Cass. pen., sez. II, sentenza 30/11/2020, n. 33842

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. II, sentenza 30/11/2020, n. 33842
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 33842
Data del deposito : 30 novembre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: ALLEGRETTI GIOVANNI nato a CHIAROMONTE il 21/03/1978 avverso la sentenza del 14/12/2018 della CORTE APPELLO di MILANOvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere F DI P;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore DELIA CARDIA che ha concluso chiedendo l'annullamento senza rinvio con rideterminazione della pena in anni 2 e mesi 6 di reclusione nonché dichiararsi inammissibile nel resto il ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 14/12/2018 la Corte di Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Monza in data 20 Luglio 2017, confermava l' affermazione di responsabilità di A G per il reato di truffa continuata ed aggravata in danno di C F, escludendo l' aggravante di cui all' art. 61 n. 5 c.p. e rideterminando il trattamento sanzionatorio;
confermava la condanna dell' imputato al risarcimento del danno in favore della parte civile da liquidarsi in separata sede ed al pagamento della provvisionale di euro 70.000,00 oltre spese, liquidando, in favore di quest' ultima, le ulteriori spese del grado.

1.1. La corte di appello rigettava il motivo di appello relativo alla asserita nullità dell' ordinanza con cui era stato revocato il provvedimento di ammissione delle prove indicate dalla difesa ed, in conformità, a quanto affermato dai giudici di primo grado, riteneva che, sulla scorta delle complessive emergenze processuali, risultava comprovata la condotta truffaldina contestata (con esclusione dell' aggravante di cui all' art. 61 n. 5 c.p.), ribadendo la configurabilità dell' aggravante di cui all' art. 61 n.

7. in ragione della notevole entità del danno cagionato alla vittima, pari ad almeno 100.000,00 euro.

2. Avverso la suddetta sentenza l' imputato, a mezzo difensore di fiducia, propone ricorso per Cassazione deducendo i seguenti motivi: a. violazione di legge e difetto di motivazione per avere la corte territoriale stabilito, per le condotte in continuazione, una pena di mesi otto, non rispettando il limite fissato dal giudice di primo grado il quale aveva riconosciuto mesi sei per la continuazione, così incorrendo nella violazione del divieto di reformatio in peius di cui all' art. 597 cod. proc. pen.;
b. violazione degli artt. 468 e 465 c.p.p., nullità della sentenza di primo grado per violazione del diritto di difesa. Rileva che la corte di appello aveva erroneamente ritenuto legittimo il provvedimento del giudice di primo grado il quale aveva revocato l' ordinanza ammissiva della prova testimoniale dedotta dalla difesa, affermando, in modo erroneo, che si era verificata una nullità relativa non tempestivamente eccepita e ciò in violazione del disposto di cui all' art. 495 c.p.p. e non considerando che, in ogni caso, non poteva procedersi alla revoca trattandosi di prove "rilevanti e non superflue";
c. vizio di motivazione quanto alla ritenuta sussistenza del reato di truffa. Osserva che nel caso in esame i giudici di merito non avevano considerato che difettava la prova di artifici e/o raggiri tali da indurre in errore la persona offesa nonché la dimostrazione della ingiustizia del profitto e che gli stessi erano incorsi in un vero e proprio travisamento della prova nel ritenere che l' imputato, nell' occorso, aveva millantato il titolo di avvocato ovvero aveva agito quale falsus procurator di società di recupero crediti;
d. violazione di legge in ordine alla ritenuta configurabilità dell' aggravante di cui all' art. 61 n.

7. cod. pen.;
insussistenza del danno patrimoniale di rilevante entità e conseguente improcedibilità dell' azione per difetto di tempestiva querela. Rileva che la corte di merito era incorsa in un palese travisamento delle prove non sussistendo dimostrazione del pagamento di ingenti importi da parte della vittima, con conseguente venir meno della procedibilità d' ufficio e correlativa improcedibilità dell' azione per difetto di tempestiva querela, quanto meno per le condotte del 2011 e 2012;
e. violazione degli artt. 538 e 539 cod. pen.Deduce che i giudici di merito avevano totalmente omesso di motivare circa il nesso di causalità fra la condotta ed il danno patito dalla vittima e relativamente alla quantificazione dello stesso e che del tutto esorbitante era l' ammontare della provvisionale liquidata;
f. violazione dell' art. 521 c.p.p in relazione alla mancata correlazione fra imputazione e sentenza non risultando contestata la recidiva;
erronea applicazione dell' art. 133 c.p. in relazione alla quantificazione della pena ed alla mancata concessione delle chieste circostanze attenuanti generiche. Assume che del tutto inopinatamente la corte di appello aveva ritenuto le circostanze aggravanti prevalenti rispetto alle attenuanti alla luce della recidiva nonostante la stessa non fosse stata contestata sulla scorta dei precedenti dell' imputato. Rileva che la corte di appello non aveva motivato in ordine al mancato riconoscimento delle chieste attenuanti generiche e relativamente al trattamento sanzionatorio di gran lunga superiore rispetto ai minimi edittali. In data odierna è pervenuta istanza di rinvio per legittimo impedimento dell' imputato disattesa come da provvedimento inserito a verbale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso può trovare accoglimento nei limiti appresso specificati.

1. Il primo motivo è fondato. Osserva il collegio nella specie risulta che la corte d' appello, esclusa una aggravante, ha ridotto la pena base ma ha aumentato la pena stabilita per la continuazione non rispettando il limite fissato dal giudice di primo grado il quale aveva riconosciuto mesi sei per la continuazione, così incorrendo nella violazione del divieto di reformatio in peius di cui all' art.597 cod. proc. pen. atteso che era rimasta sostanzialmente inalterata la struttura complessiva della fattispecie delittuosa contestata e, quindi, non poteva certamente applicarsi, per la continuazione, una pena maggiore rispetto a quella calcolata dal giudice di primo grado. Ed, invero, è stato condivisibilmente affermato che nel giudizio di appello, il divieto di "reformatio in peius" della sentenza impugnata dall'imputato non riguarda solo l'entità complessiva della pena, ma tutti gli elementi autonomi che concorrono alla sua determinazione e, quindi, anche l'aumento conseguente al riconoscimento della continuazione. (Fattispecie in cui la S.C. ha censurato la decisione con cui il giudice di appello, pur dichiarando l'estinzione per prescrizione di uno dei reati integranti la pluralità dei fatti di bancarotta, ex art. 219, comma 2, n. 1 legge fall., ha quantificato l'aumento per la c.d. continuazione fallimentare in misura maggiore rispetto a quella determinata in primo grado, diminuendo complessivamente la pena). (Sez. 5, n. 50083 del 29/09/2017 - dep. 02/11/2017, D'Ascanio, Rv. 27162601) Si è pure osservato che viola il divieto della "reformatio in peius" di cui all'art. 597, comma quarto, cod. proc. pen., il giudice di appello che, pur diminuendo complessivamente la pena, a seguito di assoluzione parziale da uno o più capi di imputazione ovvero di eliminazione di una circostanza aggravante che abbia influito sul calcolo della pena finale, operi un diverso computo delle pene intermedie per effetto del vincolo della continuazione, in misura maggiore rispetto a quella fissata dal giudice di primo grado. (Fattispecie in cui la Corte ha censurato la decisione del giudice d'appello che, su gravame dell'imputato, pur avendo ridotto la pena complessiva a seguito di assoluzione per alcuni capi di imputazione, nella rideterminazione della pena aveva diminuito la pena base e innalzato la quota a titolo di aumento per la continuazione). (Sez. 3, n. 17113 del 16/12/2014 - dep. 24/04/2015, C., Rv. 263387. Ne discende che, risultando la pena in concreto irrogata illegale, in quanto per le condotte in continuazione andava rispettato limite fissato dal giudice di primo grado - il quale aveva riconosciuto mesi sei per la continuazione - la sentenza impugnata deve essere annullata sul punto, nei termini appresso indicati.
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