Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 23/06/2005, n. 13474

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 23/06/2005, n. 13474
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 13474
Data del deposito : 23 giugno 2005
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. S G - Presidente -
Dott. C P - Consigliere -
Dott. L A - Consigliere -
Dott. L T M - Consigliere -
Dott. T S - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
INPS - ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA VIA DELLA FREZZA

17, presso l'Avvocatura Centrale dell'Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati FABIANI GIUSPE, B G, giusta delega in atti;



- ricorrente -


contro
V R, MAZZOTTI GERMANO, C NICOLÒ, C P, BARTOLETTI EDMONDO, elettivamente domiciliati in

ROMA VIA CARLO MIRABELLO

17, presso lo studio dell'avvocato Z F, rappresentati e difesi dall'avvocato M M, giusta delega in atti;



- controricorrenti -


avverso la sentenza n. 226/02 della Corte d'Appello di Bologna, depositata il 26/10/02 r.g.n. 807/00;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/04/05 dal Consigliere Dott. S T;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SE E A che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d'appello di Bologna, con la sentenza indicata in epigrafe, confermava la sentenza con cui il Tribunale di Ravenna aveva accolto le domande, proposte contro l'Inps da Renzo Vicchi ed altri quattro lavoratori, dirette all'accertamento del diritto a vedere accreditata la contribuzione figurativa relativa al periodo, di 156 settimane, dal 7.11.1988 al 7.11.1991, trascorso dai lavoratori in cassa integrazione straordinaria (con la precisazione, da parte di detto giudice di primo grado, del diritto a mantenere l'accredito dei contributi figurativi per il periodo 7.11.1988-1.11.1991). L'INPS aveva riproposto la tesi, già sostenuta in primo grado, che nella specie, poiché l'ammissione alla cassa integrazione era avvenuta in base all'art. 2 della legge 12 agosto 1977 n. 301 a seguito della dichiarazione di fallimento dell'impresa datrice di lavoro (la s.r.l. Tecner), la successiva sentenza di revoca del fallimento e il conseguente venir meno di uno dei presupposti di legittimità dei decreti ministeriali di concessione della cigs, pur non invalidando gli effetti già prodotti e risalenti nel tempo, aveva precluso il verificarsi di ulteriori effetti giuridici, destinati a prodursi, come quelli inerenti all'accredito della contribuzione figurativa, soltanto in futuro. E ricordava anche che lo stesso istituto aveva altresì eccepito l'insussistenza del requisito occupazionale posto dall'art. 8, terzo comma, del d.l. n. 86/1988, convertito in legge n. 160/1988, disposizione che doveva
essere interpretata nel senso che l'ammissione al beneficio era subordinata ad un'effettiva e concreta prestazione di lavoro per almeno 90 giorni prima della presentazione della domanda di fallimento: nella specie - secondo l'Inps - tale requisito non era integrato, poiché i lavoratori, alla data di assunzione da parte della s.r.l. Tecner (novembre 1987) si trovavano in stato di disoccupazione speciale, perché precedentemente licenziati, in data 26 aprile 1987, dalla società CSM, poi fallita.
Il giudice di appello non riteneva fondate le doglianze dell'Inps. Rilevava che il riconoscimento dei contributi figurativi è necessario ed automatico in tutti i casi di sospensione del lavoro con riconoscimento della cassa integrazione e che quindi l'accreditamento della contribuzione figurativa non può che essere contestuale al periodo in cui il lavoratore usufruisce del trattamento straordinario di integrazione salariale, con criteri di immediatezza ed automatismo. In altre parole, una volta riconosciuta la cassa integrazione, i contributi figurativi non possono mancare. Osservava inoltre che la salvezza degli effetti degli atti legalmente compiuti dagli organi del fallimento, ex art. 21 legge fall., opera anche in caso di revoca della sentenza dichiarativa del fallimento disposta a causa del vizio procedurale consistente nella mancata audizione del debitore. Ciò doveva affermarsi anche perché il disposto dell'art. 21 era espressione del principio generale di conservazione degli atti di gestione compiuti in connessione ad un provvedimento dell'autorità giudiziaria. D'altra parte, la domanda di ammissione alla cigs era stata presentata dal curatore fallimentare e quindi il principio di conservazione degli atti di cui al citato art. 21 si estendeva agli effetti di tale domanda, effetti cui si collegava l'automatico riconoscimento dei contributi figurativi. Del resto - secondo il giudice di appello - in ipotesi di dichiarazione di fallimento, concordato preventivo con cessione dei beni, l.c.a. o amministrazione straordinaria, l'intervento della cassa integrazione è automatica, occorrendo soltanto la domanda del curatore (o del diverso organo della procedura concorsuale), cui segue la sola autorizzazione del ministro del lavoro. La Corte sottolineava anche che l'ammissione alla cigs avviene con provvedimento discrezionale su domanda del solo datore di lavoro e che, una volta ammessa la cassa integrazione, l'Inps deve corrispondere le relative prestazioni, con i consequenziali contributi figurativi.
Quanto alla sussistenza del requisito occupazionale, la Corte di merito riteneva che la doglianza dell'Inps, secondo cui l'art. 8, 3^ comma, del d.l. n. 86/1988 richiede una concreta ed effettiva
prestazione per almeno 90 giorni prima della presentazione della domanda di intervento, era infondata alla luce del principio secondo cui rileva la prestazione lavorativa presso una determinata azienda, oggettivamente intesa, senza che spieghino efficacia ostativa trasferimenti non incidenti sulla continuità dei rapporti di lavoro ex art. 2112 c.c.. Nella specie rilevava quindi anche la pregressa anzianità dei lavoratori appellati maturata alle dipendenze della s.r.l. C.M.S., stante il passaggio di costoro alla s.r.l. Tecner in forza dell'accordo sindacale dell'11.9.1987, equiparabile ad un trasferimento d'azienda.
Contro questa sentenza l'Inps propone ricorso per Cassazione, affidato a due motivi. I lavoratori resistono con controricorso. MOTIVI DELLA DECISIONE
Il primo motivo denuncia violazione degli artt. 4 e 51.20 marzo 1865 n. 2248, all. E, con riferimento all'art. 25, settimo comma, della l. 12 agosto 1977 n. 675, introdotto dall'art. 2 della l. 27 luglio 1979 n. 301, e all'art 8, quarto comma, della legge 23 aprile 1981 n. 155
(in relazione all'art. 360 n. 3 e 5).
Si da atto dell'applicabilità dell'art. 21 leggo fall., anche in caso di revoca della sentenza dichiarativa di fallimento per mancata audizione del debitore, ma si sostiene che restano esclusi da tale effetto conservativo i provvedimenti amministrativi di concessione delle prestazioni di integrazione salariale perché emanati al di fuori della procedura concorsuale e aventi fini estranei a quelli tipici di tale procedura: tali atti, legittimi al momento della loro emanazione, vengono travolti ex tunc dal venire meno di un elemento della loro fattispecie costitutiva. Infatti i decreti ministeriali concessivi del beneficio sono oggetto di un'attività autonoma e non costituiscono un effetto giuridico direttamente o indirettamente derivante dalla sentenza dichiarativa del fallimento o dall'istanza presentata dal curatore fallimentare.
Si deduce, poi, che non sussiste un nesso automatico tra la sospensione del lavoro comportante il trattamento di integrazione salariale (a prescindere dalla sussistenza o meno del diritto alla conservazione di quest'ultimo) e il riconoscimento della contribuzione figurativa, dato che i presupposti di quest'ultima devono essere accertati e validamente sussistere non al momento della sospensione del lavoro assistita dalla integrazione salariale, ma al momento in cui vengono a sussistere tutti i requisiti del diritto a pensione.
Il secondo motivo denuncia violazione dell'art. 8, terzo comma, del di 21 marzo 1988 n. 86, convertito con modificazioni nella legge 20 maggio 1988 a 160, unitamente ad erronea motivazione su un punto
decisivo.
Si osserva che il giudice di appello, da un lato, ha implicitamente ammesso l'insussistenza di un'anzianità lavorativa di almeno 90 giorni presso la società dichiarata fallita e, dall'altro, ha dato rilievo - ai fini del requisito in questione - ai rapporti di | lavoro intercorsi con la s.r.l. CMS, sulla base di una motivazione che non teneva conto delle specifiche deduzioni dell'istituto circa la non continuità dei due rapporti di lavoro;
(essendo stati i ricorrenti licenziati dalla CMS nell'aprile del 1987 e quindi collocati in stato di disoccupazione speciale) e che era viziata per avere confermato l'esistenza di un trasferimento senza fare riferimento ad una prova documentale (necessaria ex artt. 2556 e 2725 c.c.), senza precisare il titolo giuridico del trasferimento ed
erroneamente attribuendo efficacia equivalente a quella di un negozio traslativo all'accordo sindacale dell'11.9.1987, in contrasto con il suo effettivo contenuto.
Il primo motivo non è fondato.
L'opportuno preliminarmente rilevare che la natura giuridica, e gli effetti sulle posizioni soggettive dei soggetti interessati, del provvedimento di ammissione alla cassa integrazione che sia intervenuto a seguito di intimazione di licenziamenti da parte di un'impresa fallita non sono diversi da quelli degli altri provvedimenti di ammissione alla cigs, poiché - diversamente da quanto opinato dal giudice a quo, la cui motivazione deve essere corretta sul punto - nel caso disciplinato dall'art. 2 della legge n. 301/1979, non vi è una modifica dei presupposti dell'intervento
della cassa integrazione (salvo l'irrilevanza della già avvenuta intimazione dei licenziamento, la cui efficacia è sospesa), che è dichiarata ai sensi dell'art. 2 della legge 12 agosto 1977 n. 675 (nel cui art. 25 è inserito il testo della nuova disposizione), con provvedimento discrezionale (cfr. al riguardo anche l'espressione "il cui trattamento può essere concesso per un periodo massimo di ventiquattro mesi"), previo esame e verifica della natura della crisi aziendale ed esercizio delle valutazioni del caso, e con rispetto delle ordinarie competenze, tra cui quella del CIPI ai fini della dichiarazione dello stato di crisi aziendale. In effetti, come esplicitamente evidenziato dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. soprattutto Cass. 2 dicembre 1991 n. 12908 e Cass. 7 aprile 2001 n. 5229) anche nel caso in esame, secondo la normativa vigente anteriormente all'entrata in vigore della legge n. 223/1991 - che nel quadro di un'organica disciplina del rapporto tra intervento della cassa integrazione o collocamento in mobilità e procedimenti concorsuali, ha abrogato l'art. 2 della legge n. 301/1979 (cfr. l'art. 3 della legge n. 223/1991 e specificamente il suo comma 5) -, il provvedimento concessivo della cassa integrazione a favore dei dipendenti già licenziati dell'impresa fallita determinava la prosecuzione dei rapporti di lavoro al fine dei perseguimento di tutte le finalità dell'intervento della cassa integrazione, senza esclusione neanche dell'esigenza di mantenere, per quanto possibile, l'integrità dell'azienda anche dopo il fallimento dell'imprenditore. Deve poi ricordarsi che, come hanno precisato le Sezioni unite di questa Corte, alla posizione di interesse legittimo in cui si trovano sia il datore 41 lavoro che i lavoratori, riguardo all'emanazione di un provvedimento di ammissione dell'impresa alla cassa integrazione ordinaria o straordinaria, si sostituiscono posizioni di diritto soggettivo tra imprenditore o lavoratori da una parte, e Inps dall'altra, nascenti dal provvedimento medesimo e attinenti, in particolare, al rimborso dell'integrazione retributiva anticipata dal datore di lavoro ai lavoratori o alla diretta corresponsione della medesima;
e che tuttavia si ricostituisce una posizione di interesse legittimo - e sussiste quindi la giurisdizione del giudice amministrativo - qualora intervengano atti, contestati dagli interessati, di annullamento d'ufficio del provvedimento per vizi di illegittimità, oppure di revoca dello stesso per contrasto fin dall'origine con l'interesse pubblico (Cass., sez. un., 19 marzo 1997 n. 2432 e 23 novembre 1999 n. 823/1999;
cfr. anche Cass., Sez. un., 14 luglio 2000 n. 498). Deve, peraltro ulteriormente precisarsi che le questioni relative all'estensione soggettiva del provvedimento di ammissione sono da qualificarsi come di diritto soggettivo (Cass., Sez. un., 12 dicembre 1988 n. 6748 e 3 febbraio 1995 n. 1311). Ne consegue che, in relazione alle questioni poste dal primo motivo, dato rilevante è la circostanza che in concreto il Ministro del lavoro non ha annullato d'ufficio o revocato l'atto di ammissione alla cassa integrazione della (fallita) Soc. Tecner, peraltro in adesione di un motivato parere del Consiglio di Stato, nel quale è stato evidenziato che, in relazione alla legge n. 301/1979, il fallimento costituisce un presupposto di fatto e non di diritto dell'emanazione dei decreti concessivi del trattamento di integrazione salariale e che la sentenza di nullità della dichiarazione del fallimento non incide sulla situazione di bisogno del lavoratori, il cui affidamento deve essere tutelato (Cons. Stato, Sez. 2^, 24 luglio 1996). Correlativamente, l'Inps non può far valere in via di mera eccezione, evidentemente ai fini della sua disapplicazione, l'ipotizzato vizio sopravvenuto del provvedimento ministeriale. Peraltro, non sarebbe comunque configurabile un'illegittimità del provvedimento in questione, poiché la validità di un atto amministrativo va verificata con riguardo alla situazione di tatto e di diritto sussistente al momento della sua adozione, rimanendo di norma irrilevanti, a tale fine, i fatti e le norme sopravvenute (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, Sez. 5^, 10 novembre 1992 n. 1262 e Cons. Stato, Sez. 4^, 31 maggio 1999 n. 932). Quanto al secondo motivo deve rilevarsi che dalla sentenza impugnata risulta accertata, in punto di fatto, la circostanza, peraltro pacifica, dell'assunzione degli attuali controricorrenti da parte della s.r.l. Tecner nel novembre 1987. Ai fini della rilevanza delle doglianze formulate dall'Inps deve quindi verificarsi in punto di diritto se effettivamente l'integrazione del requisito del "conseguimento di un'anzianità lavorativa presso l'impresa di almeno novanta giorni alla data della richiesta di trattamento", previsto dall'art 8, comma terzo, del d.l. n. 544/1988, ai fini della "ammissione del trattamento di integrazione salariale straordinaria" (requisito che, alla luce del principio precedentemente esposto, pone una questione inerente alla effettiva sussistenza di diritti soggettivi in capo ai singoli interessati), richiede la sussistenza di almeno 90 giorni di effettiva prestazione lavorativa. In realtà l'interpretazione restrittiva proposta dall'Inps, basata in sostanza sul presupposto che la legge preveda un requisito contributivo minimo, non è giustificata ne' dal tenore letterale della disposizione, ne' dalla sua ratio, che e quella di prevenire operazioni fraudolente, realizzate attraverso assunzioni funzionali esclusivamente ad assicurare la fruizione del trattamento di cassa integrazione salariale (cfr. Cass. 2 settembre 1996 n. 8024). Deve quindi ritenersi rilevante il tempo trascorso dalla assunzione presso l'impresa in questione, senza necessità di ulteriori accertamenti. Pertanto le considerazioni contenute nella sentenza impugnata circa la configurabilità nella specie di una vicenda equiparabile a un trasferimento di azienda - oggetto di censura da parte dell'istituto ricorrente - sono superflue ai fini della giustificazione della decisione adottata dalla Corte di merito, visto che era pacifico che l'assunzione degli attuali controricorrenti era avvenuta circa un anno prima della dichiarazione di fallimento e quindi essi certamente erano in possesso del requisito dell'anzianità lavorativa presso l'impresa in crisi di almeno 90 giorni alla data della richiesta del trattamento di cassa integrazione.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio sono regolate in base al criterio della soccombenza (art. 91 c.p.c.).

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