Cass. civ., SS.UU., sentenza 29/03/2013, n. 7929

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Massime1

Poiché il vigente sistema di sindacato "incidentale" di costituzionalità attribuisce a qualunque "autorità giurisdizionale", innanzi a cui sia sollevata la relativa eccezione, il potere di respingerla "per manifesta irrilevanza o infondatezza", è inammissibile il ricorso per cassazione avverso una decisione del Consiglio di Stato con cui si censuri il concreto esercizio di un siffatto potere da parte del giudice amministrativo - con riferimento a disposizioni concernenti, peraltro, non la giurisdizione ma la disciplina sostanziale dei rapporti innanzi a questo dedotti - non potendo, per definizione, integrare, quell'esercizio, un vizio di eccesso di potere giurisdizionale sindacabile dalla Suprema Corte alla stregua degli artt. 111, ottavo comma, Cost. e 362, primo comma, cod. proc. civ.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., SS.UU., sentenza 29/03/2013, n. 7929
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 7929
Data del deposito : 29 marzo 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. P R - Primo Presidente f.f. -
Dott. T R M - Presidente di Sez. -
Dott. R R - Presidente di Sez. -
Dott. P L - Consigliere -
Dott. C A - Consigliere -
Dott. D P S - rel. Consigliere -
Dott. B E - Consigliere -
Dott. I A - Consigliere -
Dott. N G - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 18678-2010 proposto da:
COOPERATIVA IMPRENDITORIALE DI MEDIAZIONE CREDITIZIA DELLA CAPITANATA A R.L., già COOPERATIVA ARTIGIANA DI GARANZIA DI CAPITANATA A R.L., in persona del Presidente pro-tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI

PIETRALATA

320-D, presso lo studio dell'avvocato M R G, rappresentata e difesa dall'avvocato P F, per delega in calce al ricorso;



- ricorrente -


contro
ARTIGIANCREDITO PUGLIA S.C.A.R.L., in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

TEVERE

46, presso lo studio dell'avvocato P A, rappresentata e difesa dall'avvocato G M, per delega a margine del controricorso;



- controricorrente -


e contro
REGIONE PUGLIA;

- intimata -
avverso la decisione n. 1649/2010 del CONSIGLIO DI STATO, depositata il 22/03/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/02/2013 dal Consigliere Dott. SALVATORE DI PALMA;

udito l'Avvocato Maria GOFFREDO;

udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott.

APICE

Umberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. - Con ricorso al Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, la Cooperativa imprenditoriale di mediazione creditizia della Capitanata, già Cooperativa Artigiana di garanzia di Capitanata, impugnò la Delib. Giunta Regionale Regione Puglia 28 ottobre 1997, n. 7905 - di approvazione della convenzione tra la Regione Puglia e la soc. coop. a r. l. Artigiancredito Puglia, con la quale erano state affidate alla Società le attività tecniche, istruttorie e gestionali connesse agli interventi di incentivazione finanziaria e di erogazione dei servizi di cui alla L.R. Puglia 20 febbraio 1995, n. 5, nell'ambito dell'attuazione del Piano Operativo Plurifondo
1994/1999-Asse prioritario 2 "Industria, artigianato e servizi alle imprese" -, nonché il bando per la presentazione delle domande di contributo pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione Puglia n. 50 del 2 giugno 1998.
A sostegno del ricorso la ricorrente - premesso di essere cooperativa artigiana di garanzia con la finalità di garantire verso le banche i soci richiedenti finanziamenti - sosteneva l'illegittimità dell'approvazione della convenzione per violazione della L.R. n. 5 del 1995, art. 12, in quanto Artigiancredito era stata creata senza la previa consultazione delle organizzazioni sindacali di categoria del settore artigiano, nonché per violazione della L. 8 agosto 1985, n. 443, art. 6 (Legge-quadro per l'artigianato), in quanto
Artigiancredito e le cooperative associate non erano iscritte all'albo delle imprese artigiane previsto dalla legge-quadro, con la conseguenza che sarebbero state ammesse ai benefici imprese non artigiane. L'impugnazione del bando si fondava sul rilievo che esso non aveva previsto limiti di legge ai contributi erogabili ed aveva illegittimamente limitato l'accesso ai benefici soltanto alle imprese associate ad Artigiancredito.
Il TAR adito, con la sentenza n. 2907 del 2006 - dichiarati preliminarmente inammissibili i motivi per la prima volta esposti con la memoria -, respinse il ricorso, rilevando l'assenza di un obbligo di preventiva consultazione delle associazioni di categoria anteriormente alla costituzione di Artigiancredito, tale non potendosi considerare quello previsto della L.R. n. 5 del 1995, art. 12, stabilito ai soli fini della ripartizione delle risorse, giudicando altresì insussistente qualsiasi disparità di trattamento, per essere il consorzio aperto all'adesione di qualunque altro soggetto tra quelli ammessi a parteciparvi, e respingendo in particolare il motivo diretto a contestare l'ammissione ai benefici di soggetti ibridi, ossia diversi dalle imprese artigiane iscritte all'albo, per essere riconosciuti sia dal P. O. P. sia dalla L.R. n. 5 del 1995, come destinatari dei benefici, i cosiddetti consorzi misti, ossia aperti alla partecipazione di imprese industriali, nei limiti di quanto previsto dalla L. n. 443 del 1985, art. 6, comma 3, per loro natura non iscrivibili all'albo.
2. - Avverso tale sentenza propose appello la Cooperativa imprenditoriale, deducendo i seguenti motivi: - violazione o falsa applicazione della L.R. n. 5 del 1995, art. 2, dell'art. 2616 cod. civ. e di tutta la disciplina di cui al D.Lgs. 17 marzo 1995, n. 157;

- invalidità della convenzione;
- violazione e falsa applicazione della L.R. n. 5 del 1995 e della Delib. Giunta regionale 20 maggio 1998, n. 1599, in riferimento agli artt 3, 39, 41, 45, 46, 47 e 49 Cost.;
- violazione della L. n. 1034 del 1971, art. 23;
- violazione e falsa applicazione della L.R. n. 5 del 1995, in riferimento all'obbligo e al diritto delle organizzazioni sindacali di essere sentite, discriminazione;
- violazione di legge in relazione all'obbligo di aderire ad Artigiancredito Puglia;
- violazione della normativa sugli aiuti di Stato in materia di limiti della entità dei contributi a fondo perduto;
- violazione di legge in tema di ammissione a benefici di soggetti non iscritti all'Albo delle imprese artigiane;
- omessa pronuncia sulla richiesta di riunione ad altra causa e sulla richiesta di risarcimento del danno;
- violazione di legge sotto il profilo dell'abuso di posizione dominante. In contraddittorio con la Artigiancredito Puglia, che resistette all'appello, il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, con la decisione n. 1649/10 del 22 marzo 2010, ha respinto l'appello, confermando la sentenza di primo grado.
3. - Avverso tale sentenza la Cooperativa imprenditoriale di mediazione creditizia della Capitanata a r. l. - già Cooperativa Artigiana di garanzia di Capitanata a r. l. - ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura illustrati con memoria e concludendo, tra l'altro, "per l'annullamento della impugnata sentenza del Consiglio di Stato per carenza di giurisdizione ...". Resiste, con controricorso illustrato da memoria, la soc. coop. a r. l. Artigiancredito Puglia.
4. - Il Procuratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso. MOTIVI DELLA DECISIONE
1. - Con il primo motivo (con cui deduce: "... motivi attinenti alla giurisdizione - art. 360 c.p.c., n. 1, in relazione alla L. 8 agosto 1985, n. 443, art. 7"), la ricorrente critica la sentenza impugnata,
sostenendo che "La sentenza impugnata decide ritenendo tacitamente la sua giurisdizione disapplicando la normativa di cui alla L. n. 443 del 1985, art. 7 mentre avrebbe dovuto, sul punto, dichiarare la sua
carenza di giurisdizione in conformità anche a massime consolidate della Suprema Corte di Cassazione ...".
Con il secondo motivo (con cui deduce: "... motivi attinenti alla giurisdizione - art. 360 c.p.c., n. 1, in relazione agli artt. 134 e 3 Cost. della Repubblica Italiana"), la ricorrente critica ancora la sentenza impugnata, sostenendo che "La giurisdizione per decidere sulla legittimità costituzionale o meno della L. n. 443 del 1985 oltre che della L.R. 20 febbraio 1995, n. 5, della Delib. Regione Puglia 28 ottobre 1997, n. 7905 e Delib. Regione Puglia 20 maggio 1998, n. 1599, si ritiene che spetti alla Corte costituzionale ex art. 134 Cost. della Repubblica Italiana e non al T.A.R. ne' al Consiglio di Stato".
2. - Il ricorso è inammissibile.
Va premesso, in generale, che i motivi inerenti alla giurisdizione - in relazione ai quali soltanto è ammesso, ai sensi dell'art. 111 Cost., comma 8, e dell'art. 362 c.p.c., comma 1, il sindacato della
Corte di Cassazione sulle decisioni del Consiglio di Stato - vanno identificati o nell'ipotesi in cui la sentenza del Consiglio di Stato abbia violato (in positivo o in negativo) l'ambito della giurisdizione in generale (come quando abbia esercitato la giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa oppure, al contrario, quando abbia negato la giurisdizione sull'erroneo presupposto che la domanda non potesse formare oggetto in modo assoluto della funzione giurisdizionale), o nell'ipotesi in cui abbia violato i cosiddetti limiti esterni della propria giurisdizione (ipotesi, questa, che ricorre quando il Consiglio di Stato abbia giudicato su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, oppure abbia negato la propria giurisdizione nell'erroneo convincimento che essa appartenesse ad altro giudice, ovvero ancora quando, in materia attribuita alla propria giurisdizione limitatamente al solo sindacato della legittimità degli atti amministrativi, abbia compiuto un sindacato di merito), con la conseguenza che è inammissibile il ricorso per cassazione con il quale si denunci un cattivo esercizio da parte del Consiglio di Stato della propria giurisdizione, vizio che, attenendo all'esplicazione interna del potere giurisdizionale conferito dalla legge al giudice amministrativo, non può essere dedotto dinanzi alle Sezioni Unite della Suprema Corte (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 8882 del 2005). Inoltre, è appena il caso di ribadire che, per costante giurisprudenza delle sezioni unite di questa Corte, anche a seguito dell'inserimento della garanzia del giusto processo nella formulazione dell'art. 111 Cost., il sindacato delle sezioni unite della Corte di cassazione sulle decisioni rese dal Consiglio di Stato è limitato all'accertamento dell'eventuale eccesso dai limiti esterni della propria giurisdizione da parte dello stesso Consiglio, cioè all'esistenza di vizi che riguardano i caratteri essenziali di tale funzione giurisdizionale e non il modo del suo esercizio, restando, perciò, escluso ogni sindacato sui limiti interni di tale giurisdizione, cui attengono gli errores in iudicando o in procedendo (cfr., ex plurimis, l'ordinanza n. 3688 del 2009 e le sentenze nn. 12539 e 16165 del 2011, 12607 e 15428 del 2012). 2.1. - Ciò premesso, deve essere preliminarmente rilevato, quanto al primo motivo, che, nella specie, sulla giurisdizione del Giudice amministrativo adito si è formato il giudicato implicito. Infatti, come più volte affermato da queste Sezioni Unite, il giudicato implicito sulla giurisdizione può formarsi tutte le volte che la causa sia stata decisa nel merito, con esclusione per le sole decisioni che non contengano statuizioni che implicano l'affermazione della giurisdizione, come nel caso in cui l'unico tema dibattuto sia stato quello relativo all'ammissibilità della domanda o quando dalla motivazione della sentenza risulti che l'evidenza di una soluzione abbia assorbito ogni altra valutazione (ad es., per manifesta infondatezza della pretesa) ed abbia indotto il giudice a decidere il merito per saltum, non rispettando la progressione logica stabilita dal legislatore per la trattazione delle questioni di rito rispetto a quelle di merito (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 24883 del 2008, in una fattispecie - analoga alla presente - in cui le Sezioni Unite hanno giudicato inammissibile l'eccezione di difetto di giurisdizione sollevata per la prima volta in sede di legittimità dalla parte che, soccombente nel merito in primo grado, aveva appellato la sentenza del giudice tributario senza formulare alcuna eccezione sulla giurisdizione, così ponendo in essere un comportamento incompatibile con la volontà di eccepire il difetto di giurisdizione e prestando acquiescenza al capo implicito sulla giurisdizione della sentenza di primo grado, ai sensi dell'art. 329 c.p.c., comma 2;
cfr. altresì nello stesso senso, tra le più recenti, le sentenze nn. 21065 del 2011 e 9594 del 2012). Nella specie, sta di fatto che l'odierna ricorrente - ove anche, per mera ipotesi, avesse ritualmente eccepito, in primo grado, il difetto di giurisdizione del Tribunale amministrativo regionale (adito peraltro dalla stessa ricorrente), come soltanto accennato (in violazione del principio di autosufficienza) nel ricorso in esame (alla pag. 3: "... All'uopo la Cooperativa ricorrente contestava quanto sostenuto ex adverso opponendo anche oralmente alla udienza di discussione la mancanza di giurisdizione del T.A.R. e del Consiglio di Stato ...") -, a fronte della decisione di merito a sè sfavorevole dell'adito Tribunale amministrativo, non ha dedotto in appello alcun motivo inerente alla giurisdizione del Giudice amministrativo adito (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 2). 2.2. - Quanto al secondo motivo, lo stesso è parimenti inammissibile.
Infatti, è decisivo il rilievo che - anche ad ammettere, per mera ipotesi, che l'odierna ricorrente avesse ritualmente sollevato, ai sensi della L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 23, eccezione di illegittimità costituzionale di disposizioni della legge statale n.443 del 1985 e della L.R. Puglia n. 5 del 1995, per assunta
violazione di norme costituzionali -, comunque, il nostro sistema di sindacato "incidentale" di costituzionalità attribuisce a qualsiasi "autorità giurisdizionale" investita della relativa eccezione il potere di respingere la sollevata eccezione "per manifesta irrilevanza o infondatezza" (stessa L. n. 87 del 1953, art. 24, comma 1), con la conseguenza che il concreto esercizio di tale potere non
può, per definizione, integrare un vizio di eccesso di potere giurisdizionale sindacabile da questa Corte ai sensi dell'art. 111 Cost., comma 8, e dell'art. 362 c.p.c., comma 1. Ciò, a prescindere
da altre pur possibili considerazioni convergenti nel senso dell'inammissibilità del motivo in esame, e, fra queste, la considerazione che le disposizioni in ipotesi censurate di illegittimità costituzionale concernono non certo la giurisdizione ma la disciplina sostanziale dei rapporti dedotti nel giudizio dinanzi ai Giudici amministrativi aditi dalla stessa ricorrente. 3. - Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.

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