Cass. civ., sez. III, sentenza 16/07/2003, n. 11149

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La responsabilità dell'appaltatore per i vizi e le difformità dell'opera deve essere esclusa qualora il committente si sia ingerito nell'esecuzione dell'opera, riducendo il primo a 'nudus minister', ovvero abbia incaricato di detta esecuzione una impresa che sapeva essere priva delle capacità tecniche ed organizzative necessarie per la realizzazione dell'opera affidatale (Nella specie, la S. C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva escluso la responsabilità di una società alla quale era stata appaltata l'estrazione di olio da mandorle, in quanto la committente si era dimostrata a conoscenza dell'inesperienza dell'appaltatrice ed aveva collaborato alla risoluzione dei problemi tecnici esercitando un continuo controllo preventivo nel corso della lavorazione).

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. III, sentenza 16/07/2003, n. 11149
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 11149
Data del deposito : 16 luglio 2003
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. F G - Presidente -
Dott. V M - Consigliere -
Dott. L A - Consigliere -
Dott. P I - Consigliere -
Dott. D B - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
FRANTOIO GHEZZI SNC di GHEZZI MAURO &
C SNC, in persona del Liquidatore e legale rappresentante M G, elettivamente domiciliato in

ROMA VIA CARDINAL DE LUCA

22, presso lo studio dell'avvocato M C B, difeso dall'avvocato F T, giusta delega in atti;



- ricorrente -


contro
F B DSTILLERIA OLEIFICIO SRL, in persona del suo legale rappresentante sig. S P, elettivamente domiciliato in

ROMA VIA MONTE ZEBIO

30, presso lo studio dell'avvocato G C, che lo difende unitamente all'avvocato E M, giusta delega in atti;



- controricorrente -


avverso la sentenza n. 1437/99 della Corte d'Appello di FIRENZE, sezione seconda civile emessa il 12/10/99, depositata il 13/11/99;

RG. 817/97;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/04/03 dal Consigliere Dott. B D;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. A C che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La s.n.c. Frantoio Ghezzi di Ghezzi Mauro e c. conveniva innanzi, al tribunale di Pistoia la s.r.l. fratelli Banci distilleria - oleificio e sull'assunto che la società convenuta non aveva eseguito a regola d'arte l'operazione commessale di estrazione di olio - burro da mandorle di Karatè, ne chiedeva la condanna al risarcimento dei danni conseguenti (lire 316.146.577). Costituitasi in giudizio, la società convenuta resisteva e proponeva domanda riconvenzionale di rimborso delle spese (lire 8.022.399) sostenute per adattare le macchine alla lavorazione richiesta.
Il tribunale, istruita la causa, respingeva sia la domanda principale che quella riconvenzionale.
Proposto gravame, la corte di appello di Firenze, con sentenza resa il 12.10.1999, lo accoglieva nella parte concernente le spese di lite, che compensava interamente, e lo rigettava per il resto, considerando per quanto ancora interessa che, come accertato dai primi giudici, la società convenuta era "inesperta in materia di estrazione dell'olio o burro di Karatè" e di questa inesperienza era consapevole la società Frantoio Ghezzi tanto da "avere collaborato fattivamente nel risolvere i problemi";
che "il principale motivo dell'irrancidimento come riscontrato dal c.t.u. non può essere imputato al Banci, stante il continuo controllo preventivo e la conforme ed esplicita accettazione del prodotto finito da parte del committente".
Avverso tale sentenza ricorre per Cassazione la s.n.c. Frantoio Ghezzi;
resiste con controricorso l'intimata.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Denunciando violazione ed erronea applicazione degli artt. 1176, 1218, 1667 c.c., nonché insufficiente motivazione, la società ricorrente deduce che per adempiere l'obbligazione che si era assunta la società Fratelli Banci avrebbe dovuto fornire una determinata quantità di olio con specifiche caratteristiche e, non avendola fornita, l'obbligazione è rimasta inadempiuta;
non può applicarsi alla fattispecie l'art. 1667 c.c., presupponendo tale disposizione un'opera viziata ed essendo, invece, l'olio fornito completamente inidoneo alla sua destinazione;
se, poi, la disposizione risultasse applicabile, la corte di merito l'avrebbe, comunque, violata, escludendo la garanzia della società appaltatrice, posto che a questo fine sarebbe stata necessaria l'accettazione della società committente;
contrariamente a quanto ritenuto dalla corte di merito, l'accettazione non può consistere in un comportamento antecedente al compimento dell'opera, come "la collaborazione durante la lavorazione", bensì in un atto giuridico successivo;
la collaborazione va, invece, inquadrata nell'ottica del comportamento responsabile del creditore volto ad evitare le conseguenze di cui all'art. 1227 c.c. (esclusione della risarcibilità dei danni evitabili dal creditore con l'uso della normale diligenza);
i fatti concernenti la campionatura dimostrano la volontà di contestare l'opera ed escludono quindi l'accettazione;
trattandosi di obbligazione contrattuale, la corte di merito avrebbe dovuto applicare i principi generali in tema di inadempimento (artt. 1776 e 1218 c.c.) e ritenere la società appaltatrice liberata da responsabilità solo a seguito della dimostrazione dell'impossibilità della prestazione per causa a lei non imputabile.
La complessa censura è destituita di fondamento.
È opportuno rilevare che l'obbligazione dell'appaltatore è di risultato (Cass. 23.9.1996, n. 8395);
nella determinazione del risultato si deve avere riguardo alle previsioni contrattuali, che sono vincolanti per l'appaltatore ed insuscettibili di subire variazione per sua iniziativa unilaterale.
Il caso dell'inidoneità dell'opera alla sua destinazione è regolato specificamente dal 2^ comma dell'art. 1668 c.c., che prevede la più grave sanzione della risoluzione del contratto;

quello dei vizi e delle difformità dal 1^ comma dello stesso articolo, che contempla sanzioni più attenuate.
L'accertamento dell'idoneità dell'opera va compiuto secondo criteri oggettivi, tenuto conto della funzione cui l'opera deve assolvere in base a criteri di normalità oppure soggettivi quando nel contratto sono state dedotte particolari caratteristiche dell'opera al fine di assicurarne determinati impieghi o rendimenti (Cass. 22.2.1996, n. 1395). La difformità consiste in una discordanza di qualsiasi specie dalle prescrizioni contrattuali ed è quindi la risultante di un giudizio comparativo tra l'essere ed il dovere essere in conformità al contenuto del programma negoziale;
il vizio si manifesta, invece, in una mancanza di modalità o qualità che, pur non specificamente pattuite, debbono inerire all'opera secondo le regole dell'arte o la natura delle cose (Cass. 5.7.1992, n. 9001;
Cass. 27.4.1957, n. 1423). Non è concepibile inidoneità dell'opera ne' tanto meno difettosità o difformità, ove essa non sia ultimata e consegnata, cosicché, ove non lo sia, l'appaltatore è soggetto alla comune responsabilità di cui agli artt. 1453 e 1455 c.c. e non mai a quella prevista dagli artt. 1667 e 1668 stesso codice, che integrano gli altri articoli senza escluderne l'applicazione (Cass. 9.8.1996, n. 7364;
Cass. 15.12.1990, n. 11950). La giurisprudenza collega la responsabilità dell'appaltatore all'ampio margine di autonomia tecnica ed organizzativa da lui goduta, che gli impone di attenersi alle regole dell'arte e di assicurare al committente il risultato tecnico conforme alle esigenze concrete (ex plurimis Cass. 14.11.1994, n. 9562). Il potere di ingerenza del committente, pur se contrattualmente previsto, comunque si estrinsechi, e, cioè, anche attraverso specifiche istruzioni, non sopprime l'autonomia dell'appaltatore, il quale in ragione della sua qualità professionale e delle cognizioni richiestegli è soggetto agli obblighi ordinari;
di modo che la responsabilità dell'appaltatore rimane esclusa solo se egli abbia informato il committente dell'erroneità ed incongruenza delle istruzioni impartitegli ed il committente le abbia ribadite, così abolendo ogni residuo margine di autonomia dell'appaltatore e riducendo lo stesso a "nudus minister" (Cass. 23.3.1999, n. 2745). Oltre che nel caso sopra esaminato la giurisprudenza di questa Corte ha escluso la responsabilità dell'appaltatore quando il committente si ingerisca fattualmente nell'esecuzione del lavoro, prestando la propria materiale collaborazione (Cass. 11.4.1975, n. 1382) o ancora quando si profili una di lui "culpa in eligendo" per avere affidato l'appalto ad impresa priva delle necessarie capacità tecniche ed organizzative (Cass. 12.2.1997, n. 1284). L'accettazione dell'opera svolge effetti su un piano differente perché, qualunque forma assuma, espressa o tacita, libera l'appaltatore da ogni responsabilità per vizi o difformità palesi, comprese in queste ultime anche quelle che si risolvono nell'inidoneità alla funzione.
La forma espressa consiste in una dichiarazione, il cui contenuto è la volontà di accettare l'opera;
la forma tacita non si identifica con la semplice presa in consegna dell'opera, richiedendo un "quid pluris" espressivo di gradimento, da accertare mediante la valutazione del comportamento della parte, includente le manifestazioni precedenti o successive all'ultimazione dell'opera (Cass. 22.11.1996, n. 10314). Il relativo accertamento costituisce "quaestio facti" rimessa all'apprezzamento - del giudice di inerito ed insindacabile nel giudizio di legittimità ove sorretta da corretta e logica motivazione (Cass. 20.4.1994, n. 3742). Ne consegue che, a prescindere dalla forma che assuma concretamente, l'accettazione dell'opera solleva l'appaltatore dalla responsabilità connessa ai vizi ed alle difformità che essa presenta anche quando incidano, escludendola o limitandola, sull'idoneità dell'opera all'assolvimento della funzione naturale o concordata, purché siano palesi.
Nella specie, per come risulta dalla sentenza impugnata, la responsabilità dell'appaltatore per i vizi e le difformità dell'opera è stata esclusa per due ragioni esplicite ed una implicita, tutte egualmente valide;
le ragioni esplicite sono l'ingerenza della società committente e l'accettazione espressa dell'opera;
quella implicita è la scelta di un'impresa risaputamene priva delle capacità tecniche ed organizzative necessarie. La questione dell'inidoneità dell'opera non è stata 'correttamente) esaminata dalla corte di merito in quanto non proposta con i motivi di appello e per la medesima ragione non può essere esaminata in questa sede;
essa avrebbe dovuto essere, comunque, risolta sfavorevolmente per la società committente, dovendosi privilegiare l'interpretazione estensiva della disciplina normativa in modo da ricomprendere in essa anche l'inidoneità, che della difformità rappresenta il grado più elevato.
La sentenza impugnata è, pertanto, aderente ai principi espressi da questa Corte in "subiecta materia" ed il ricorso va rigettato con condanna della società ricorrente alle spese.

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