consapevolezza della provenienza da delitto dei capi di abbigliamento posseduti ed acquistati, oltre alla natura speculativa dell'acquisto, essendo rimasta nel merito del tutto indimostrata la finalità di destinare i capi di abbigliamento acquistati ad uso solo personale del detentore.

1. Con il primo motivo di ricorso si prospetta la violazione della legge sostanziale (con riferimento all'art. 1 comma 7 del D.L. 35/2005 convertito nella L. 80/2005, nel testo successivamente modificato dalla L. 99/2009), in quanto la Corte d'appello, nel qualificare il fatto in termini di ricettazione (e non di illecito amministrativo), avente ad oggetto capi di abbigliamento con marchi contraffatti, avrebbe violato il dettato normativo di cui alla disciplina amministrativa speciale citata, che sanziona la condotta dell'acquirente finale della medesima merce. Il concetto è stato esplicitato da questa Corte a Sezioni unite con la sentenza n. 22225 del 19/1/2012 (Rv. 252453). Poiché l'imputato ha dichiarato spontaneamente di rientrare nella categoria degli "acquirenti finali", come tali insuscettibili di sanzione penale, male avrebbe operato la Corte d'appello non assecondando tale qualità, anche perché la destinazione alla vendita dei capi di abbigliamento detenuti non era logicamente argomentabile sulla base delle acquisizioni probatorie.
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