Cass. pen., sez. I, sentenza 20/07/2022, n. 28574

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. I, sentenza 20/07/2022, n. 28574
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 28574
Data del deposito : 20 luglio 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

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SENTENZA IN CANCELLERIA

20 LUG 2022 sul ricorso proposto da: NIGRO VINCENZO nato a LECCE il 08/08/1970 9AiLLNIIE avverso l'ordinanza del 20/07/2021 della CORTE APPELLO di BOLOGNAudita la relazione svolta dal Consigliere B C;
lette le conclusioni del PG, M F L, che ha chiesto l'inammissibilità.

RITENUTO IN FATTO

1.Con l'ordinanza impugnata, la Corte d'appello di Bologna, in funzione di giudice dell'esecuzione, ha applicato, nei confronti di V N, la pena accessoria dell'estinzione del rapporto di pubblico impiego, in relazione alla sentenza della Corte d'appello di Bologna del 1 aprile 2014, con la quale egli era stato, in precedenza, condannato alla pena di anni tre mesi cinque di reclusione, per i reati di cui agli artt. 319-quater, 328 cod. pen., con la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici per anni cinque, pena principale poi ridotta a quella di anni tre mesi quattro di reclusione, con sentenza di questa Corte, che ha escluso la sussistenza del reato di cui all'art. 328 cod. pen.

1.1. Il giudice dell'esecuzione ha ritenuto che la clausola di cui all'art. 32- quinquies, cod. pen. ("salvo quanto previsto dagli artt. 29 e 31 cod. pen."), fa salvo, appunto, il disposto di cui alle norme richiamate e, dunque, che si tratta di disposizioni non in antitesi con quella applicata nel caso di specie. Si è, in definitiva, assunto che N è stato condannato per reato di induzione indebita, di cui all'art. 319-quater cod. pen., a pena non inferiore a tre anni e che la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici, secondo la difesa già eseguita, non esclude l'applicazione di quella di cui all'art. 32-quinquies cod. pen. Inoltre, si sostiene che, pur a seguito di destituzione dall'Arma dei Carabinieri, la pena accessoria deve essere applicata al condannato, risultando la decisione disciplinare annullata dal Consiglio di Stato. Tanto, anche se N non è stato ancora reitegrato nel posto di lavoro, dovendo reputarsi operante la pena accessoria applicata, nel momento in cui la pronuncia del Consiglio di Stato sarà eseguita.

2. Avverso la descritta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione lo stesso condannato, per mezzo del difensore di fiducia, avv. L. Doria, denunciando tre vizi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Con il primo motivo, il ricorso prospetta, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., inosservanza ed erronea applicazione di legge penale, per l'operata applicazione retroattiva dell'art. 32-quinquies cod. pen. introdotto dalla legge n. 96 del 6 novembre 2012. I fatti commessi da N risalgono al 2006, l'art. 319-quater cod. pen. risulta, invece, inserito nell'art. 32-quinquies cod. pen., soltanto nell'anno 2012, con la legge n. 96 del 6 novembre 2012, quindi il ricorrente risulterebbe condannato a pena accessoria entrata in vigore dopo la commissione del fatto in violazione dell'art. 2 cod. pen.

2.2. Con il secondo motivo si denuncia inosservanza ed erronea applicazione di legge penale, per essere stato, erroneamente, ritenuto sussistente il presupposto per l'applicazione della sanzione accessoria, rappresentato dal rapporto di lavoro. Il condannato, prima destituito, non è stato ancora reintegrato nel posto di lavoro, pur a fronte della decisione del Consiglio di Stato che ha annullato il provvedimento di destituzione, intervenuta a seguito del passaggio in giudicato della sentenza di condanna penale. Sul punto, infatti, si osserva che la reintegrazione non è automatica, tanto che pende giudizio di ottemperanza e che la destituzione automatica è stata censurata dal Giudice delle leggi con sentenza del 2016 n. 268 (n.d.r. che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 866, comma 1, d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66 sul presupposto che esso contemplasse un'ipotesi di estinzione automatica del rapporto di lavoro a seguito di condanna penale, senza previo giudizio disciplinare, in contrasto con il principio generale posto dall'art. 9, legge 7 febbraio 1990, n. 19).Infine, si sottolinea che la reintegra potenziale non può essere considerata presupposto giuridico della condanna all'estinzione del rapporto di lavoro, pena accessoria dunque avente finalità repressiva e non preventiva o cautelare.
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