Cass. civ., sez. V trib., sentenza 27/09/2022, n. 28063
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Testo completo
Dalla esposizione in fatto della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, n. 4243/35/2015, di cui al procedimento R.g. 14410/2016, si evince che: la società P. s.p.a. Industria Casearia aveva proposto ricorso avverso l'avviso di accertamento in rettifica, relativo agli anni dal 1987 al 1995, emesso dall'Agenzia delle dogane per il recupero di diritti doganali relativi ad operazioni di importazione di formaggi dalla (---), sul presupposto che la società, quale importatrice, aveva fittiziamente indicato un prezzo di importazione non inferiore a quello minimo stabilito per potere beneficiare del trattamento preferenziale del dazio doganale per prelievi agricoli, in considerazione di accrediti successivi all'importazione ricevuti dalla contribuente dalle società estere venditrici che riducevano, in sostanza, il prezzo finale di acquisto;
avverso l'atto impositivo la società aveva proposto ricorso evidenziando, quanto al merito, che non era corretta la metodologia di accertamento utilizzata per l'individuazione del valore minimo delle importazioni;
la Commissione tributaria provinciale di Como aveva dichiarato inammissibile il ricorso, essendo stato proposto oltre il termine di decadenza di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21;
avverso la pronuncia di primo grado la società aveva proposto appello;
la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha accolto l'appello, in particolare, dopo avere ritenuto ammissibile il ricorso proposto avverso l'avviso di rettifica dell'accertamento doganale, ha dichiarato la decadenza dell'amministrazione doganale dal potere di rettifica con riferimento a tutte le annualità oggetto di revisione, avendo ritenuto necessario, al fine di applicare il regime di sospensione del termine di decadenza, che sussistesse un rapporto di pregiudizialità tra l'accertamento del fatto oggetto di procedimento penale e quello relativo all'illecito tributario;
avverso la pronuncia del giudice di appello l'Agenzia delle dogane aveva proposto ricorso per cassazione;
la Suprema Corte, con sentenza n. 24453/2013, definita la questione processuale relativa al vizio della notifica del ricorso di primo grado, aveva accolto il motivo di ricorso relativo alla decadenza del potere impositivo e demandato al giudice del rinvio di accertare se, nel caso di specie, ricorresse il presupposto della tempestiva trasmissione della notitia criminis avuto riguardo alle date di insorgenza delle obbligazioni doganali relative alle singole importazioni di merce, nonchè di procedere ad un nuovo esame del merito;
la società aveva quindi proposto ricorso in riassunzione dinanzi al giudice del rinvio.
La Commissione tributaria regionale del Lazio, a seguito della riassunzione del giudizio, ha accertato che la formale comunicazione della notizia di reato da parte dell'amministrazione doganale era avvenuta in data 25 novembre 1997, sicchè la decadenza del potere impositivo poteva essere dichiarata per le obbligazioni doganali sorte fino al 25 novembre 1994;
inoltre, ha dichiarato di non potere procedere all'esame nel merito della non legittimità degli avvisi di rettifica per i quali non doveva essere pronunciata la decadenza, in quanto si trattava di un accertamento non richiesto dalla pronuncia di cassazione con rinvio.
La società ha quindi proposto ricorso per la cassazione della sentenza, illustrato con successiva memoria, affidato a cinque motivi di ricorso, cui ha resistito l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli depositando controricorso contenente ricorso incidentale affidato ad un unico motivo, cui ha resistito la società depositando controricorso.
Il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale Dott. BASILE Tommaso, si è riportato alle conclusioni scritte.
Dalla esposizione in fatto della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, n. 5658/7/2017, di cui al procedimento R.g. n. 20328/2018, si evince che: la società P. s.p.a. Industria Casearia aveva proposto ricorso per revocazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 4243/2015 che si era pronunciata in sede di giudizio di rinvio, a seguito della pronuncia della Corte di Cassazione n. 24453/2013, riassunto dalla medesima società e relativo ad un giudizio tributario instaurato con ricorso avverso un avviso di rettifica ed accertamento doganale con il quale erano stati recuperati maggiori diritti doganali ed iva per gli anni dal 1987 al 1995.
La società, in particolare, aveva richiesto la revocazione della sentenza in quanto il giudice del gravame non aveva provveduto, in difformità al principio contenuto nella sentenza di cassazione, ad esaminare le questioni di merito poste già a base del giudizio originario e riproposte nel giudizio di rinvio, sicchè il giudice del rinvio era incorso in una erronea percezione e in un travisamento nella lettura della sentenza di rinvio, dunque in un errore di fatto, consistente nel travisamento della lettura di atti processuali, elementi fondanti la decisività dell'errore revocatorio.
La Commissione tributaria regionale della Lombardia ha dichiarato inammissibile il ricorso per revocazione, in quanto il motivo di impugnazione non riguardava un errore materiale commesso dal giudice, ma la errata valutazione ed apprezzamento delle indicazioni contenute nella pronuncia di cassazione con rinvio.
La società ha quindi proposto ricorso per la cassazione della sentenza, illustrato con successiva memoria, affidato ad un unico motivo, articolato in tre diversi profili, cui ha resistito l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli depositando controricorso.
Il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale Dott. BASILE Tommaso si è riportato alle conclusioni scritte.
Motivi della decisione
Preliminarmente, va disposta la riunione al procedimento R.g. n. 14410/2016 del procedimento R.g. n. 20328/2018, stante il rapporto di connessione soggettiva ed oggettiva tra gli stessi esistente.
Per motivi di priorità logico-sistematica, si rende necessario esaminare prioritariamente il procedimento R.g. n. 20328/2018.
Sul ricorso R.g. n. 20328/2018.
Con l'unico motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 64, e dell'art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4), in relazione agli artt. 24 e 111, Cost., nonchè degli artt. 6 e 13 CEDU. In particolare, si censura la sentenza per avere ritenuto inammissibile il ricorso per revocazione, sia in quanto ha erroneamente ritenuto che l'errore revocatorio debba ricadere su di un fatto estraneo al giudizio, sia in quanto, nel caso di specie, l'errore revocatorio era consistito in una errata percezione, da parte del giudice del rinvio, del contenuto testuale della sentenza di cassazione con rinvio, dunque relativo ad una fase precedente rispetto a quella, successiva, della valutazione del contenuto della domanda, ed è su tale errata percezione che il giudice del rinvio ha ritenuto di non potere decidere anche sulle domande di merito;
si evidenzia, inoltre, la decisività dell'errore.
Il motivo è infondato.
Questa Corte (Cass. Sez. Un., 18 febbraio 2021, n. 4368) ha ripetutamente affermato che l'errore di fatto previsto dall'art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4), idoneo a costituire motivo di revocazione, si configura come una falsa percezione della realtà, una svista obiettivamente e immediatamente rilevabile, la quale abbia portato ad affermare o supporre l'esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti e documenti, ovvero l'inesistenza di un fatto decisivo che dagli atti o documenti stessi risulti positivamente accertato, e pertanto consiste in un errore meramente percettivo che in nessun modo coinvolga l'attività valutativa del giudice di situazioni processuali esattamente percepite nella loro oggettività. L'errore deve, pertanto, apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o di indagini ermeneutiche, e non può consistere, per converso, in un preteso, inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, vertendosi, in tal