Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 27/06/2005, n. 13724

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 27/06/2005, n. 13724
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 13724
Data del deposito : 27 giugno 2005
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. S G - Presidente -
Dott. S A - rel. Consigliere -
Dott. C A - Consigliere -
Dott. P P - Consigliere -
Dott. C G - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
A A, elettivamente domiciliata in Roma, via dell'Oceano 25, studio avv. Leuci M G, presso l'avv. R D che la rappresenta e difende giusta delega in atti;



- ricorrente -


contro
Regione Molise in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso l'Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende ex lege;

- controricorrente ricorrente incidentale -
avverso la sentenza n. 145/2002, decisa il 19 giugno 2002 e pubblicata il 24 giugno 2002, resa dalla Corte di Appello di Campobasso nel procedimento n. 211/2001 R.G.;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 4 maggio 2005 dal relatore Cons. Dott. A S;

udito il P.M. che, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. P M, ha concluso per il rigetto del ricorso;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso in data 26 luglio 2000 A A M ha convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Campobasso in funzione di Giudice del Lavoro la Regione Molise al fine di ottenere il computo dell'assegno a lei spettante, siccome occupata in lavori socialmente utili presso detto Ente, con riferimento alla retribuzione percepita da dipendente di egual livello al lordo anziché al netto delle ritenute previdenziali.
Con sentenza n. 236/2001 in data 10 maggio 2001 il Giudice adito ha respinto la domanda.
Ha interposto appello la lavoratrice e in esito il gravame è stato rigettato con sentenza n. 211/2001, emessa in data 19 - 24 giugno 2001 dalla Corte d'Appello di Campobasso. La decisione viene così motivata.
Osserva la Corte territoriale che al rapporto de quo deve applicarsi, ratione temporis, non già la disciplina introdotta con il Decreto Legislativo 1 dicembre 1997 n. 468 ma quella dettata all'art. 1 bis del Decreto legge 28 maggio 1981 n. 244.
Osserva ancora che il parametro di riferimento deve essere quanto il lavoratore di egual livello effettivamente percepisce e non già quanto risulta prima delle detrazioni previdenziali ed assistenziali. Avverso la sentenza, che dalla copia autentica versata in atti da parte ricorrente non risulta notificata, propone ricorso per Cassazione A A M con atto notificato in data 15 novembre 1 2002, sulla base di due motivi.
La Regione Molise resiste con controricorso notificato in data 23 dicembre 2002 e propone ricorso incidentale condizionato con un solo motivo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso incidentale, ancorché proposto come condizionato, è già stato preso in considerazione, essendo la questione di giurisdizione preliminare ad ogni altra.
E poiché le questioni attinenti alla giurisdizione sono riservate alle Sezioni Unite, ai sensi dell'art. 374 epe, è stata disposta, con ordinanza 8 ottobre - 5 novembre 2003, la trasmissione degli atti al Primo Presidente per quanto di sua competenza. La causa stata quindi chiamata dinanzi alle Sezioni Unite. Con sentenza 22276/2004 in data 11 - 26 novembre 2004 detto Collegio ha disposto la riunione dei ricorsi, ha rigettato il ricorso incidentale, ha disposto la trasmissione degli atti a questa Sezione Lavoro per l'ulteriore trattazione. Si deve ora procedere all'esame del ricorso principale. Col primo motivo si denuncia, con riferimento al n. 3 dell'art. 360 epe, la violazione o falsa applicazione dell'art. 1 bis del DL 244/81. Si osserva che la retribuzione da prendersi in considerazione è appunto quella al lordo delle ritenute previdenziali, contrattata con le rappresentanze sindacali. Si osserva ancora che la decurtazione in misura uguale alle ritenute previdenziali porterebbe ad una ingiustificata riduzione delle spettanze del lavoratore socialmente utile il quale non può fruire di trattamento previdenziale di sorta. La censura non appare fondata. La norma invocata dal ricorrente (comma secondo del cennato art. 1 bis) così testualmente dispone:
"Ai lavoratori di cui al precedente comma è dovuta, a carico delle Amministrazioni pubbliche interessate, una somma pari alla differenza tra la somma corrisposta dall'INPS a titolo di integrazione salariale e il salario o stipendio che sarebbe stato percepito in costanza del rapporto di lavoro e, comunque, non superiore a quello dei lavoratori che nell'amministrazione pubblica interessata svolgono pari mansioni".
Il salario o stipendio è dunque assunto come un mero parametro di riferimento, sia che si tratti di quello che sarebbe stato percepito in costanza di lavoro, sia quello, eventualmente inferiore, percepito dai dipendenti dell'Amministrazione interessata di egual livello. Non vi è quindi ragione di sorta per affermare che proprio in questa seconda ipotesi il parametro di riferimento deve essere lo stipendio al lordo delle ritenute previdenziali, atteso che trattasi non già di un salario contrattato ma solamente di un mero dato contabile, richiamato al fine di stabilire la remunerazione per il lavoro socialmente utile in misura tale da non creare una situazione di vantaggio nei riguardi di coloro che svolgono la stessa attività in forza di un diverso titolo.
E non ha pregio l'argomentazione fondata sul rilievo che i lavoratori socialmente utili verrebbero così a subire una trattenuta previdenziale dalla quale non possono trarre beneficio di sorta, posto che nessuna trattenuta viene effettuata ma solamente si determina la spettanza in base a un dato di fatto.
È il caso di ricordare che questa Corte già si è pronunciata sull'argomento e, con sentenza sez. lav., 1 settembre 2004, n. 17593, ha appunto affermato che "l'art. 1 bis d.l. 28 maggio 1981 n. 244, convertito in l. n. 390 del 1981, nel testo sostituito quanto al 2 comma dell'art. 8 l. 28 febbraio 1986 n. 41, là dove prevede che ai
lavoratori utilizzati in lavori socialmente utili è dovuta, a carico delle p.a. beneficiarie delle relative prestazioni, una somma pari alla differenza tra quella corrisposta dall'Inps a titolo di integrazione salariale ed il salario o lo stipendio che sarebbe stato percepito in costanza di rapporto di lavoro e, comunque, non superiore a quello dei lavoratori che nella p.a. interessata svolgono pari mansioni, dev'essere interpretato nel senso che il riferimento è da intendersi alla retribuzione di detti lavoratori al netto delle ritenute previdenziali, dovendosi escludere - anche alla luce di quanto poi espressamente disposto dall'art. 8 d.leg. n. 468 del 1997, che ha esplicitato il principio in tal senso già desumibile in precedenza - che il legislatore avesse voluto monetizzare gli oneri previdenziali quale ulteriore trattamento di favore per detti lavoratori".
Col secondo motivo si denuncia la violazione falsa applicazione del DL 31/95 e successivi DL di reiterazione, non convertiti. La censura non coglie l'effettivo contenuto della decisione impugnata che richiama tali decreti solo per far notare che essi prevedevano l'applicazione al caso in esame appunto dell'art. 1 bis del DL 244/1981 e pertanto la disciplina applicabile, pur in presenza di mancata conversione in legge, rimane comunque quella previgente, di cui fra l'altro il ricorrente invoca appunto l'applicazione. Conclusivamente il ricorso va rigettato.
Attesa la natura previdenziale della controversia, nulla deve disporsi per le spese del presente giudizio ai sensi dell'art. 152 disp. att. epe, nel testo anteriore a quello di cui all'art. 42, comma 11, del DL n. 269 del 30 settembre 2003, nella specie inapplicabile ratione temporis.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi