Cass. pen., sez. VI, sentenza 29/05/2023, n. 23318

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. VI, sentenza 29/05/2023, n. 23318
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 23318
Data del deposito : 29 maggio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

l'accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Catanzaro, all'esito di rito abbreviato, ha confermato la sentenza del Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Cosenza in data 22 giugno 2021, che condannava C M alla pena di anni cinque di reclusione in relazione a sei episodi di corruzione, un episodio di tentata estorsione, falso in atto pubblico e falso ideologico. La Corte d'appello confermava, inoltre, le sanzioni accessorie, ordinava all'imputato il pagamento della somma di euro ottomila e cinquecento, a titolo di riparazione pecuniaria in favore del Ministero dell'Interno, disponeva la confisca della somma in sequestro pari a euro ottomila e cinquecento, costituente profitto del reato di concussione ai danni di B S, disponeva, ai sensi dell'art. 240-bis cod. pen., la confisca della somma in sequestro pari a euro trentunomila e quattrocentosettanta. Condannava l'imputato al risarcimento dei danni in favore delle parti civili, da liquidarsi in separata sede. Il compendio probatorio è costituito dalla denuncia della persona offesa, B S, imprenditore nel settore del G.P.L.;
dalle registrazioni audio di alcune conversazioni effettuate dalla stessa persona offesa;
dalla copia di un registro di pertinenza dei Vigili del fuoco del Comando provinciale di Cosenza contenente verbali di accertamento delle identità, ai sensi della I. n. 81/2008, relativi a prove sostenute dai dipendenti di varie aziende e non sottoscritte dal C;
dalla copia dei quiz di accertamento della idoneità ai sensi della I. 609/ 1996 e del D.M. 10 marzo 1998 in bianco;
dalla stampa di messaggi whatsapp inviati alla persona offesa da C;
dai verbali di sequestro a seguito di perquisizione, redatti dai Carabinieri di Cosenza. In particolare, C, Comandante Provinciale dei Vigili del Fuoco, abusando della sua qualità e dei suoi poteri, costringeva B S, padre di Alessandro, titolare della Calabria Gas S.r.l., intestataria di un progetto per la realizzazione di uno stabilimento di lavorazione e stoccaggio G.P.L., nonché titolare di fatto della predetta società, a consegnargli o a promettergli somme di denaro per il rilascio di autorizzazioni amministrative e certificati di idoneità tecnica dei dipendenti della società, inerenti la realizzazione del suddetto progetto. Inoltre, nella suindicata qualità, formava atti pubblici falsi e attestava fatti dei quali l'atto era destinato a provare la verità. A seguito della minaccia, da parte di C, di non concedere, in caso di mancato pagamento di quanto richiesto, le autorizzazioni necessarie per la prosecuzione dell'attività di impresa, S si rivolgeva ai Carabinieri, denunciando l'imputato.

2. Avverso la sentenza, C ricorre per cassazione, a mezzo dell'avvocato Nicola Carratelli, deducendo i seguenti motivi:

2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al riconoscimento dei presupposti dei reati di concussione e tentata concussione, posto che il rapporto tra l'imputato e la persona offesa è stato sin da subito paritario, con esclusione dei profili di abuso costrittivo e timore condizionante propri della fattispecie concussiva. I giudici di merito non hanno sottoposto a vaglio rigoroso il concreto atteggiarsi del ruolo delle parti, così non accertando la paritarietà del rapporto, tipica della corruzione. Il tenore delle conversazioni disvela l'evidente travisamento delle risultanze processuali da parte della Corte, poiché, dalle stesse, non emerge alcun carattere impositivo. La Corte territoriale non si è confrontata con le deduzioni della difesa contenute nell'atto di appello, allorchè evidenziava le parti delle conversazioni fra i due, dalle quali emergeva l'assenza di costrizioni e la confidenzialità della relazione, nel corso della quale il privato pretendeva una atteggiamento di favore (la frequentazione di un corso, il rilascio di copia dell'attestato di frequentazione, e di svariate autorizzazioni amministrative, l'ulteriore consulenza su come potere utilizzare parte del terreno di sua proprietà) e il pubblico ufficiale si prestava ad esaudirne le richieste, poi reclamando il pagamento di quanto pattuito (S: "Tu fai il tuo che io farò il mio ... Da mò in avanti abbiamo il rapporto no? Fino a mò non avevamo alcun rapporto;
fammi aprire ... io questi te li do in un paio di volte, devo aprire però. C: "ti do fiducia"). Nella sentenza impugnata non si è accertata l'effettiva dinamica relazionale tra le parti, né il processo causale volitivo del privato - che ha goduto di indubbi atteggiamenti di favore - alla luce di pregressi rapporti con il pubblico ufficiale, neppure l'attività costrittiva, certamente non riferibile alla qualifica di pubblico ufficiale, e l'esteriorizzazione delle asserite minacce e lo stato di timore da queste eventualmente indotto. Il tutto, nonostante la sollecitazione della difesa. In conclusione, i giudici di merito avrebbero dovuto ritenere la diversa ipotesi di cui all'art. 318 cod. pen., ovvero quella di c:ui all'art. 322, quarto comma, cod. pen.

2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla eccepita inattendibilità della persona offesa e alla necessità di riscontri esterni. La persona offesa ha assunto la qualità di persona indagata in procedimento connesso, essendo stato inizialmente iscritta, nell'ambito del presente procedimento, con posizione poi stralciata, per i reati di cui agli art. 319-quater e 3 479 cod. pen. Tale qualità avrebbe imposto una valutazione delle propalazioni del predetto, in applicazione dei criteri di cui all'art. 192, commi 3 e 4, cod. proc. pen. In particolare, quanto alla concussione avente ad oggetto il superamento delle verifiche di accertamento d'idoneità ai sensi della I. 609/ 1996 da parte di S, non può logicamente ritenersi ammissibile che il pubblico ufficiale abbia costretto la persona offesa a non frequentare corsi obbligatori per legge e a non sottoporre ai relativi esami di idoneità i dipendenti dell'azienda, essendo, invece, S ad avere esclusivo e diretto interesse alla fittizia frequentazione dei corsi e al fittizio superamento degli esami di idoneità, atteso che, in una logica concussiva, il pubblico ufficiale avrebbe facilmente sortito il tipico effetto intimidatorio condizionante, minacciando la non ammissione ai corsi o, soprattutto, il mancato superamento dell'esame di idoneità. Quanto all'episodio di tentata concussione, l'invio delle foto con l'indicazione del controllo presso l'azienda dello S e la precisazione che, per la data, doveva decidere l'imputato, non solo non consentono alcuna individuazione della esteriorizzazione di un comportamento minaccioso, ma confermano la messa a disposizione del pubblico ufficiale, per la quale :S, per evidente convenienza e non per timore, si prestava a corrispondere una retribuzione. Del resto, nella conversazione in atti C aveva avvisato S di imminenti controlli, sollecitandolo a organizzarsi con mascherine, tabelle e nessun lavoratore in nero, nel contesto di quel rapporto di messa a disposizione ampiamente illustrato.

2.3. Violazione di legge con riferimento agli artt. 479 e 472 cod. pen., in relazione al fatto che la responsabilità dell'imputato discenda dalla dichiarazione della persona offesa, riscontrata dalla documentazione rinvenuta in sede di sequestro. La circostanza che la persona offesa abbia prodotto la fotografia delle schede dei quiz in bianco, ovvero dei verbali di accertamento solo sottoscritti dai suoi dipendenti, ma non compilati nel resto, non dimostra che i corsi non siano stati regolarmente frequentati, ovvero che gli esami non siano stati sostenuti, attesa la rituale compilazione degli atti originali acquisiti presso il Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco, ed, anzi, dovendosi necessariamente ritenere il contrario dal contenuto della conversazione del 4 marzo 2020, nel corso della quale S, per nulla intimorito, rivendica con forza il rilascio dell'attestato di idoneità, consegnatogli solo in quell'occasione perché inserito per errore in altra pratica. Errato, inoltre, risulta il riconoscimento dell'aggravante del carattere fide facente dell'atto. La Corte di appello ha trattato tale aspetto solo sotto il profilo oggettivo;
in realtà, per poter attribuire
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