Cass. civ., SS.UU., sentenza 25/03/2019, n. 08313

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., SS.UU., sentenza 25/03/2019, n. 08313
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 08313
Data del deposito : 25 marzo 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

nunciato la seguente SENTENZA sul ricorso 32580-2018 proposto da: COLUCCI LUCA, elettivamente domiciliatosi in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato L C;

- ricorrente -

contro

CONSIGLIO DELL'ORDINE DEGLI AVVOCATI DI CAMPOBASSO, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;

- intimati -

avverso la sentenza n. 109/2018 del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, depositata il 12/09/2018. Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/02/2019 dal Consigliere AA-MARIA PERRINO;
udito il Pubblico Ministero, in persona dell'Avvocato Generale L S, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatti di causa

Si legge nella narrativa della sentenza impugnata che, in esito al subentro all'avv. C di altro professionista quale delegato dal giudice dell'esecuzione in una vendita, emersero numerose operazioni di prelievo dai libretti non giustificate, in diverse procedure esecutive. Fu quindi svolta una preistruttoria, fino alla sospensione del procedimento disciplinare, per la contemporanea pendenza di quello penale per gli stessi fatti. Il procedimento disciplinare fu ripreso nel 2016 e tenne conto della sentenza 24 gennaio/19 aprile 2017, n. 18886, con la quale questa Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dall'avv. C contro la sentenza che l'aveva condannato alla pena sospesa di due anni di reclusione per i fatti in questione, qualificati di peculato. Il Consiglio distrettuale di disciplina di Campobasso inflisse quindi all'odierno ricorrente la sanzione della radiazione dall'albo, in base all'esito del processo penale, nonché alle dichiarazioni dei professionisti che avevano sostituito l'incolpato. Il Consiglio nazionale forense ha rigettato il successivo appello proposto dall'avv. C. Al riguardo ha anzitutto ritenuto che il Ric. 2018 n. 32580 sez. SU - ud. 26-02-2019 -2- . mutamento del capo d'incolpazione operato dal Consiglio distrettuale avesse riguardato la sola qualificazione dei fatti contestati. Nel merito, ha sottolineato che il passaggio in giudicato della sentenza penale delimitava il perimetro del giudizio alla sola valutazione della rilevanza deontologica dei fatti già accertati;
sicché ha reputato adeguata la sanzione applicata rispetto alla gravità dei fatti, anche in considerazione del precedente disciplinare per fatti analoghi. Contro questa sentenza propone ricorso l'avv. Luca C per ottenerne la cassazione, che ha articolato in cinque motivi e corredato d'istanza di sospensione dell'efficacia esecutiva della sentenza, cui non v'è replica. Ragioni della decisione 1.- Infondato è il primo motivo di ricorso, col quale il ricorrente denuncia la violazione di legge o l'eccesso di potere in relazione all'art. 59, lett. d), n. 2 della I. n. 247/12 e dell'art. 21, 2° co., lett. b), del regolamento n. 2 del 21 febbraio 2014 adottato dal Consiglio nazionale forense, sostenendo che si sia violato il principio fondamentale di correlazione tra i fatti contestati e la decisione adottata. Ciò perché egli è stato incolpato per la violazione del 40 comma dell'art. 30, poi espunto, ma, lamenta, gli è stata inflitta la sanzione in base a una generica violazione dell'art. 30, senza specificazione alcuna del comma rilevante. Lo stesso ricorrente riconosce, tuttavia, che il Consiglio distrettuale di disciplina, pur espungendo dai capi d'incolpazione il riferimento al comma 4 dell'art. 30 del nuovo codice deontologico, ha <17 gennaio 2012, n. 529;
17 marzo 2017, n. 6967). 2.- Parimenti infondato è il secondo motivo di ricorso, col quale l'avv. C si duole della violazione di legge o dell'eccesso di potere in relazione all'applicazione dell'art. 30 del nuovo codice deontologico forense, per la mancata indicazione del comma che si assume violato dall'incolpato. Ciò perché l'omessa indicazione del comma è del tutto irrilevante ai fini della specificità dell'incolpazione, a fronte della compiuta descrizione dei fatti, della quale si dà atto anche in ricorso (si legge a pag. 16 del ricorso che «...l'eliminazione dalla contestazione dell'indicazione del comma 4 dell'art. 30 Codice Deontologico...non ha modificato...il fatto costitutivo della condotta illecita addebitata all'avv. C, individuata con chiarezza e precisione...). 3.- Inammissibile è poi il terzo motivo di ricorso, col quale l'avv. C lamenta la violazione di legge o l'eccesso di potere in relazione all'applicazione dell'art. 30, 5 0 co., del nuovo codice deontologico forense, con specifico riferimento all'erronea Ric. 2018 n. 32580 sez. SU - ud. 26-02-2019 -4- irrogazione della sanzione della radiazione. Secondo il ricorrente, in particolare, la nullità della sentenza deriverebbe dall'omessa indicazione dell'esatta norma deontologica violata, giacché il nuovo codice deontologico ha provveduto non soltanto a tipizzare le condotte costituenti illecito disciplinare, ma anche a prevedere per ogni singola condotta una determinata sanzione, indicata nel minimo e nel massimo. Di là dalla formulazione come deduzione di violazione di legge, difatti, col motivo il ricorrente censura l'apprezzamento della gravità dell'infrazione compiuta dal giudice disciplinare. Di contro, il potere di applicare la sanzione, adeguata alla gravità e alla natura dell'offesa arrecata al prestigio dell'ordine professionale, è riservato agli organi disciplinari;
pertanto, la determinazione della sanzione inflitta all'incolpato dal consiglio nazionale forense non è censurabile in sede di giudizio di legittimità (vedi, tra varie, Cass., sez. un., 31 luglio 2018, n. 20344). 3.1.- La sanzione inflitta è d'altronde coerente con l'art. 22, 10 co., lett. d), del nuovo codice deontologico forense, che, a proposito della radiazione, la definisce come «...esclusione definitiva dall'albo, elenco o registro e impedisce l'iscrizione a qualsiasi altro albo, elenco o registro, fatto salvo quanto previsto dalla legge» e stabilisce che essa «è inflitta per violazioni molto gravi che rendono incompatibile la permanenza dell'incolpato nell'albo, elenco o registro». E il Consiglio nazionale forense ha fatto appunto leva sulla complessiva gravità dei fatti, sulla reiterazione di essi e sul precedente disciplinare per fatti analoghi per giustificare la legittimità dell'applicazione della sanzione in questione. 4.- Infondato è altresì il quarto motivo di ricorso, col quale l'avv. C denuncia la motivazione apparente della sentenza impugnata, basata a suo avviso su affermazioni inconciliabili. Ric. 2018 n. 32580 sez. SU - ud. 26-02-2019 -5- I fatti indicati nell'incolpazione (consistenti nell'aver effettuato prelievi su libretti senza autorizzazione), anziché inconciliabili, sono corrispondenti alle "plurime appropriazioni di somme di danaro" su cui si fa leva in sentenza;
laddove la censura della motivazione concernente la legittimità della sanzione, adeguatamente giustificata in base alle considerazioni che precedono, finisce col risolversi in una denuncia d'insufficiente motivazione, inibita dalla novella dell'art. 360, 10 co., n. 5, c.p.c., applicabile ratione temporis anche nel giudizio in questione (vedi Cass., sez. un., 29 novembre 2018, n. 30868). 5.- Col quinto motivo di ricorso si eccepisce la prescrizione dell'azione disciplinare in relazione ad almeno tre capi d'incolpazione. Si fa leva, in particolare, sulla disciplina della prescrizione introdotta dall'art. 56 della I. 31 dicembre 2012, n. 247. L'eccezione, benché nuova, è ammissibile, in quanto non importa indagini fattuali (Cass., sez. un., 11 marzo 2004, n. 5038;
9 ottobre 2013, n. 22956). Essa, tuttavia, è infondata. 5.1.- Anzitutto, all'ipotesi in esame non è applicabile l'art. 56 della I. n. 247/12, che è entrata in vigore successivamente alla commissione dei fatti dei quali si discute: e ciò perché il potere disciplinare sanzionatorio in esame resta insensibile al diritto sopravvenuto più favorevole, per la sua natura amministrativa (Cass., sez. un., 18 aprile 2018, n. 9558). 5.2.- Senz'altro, poi, nel caso in esame il termine di prescrizione non era inutilmente decorso quando l'azione disciplinare è stata promosscr anzi, l'azione è stata iniziata addirittura prima che il termine di prescrizione avesse cominciato a decorrere. Agli effetti della prescrizione dell'azione disciplinare regolata dall'art. 51 del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, occorre infatti distinguere il caso, previsto dall'art. 38, in cui il procedimento Ric. 2018 n. 32580 sez. SU - ud. 26-02-2019 disciplinare tragga origine da fatti punibili solo in tale sede, in quanto violino esclusivamente i doveri di probità, correttezza e dirittura professionale, dal caso, previsto dall'art. 44, che ricorre nella fattispecie, in cui il procedimento disciplinare abbia luogo per fatti costituenti anche reato e per i quali sia stata iniziata l'azione penale. 5.2.1.- Nel primo caso, in cui l'azione disciplinare è collegata a ipotesi generiche e a fatti anche atipici, il termine prescrizionale comincia a decorrere dalla commissione del fatto;
nel secondo, invece, l'azione disciplinare è collegata al fatto storico di una pronuncia penale che non sia di proscioglimento perché il fatto non sussiste o perché l'imputato non lo ha commesso, ha come oggetto lo stesso fatto per il quale è stata formulata una imputazione, ha natura obbligatoria e non può essere iniziata prima che se ne sia verificato il presupposto. Ne consegue che la prescrizione decorre dal momento in cui il diritto di punire può essere esercitato, e cioè dal passaggio in giudicato della sentenza penale, costituente un fatto esterno alla condotta (Cass., sez. un., 9 maggio 2011, n. 10071;
31 maggio 2016, n. 11367). Il motivo va quindi respinto, poiché, a fronte della sentenza di questa Corte n. 18886/17, l'azione disciplinare proposta nei confronti dell'avv. C è pienamente tempestiva. 6.- Il ricorso va in conclusione rigettato;
il che determina l'assorbimento dell'istanza di sospensione che lo correda. Nulla per le spese, in mancanza di attività difensiva. Sussistono i presupposti per l'applicazione dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002.
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