Cass. pen., sez. I, sentenza 06/12/2019, n. 49674

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. I, sentenza 06/12/2019, n. 49674
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 49674
Data del deposito : 6 dicembre 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

ciato la seguente

SENTENZA

Sul ricorso proposto da: M D S, nato il 9/02/1980;
Avverso la sentenza n. 96/2018 della Corte Militare di Appello in data 09/01/2019;
Udita la relazione svolta dal Consigliere dott. A M;
Udite le conclusioni del Procuratore Generale, nella persona del dott. F U, che ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso;
Udito il difensore Avv. D C, che ha insistito per l'accoglimento del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 21/06/2018 il Tribunale Militare di Roma condannava M S, caporal maggiore dell'Esercito, alla pena di mesi tre di reclusione militare per ubriachezza in servizio. Si legge in sentenza che in data 24/11/2016 l'imputato era impegnato nella esercitazione denominata "Muflone 2016" quale componente dell'organico della Compagnia che doveva garantire le comunicazioni tra i reparti speciali sul terreno: si trattava di una attività operativa non soggetta a interruzione, per cui il recupero delle capacità fisiche dei militari doveva avvenire in loco e nell'area di esercitazione, al fine di assicurare la continuità del servizio con una immediata reperibilità;
in particolare, l'imputato era comandato di prestare servizio nell'esercitazione dal 18 novembre al 07 dicembre 2016 in Viterbo: ma la sera del 23/11/2016 egli era uscito dalla caserma per recarsi in un non distante locale pubblico con un commilitone, il quale poi lo aveva ritrovato nel parcheggio dinanzi la caserma, riverso in terra e ubriaco;
egli si era defecato indosso e straparlava;
condotto al Pronto Soccorso, i medici constatavano le sue condizioni fisiche e valori di alcolemia pari a 1,3 g/I (e cioè quasi il triplo del massimo di riferimento normale);
l'imputato sosteneva non lucidamente di essere stato aggredito, ma il medico militare che lo aveva esaminato non aveva riscontrato tracce di ecchimosi o di ematomi;
nel piazzale dove lui era stato visto riverso veniva rinvenuto il portafoglio che l'imputato sosteneva essergli stato portato via: egli aveva detto ai militari che glielo avevano riportato che dentro vi era tutto mentre in sede dibattimentale aveva sostenuto che mancava il danaro, ma che non se ne era accorto;
egli aveva affermato di avere bevuto soltanto un liquido analcolico e di avere subito dopo perso i sensi, risvegliandosi al Pronto Soccorso. Il Tribunale Militare concludeva per la sussistenza del reato: l'imputato era stato colto in palese ubriachezza e la sua narrazione di una imprecisata rapina era smentita dall'assenza di segni di percosse e dalla mancanza di una sua denunzia;
egli era in stato di reperibilità, per cui il reato sussisteva, in quanto era stato sollevato dall'incarico e sostituito con altro militare. Venivano riconosciute le circostanze attenuanti generiche come equivalenti alle circostanze aggravanti contestate.

2. Interponeva appello l'imputato, contestando il difetto della richiesta di procedimento e chiedendo l'assoluzione per mancanza di dolo o la non punibilità per tenuità del fatto o comunque un trattamento sanzionatorio meno severo.

3. Con sentenza in data 09/01/2019 la Corte Militare di Appello, in riforma della sentenza di primo grado, determinava la pena in mesi uno e giorni quindici di reclusione militare. Rilevava la Corte Militare di Appello che era fondato il motivo circa la configurazione giuridica del reato: l'imputato, al momento del fatto, era in libera uscita, per cui non poteva applicarsi il comma 2 dell'art. 139 del codice penale militare di pace che contemplava le circostanze aggravanti dell'essere comandante di reparto, preposto al servizio o capo posto;
quanto alla procedibilità, il comma 1 del citato articolo richiedeva la presentazione della richiesta di procedimento ex art 260 del medesimo codice, ma questa, sebbene la sentenza di primo grado affermasse che non era stata proposta, in realtà esisteva, era stata redatta in data 15/12/2016 ed esplicitava la richiesta di punizione dell'imputato per il reato segnalato: essa, così, veniva acquisita agli atti sia perchè avrebbe dovuto originariamente far parte del fascicolo ex art 431 cod.proc.pen. sia perchè pshic-4é era tempestiva. Nel merito, non vi era dubbio sulla ubriachezza e sulla incapacità di svolgere il servizio: le asserzioni dell'imputato circa la rapina o circa l'inconsapevolezza del suo stato alterato non erano credibili;
infine, la pericolosità della condotta e la sussistenza di un precedente penale a carico dell'imputato non consentivano di ritenere il fatto come di particolare tenuità.

4. Avverso detta sentenza propone ricorso l'interessato a mezzo del difensore Avv. D C.

4.1. Con il primo motivo deduce, ex art. 606, comma 1 lett. e), cod.proc.pen., manifesta illogicità della motivazione: sostiene che l'ubriachezza dovuta al caso fortuito era stata esclusa sulla sola base dell'assenza di ecchimosi sul corpo del ricorrente, senza considerare che il particolare della perdita di conoscenza e della defecazione indosso faceva pensare a ipotesi quali una congestione digestiva dovuta ad una bibita troppo fredda o ad uno scherzo dei commilitoni, le cui dichiarazioni erano state accolte senza una valutazione più stringente.

4.2. Con il secondo motivo deduce, ex art. 606, comma 1 lett. b) ed e), cod.proc.pen., erronea applicazione di legge e inosservanza di norme: lamenta che era stata diversamente configurata la fattispecie di reato, ma la punizione era stata resa possibile dall'acquisizione di una informativa di reato che non avrebbe potuto essere unita agli atti in sede di appello, poiché ciò provocava un vulnus al diritto di difesa poiché erano violati i termini di deposito di motivi nuovi o aggiunti né potevano esaminarsi documenti anteriori alla impugnazione né era stato concesso congruo termine a difesa.
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