Cass. civ., sez. II, ordinanza 16/10/2019, n. 26212
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Testo completo
la seguente ORDINANZA sul ricorso 23164-2015 proposto da: C N M, rappresentato e difeso da se medesimo ex art.86 cpc, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
VALMARANA
40, presso il proprio studio;
- ricorrente -
contro
M S;
- intimati -
2019 avverso l'ordinanza del TRIBUNALE di TRANI, depositata 1592 il 29/07/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/06/2019 dal Consigliere GIUSEPPE T.
Ritenuto che:
L'avv. N C, con ricorso al Tribunale di Trani, chiedeva la liquidazione delle competenze legali nei confronti di M S, deducendo di averlo rappresentato e difeso in più procedimenti dinanzi alla sezione lavoro del medesimo tribunale, sino alla revoca del mandato. In particolare assumeva di avere difeso il M in un procedimento ai sensi dell'art. 700 c.p.c., instaurato a seguito di mandato rilasciato nel 2010, al fine di ottenere in via d'urgenza la declaratoria di illegittimità del licenziamento e la reintegrazione nel posto di lavoro (procedimento definito con l'accoglimento del ricorso e la condanna del datore di lavoro al pagamento delle spese). Precisava che il cliente gli aveva poi rinnovato l'incarico per costituirsi nel susseguente procedimento di reclamo, definito con ordinanza di revoca del provvedimento cautelare e la compensazione delle spese. La fase cautelare era poi seguita dalla causa di merito, instaurata con atto dell'i aprile 2011 e definita con l'accoglimento del ricorso del lavoratore con sentenza del 3 aprile 2013 e la conseguente condanna di controparte al pagamento delle spese di lite, di cui era ordinata la distrazione in favore del difensore. In assenza di adempimento spontaneo agli obblighi di pagamento il lavoratore e il difensore intimavano il precetto per conseguire quanto dovuto all'uno e all'altro in forza della sentenza. Un ulteriore precetto era poi intimato per l'adempimento in forma specifica dell'obbligo di reintegrazione nel posto di lavoro. Interveniva in questa fase la revoca del mandato da parte del cliente, con lettera dell'i agosto 2013 trasmessa al difensore a mezzo fax il 28 settembre 2013. Il difensore chiedeva quindi il pagamento dei compensi per ciascuna delle cause sopra indicate e per l'attività difensiva svolta in fase esecutiva, in applicazione della tariffa vigente al momento dell'esaurimento della prestazione professionale. Il cliente si costituiva e non negava di avere conferito il mandato difensivo al professionista, né l'attività svolta, ma eccepiva la gratuità del mandato, in virtù di una convenzione fra l'avv. C e l'Associazione sindacale di categoria presso cui egli era iscritto, gratuità ribadita dal professionista (al quale il cliente era stato indirizzato dall'associazione) in occasione del rilascio dei singoli mandati difensivi. Il legale, in presenza di istanza di controparte per l'esibizione di tale convenzione, ne curava spontaneamente la produzione. Il tribunale esaminava le singole previsioni rilevanti di tale convenzione, riconoscendo che questa prevedeva, in caso di esito positivo della causa per il lavoratore e qualora fosse stata pronunciata condanna di controparte al pagamento delle spese di lite, che il legale non poteva richiedere nient'altro al cliente, accollandosi il rischio dell'insolvenza del datore di lavoro. In caso di esito negativo il difensore avrebbe rinunciato a chiedere il compenso, fatte salve alcune ipotesi espressamente previste, quali il comportamento scorretto del lavoratore che avesse determinato l'esito negativo della lite, e in ogni caso di revoca del mandato. Con riguardo a tali ipotesi la convenzione prevedeva che il difensore potesse richiedere il rimborso delle spese e onorari di causa «previo accordo con il responsabile dell'ufficio vertenze». Ciò posto il giudice riconosceva che in virtù di tale convenzione, ritenuta da entrambe le parti applicabile al rapporto dedotto in lite, non era necessario un successivo accordo fra il legale e l'assistito, essendo la questione a monte regolata con l'associazione di categoria cui il cliente era iscritto.Aggiungeva che il diritto del difensore al pagamento da parte del lavoratore, nelle ipotesi espressamente previste, richiedeva il previo accordo con il responsabile dell'ufficio vertenze. Quindi, posto che il professionista non aveva provato l'intervenuto accordo, rigettava la domanda, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese di lite. Per la cassazione dell'ordinanza l'avv. C ha proposto ricorso, affidato a tre motivi. M S è rimasto intimato.
Considerato che:
Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt.2233, 2237 e 1321 c.c. e dell'art. 7 della L. 794 del 1942 e omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione in relazione ad un fatto decisivo della controversia. La sentenza è oggetto di censura nella parte in cui il tribunale ha ritenuto che in virtù della convenzione con l'associazione sindacale non fosse necessario un successivo accordo per i compensi fra il difensore e il cliente,
VALMARANA
40, presso il proprio studio;
- ricorrente -
contro
M S;
- intimati -
2019 avverso l'ordinanza del TRIBUNALE di TRANI, depositata 1592 il 29/07/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/06/2019 dal Consigliere GIUSEPPE T.
Ritenuto che:
L'avv. N C, con ricorso al Tribunale di Trani, chiedeva la liquidazione delle competenze legali nei confronti di M S, deducendo di averlo rappresentato e difeso in più procedimenti dinanzi alla sezione lavoro del medesimo tribunale, sino alla revoca del mandato. In particolare assumeva di avere difeso il M in un procedimento ai sensi dell'art. 700 c.p.c., instaurato a seguito di mandato rilasciato nel 2010, al fine di ottenere in via d'urgenza la declaratoria di illegittimità del licenziamento e la reintegrazione nel posto di lavoro (procedimento definito con l'accoglimento del ricorso e la condanna del datore di lavoro al pagamento delle spese). Precisava che il cliente gli aveva poi rinnovato l'incarico per costituirsi nel susseguente procedimento di reclamo, definito con ordinanza di revoca del provvedimento cautelare e la compensazione delle spese. La fase cautelare era poi seguita dalla causa di merito, instaurata con atto dell'i aprile 2011 e definita con l'accoglimento del ricorso del lavoratore con sentenza del 3 aprile 2013 e la conseguente condanna di controparte al pagamento delle spese di lite, di cui era ordinata la distrazione in favore del difensore. In assenza di adempimento spontaneo agli obblighi di pagamento il lavoratore e il difensore intimavano il precetto per conseguire quanto dovuto all'uno e all'altro in forza della sentenza. Un ulteriore precetto era poi intimato per l'adempimento in forma specifica dell'obbligo di reintegrazione nel posto di lavoro. Interveniva in questa fase la revoca del mandato da parte del cliente, con lettera dell'i agosto 2013 trasmessa al difensore a mezzo fax il 28 settembre 2013. Il difensore chiedeva quindi il pagamento dei compensi per ciascuna delle cause sopra indicate e per l'attività difensiva svolta in fase esecutiva, in applicazione della tariffa vigente al momento dell'esaurimento della prestazione professionale. Il cliente si costituiva e non negava di avere conferito il mandato difensivo al professionista, né l'attività svolta, ma eccepiva la gratuità del mandato, in virtù di una convenzione fra l'avv. C e l'Associazione sindacale di categoria presso cui egli era iscritto, gratuità ribadita dal professionista (al quale il cliente era stato indirizzato dall'associazione) in occasione del rilascio dei singoli mandati difensivi. Il legale, in presenza di istanza di controparte per l'esibizione di tale convenzione, ne curava spontaneamente la produzione. Il tribunale esaminava le singole previsioni rilevanti di tale convenzione, riconoscendo che questa prevedeva, in caso di esito positivo della causa per il lavoratore e qualora fosse stata pronunciata condanna di controparte al pagamento delle spese di lite, che il legale non poteva richiedere nient'altro al cliente, accollandosi il rischio dell'insolvenza del datore di lavoro. In caso di esito negativo il difensore avrebbe rinunciato a chiedere il compenso, fatte salve alcune ipotesi espressamente previste, quali il comportamento scorretto del lavoratore che avesse determinato l'esito negativo della lite, e in ogni caso di revoca del mandato. Con riguardo a tali ipotesi la convenzione prevedeva che il difensore potesse richiedere il rimborso delle spese e onorari di causa «previo accordo con il responsabile dell'ufficio vertenze». Ciò posto il giudice riconosceva che in virtù di tale convenzione, ritenuta da entrambe le parti applicabile al rapporto dedotto in lite, non era necessario un successivo accordo fra il legale e l'assistito, essendo la questione a monte regolata con l'associazione di categoria cui il cliente era iscritto.Aggiungeva che il diritto del difensore al pagamento da parte del lavoratore, nelle ipotesi espressamente previste, richiedeva il previo accordo con il responsabile dell'ufficio vertenze. Quindi, posto che il professionista non aveva provato l'intervenuto accordo, rigettava la domanda, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese di lite. Per la cassazione dell'ordinanza l'avv. C ha proposto ricorso, affidato a tre motivi. M S è rimasto intimato.
Considerato che:
Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt.2233, 2237 e 1321 c.c. e dell'art. 7 della L. 794 del 1942 e omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione in relazione ad un fatto decisivo della controversia. La sentenza è oggetto di censura nella parte in cui il tribunale ha ritenuto che in virtù della convenzione con l'associazione sindacale non fosse necessario un successivo accordo per i compensi fra il difensore e il cliente,
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