Cass. civ., SS.UU., sentenza 20/11/2003, n. 17636

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In tema di ricusazione, l'ordinanza recante la condanna della parte che ha proposto la ricusazione - dichiarata inammissibile o rigettata - al pagamento della pena pecuniaria di cui all'art. 54, terzo comma, cod. proc. civ., non costituisce un provvedimento definitivo, stante la possibilità di dedurre, contro di essa, censure nel corso del giudizio di merito, in via consequenziale rispetto alla richiesta di riesame della statuizione di inammissibilità o di rigetto dell'istanza di ricusazione o anche in via autonoma rispetto a quest'ultima; ne consegue che anche il capo dell'ordinanza sulla ricusazione contenente la detta statuizione di condanna non è suscettibile di impugnazione con il ricorso straordinario per Cassazione.

L'ordinanza di rigetto dell'istanza di ricusazione non è impugnabile con il ricorso straordinario per Cassazione: essa infatti, pur avendo natura decisoria - atteso che decide su un'istanza diretta a far valere concretamente l'imparzialità del giudice, la quale costituisce non soltanto un interesse generale dell'amministrazione della giustizia, ma anche, se non soprattutto, un diritto soggettivo della parte (e ciò alla luce sia dell'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, sia del nuovo testo dell'art. 111 Cost.), - manca tuttavia del necessario carattere della definitività, in quanto la non impugnabilità "ex se" dell'ordinanza non esclude che il suo contenuto sia suscettibile di essere riesaminato nel corso dello stesso processo attraverso il controllo sulla pronuncia resa dal (o col concorso del) "iudex suspectus", l'eventuale vizio causato dalla incompatibilità del giudice invano ricusato convertendosi in motivo di nullità dell'attività spiegata dal giudice stesso, e quindi di gravame della sentenza da lui emessa. Nè, a sostegno della ammissibilità del ricorso straordinario (che al più consentirebbe, peraltro, esclusivamente un controllo formale di legalità della detta ordinanza), può farsi questione circa la presunta inidoneità del diverso mezzo di riesame posticipato a tutelare il diritto ad un giudice imparziale (sul rilievo che tale diritto verrebbe a realizzarsi soltanto nel secondo grado di giudizio, non ricorrendo - ove il giudice di appello ravvisi la causa di ricusazione esclusa nel giudizio di primo grado - alcuno dei casi tassativi di rimessione della causa al primo giudice di cui agli artt. 353 e 354 cod. proc. civ.): e ciò sia perché la ritenuta inidoneità del mezzo giuridico previsto per il riesame del provvedimento decisorio non equivale ad una assenza di rimedi tale da rendere quel provvedimento anche definitivo (agli effetti di consentirne l'impugnazione con il ricorso straordinario per cassazione); sia perché l'ipotizzata non adeguatezza del rimedio sarebbe in concreto rilevante, e quindi apprezzabile, solo nel momento in cui, essendosi in presenza di una sentenza nulla perché emessa da una giudice trovantesi in una delle situazioni previste dall'art. 51 cod. proc. civ., si ponga il problema della perdita di un grado di giurisdizione di merito.

È manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 53, secondo comma, cod. proc. civ., nella parte in cui non prevede l'impugnabilità, con il rimedio del ricorso straordinario per cassazione, dell'ordinanza che decide sulla ricusazione del giudice, in quanto il principio di imparzialità è sufficientemente garantito dalla possibilità per la parte, che abbia visto rigettata la propria istanza di ricusazione, di chiedere al giudice di appello un riesame di tale pronuncia impugnando la sentenza conclusiva resa dal giudice invano ricusato, ne' valendo il confronto con il codice di procedura penale (che consente il ricorso per cassazione avverso l'ordinanza che ha deciso sulla ricusazione), atteso che il principio costituzionale di eguaglianza non comporta il divieto di regolamentazioni diverse dei diversi tipi di processo in ordine al procedimento sulla ricusazione, tanto più che nell'ambito del processo penale sono in gioco beni costituzionalmente più "sensibili". Del resto, la proponibilità immediata del ricorso per cassazione avverso la detta ordinanza, con il conseguente protrarsi dell'effetto sospensivo del giudizio di merito disposto dall'ultimo comma dell'art. 52 cod. proc. civ. (senza le corrispondenti limitazioni previste nel processo penale), avrebbe il risultato pratico di rendere più lento il processo, e quindi potrebbe stimolare un uso distorto dell'istituto, a danno del diritto, di rilevanza costituzionale, ad una ragionevole durata del processo. (Cfr. Corte Cost., sentenza n. 78 del 2002).

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., SS.UU., sentenza 20/11/2003, n. 17636
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 17636
Data del deposito : 20 novembre 2003

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. C R - Primo Presidente f.f. -
Dott. D V - Presidente di Sezione -
Dott. R E - Consigliere -
Dott. L E - rel. Consigliere -
Dott. S F - Consigliere -
Dott. N G - Consigliere -
Dott. M C F - Consigliere -
Dott. M M R - Consigliere -
Dott. E S - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Z GPE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TAGLIAMENTO 14, presso lo studio dell'avvocato C M B, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato G P, giusta delega a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro
EDERA COMPAGNIA ITALIANA DI ASSICURAZIONI S.P.A., IN LIQUIDAZIONE, in persona del legale rappresentante "pro-tempore", elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTI PARIOLI 12, presso lo studio dell'avvocato G I, che la rappresenta e difende, giusta delega a margine del controricorso;

- controricorrente -

avverso l'ordinanza relativa al giudizio n. r.g. 50568/99 del Tribunale di ROMA, depositata il 23 maggio 2002;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25 settembre 2003 dal Consigliere Dott. Ernesto LUPO;

uditi gli Avvocati Carlo Maria BARONE, Gregorio IANNOTTA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Antonio MARTONE che ha concluso in via principale per la questione di costituzione, in relazione all'art. 24 e 111 della Costituzione dell'art. 53 c.p.c. nella parte in cui esclude la ricorribilità avanti la Corte di Cassazione, in via subordinata ammissibilità del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso del 9 luglio 2001 Giuseppe Z ricusò il dott. Giovanni Deodato, presidente del Collegio giudicante della 3^ Sezione civile del Tribunale di Roma, investito della domanda di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale promossa da L'Edera - Compagnia italiana di assicurazioni s.p.s. in liquidazione coatta amministrativa, in persona del commissario liquidatore Francesco Dosi nei confronti di esso Z, amministratore unico della società C.A.I. (Centrale Acquisizioni Immobiliari) a r.l.
Con ordinanza depositata il 4 ottobre 2001, il Collegio per le ricusazioni del Tribunale di Roma rigettò l'istanza, disponendo che le parti provvedessero alla riassunzione della causa nel termine perentorio di sei mesi.
In data 24 ottobre 2001 la cancelleria della 3^ Sezione civile del Tribunale comunicò ad procuratore dello Z il provvedimento con cui il Presidente dott. Deodato aveva fissato per la discussione orale della causa l'udienza collegiale del 14 novembre 2001. Ritenendo tale provvedimento - con cui il magistrato, già ricusato nel giudizio "a quo", aveva provveduto "ex officio" a fissare l'udienza di riassunzione della causa - indicativo di una grave inimicizia sussumibile nella previsione dell'art. 51 c.p.c., n. 3, lo Z ricusò nuovamente, con ricorso depositato il 12 novembre 2001, il dott. Deodato.
Con tale ricorso fu ricusata anche la Dott.ssa Adelaide Amendola, delineandosi in capo alla stessa, secondo il ricorrente, una situazione di incompatibilità ricollegabile alla fattispecie della precedente cognizione della stessa situazione giuridica in altra causa (art. 51, n. 4, c.p.c.). Con ordinanza del 23 maggio 2002, il Collegio delle ricusazioni del Tribunale di Roma ha rigettato il ricorso per ricusazione dei due giudici, condannando il ricorrente alla pena pecuniaria di Euro 20,66 (pari a Euro 10,33 per ciascun magistrato ricusato). Avverso detta ordinanza lo Z ha proposto ricorso per cassazione, deducendo tre motivi, a cui la società L'Edera in liquidazione coatta amministrativa ha resistito con controricorso. Ambedue le parti hanno presentato memoria.
Il ricorso è stato assegnato alle SEZIONI UNITE CIVILI di questa Corte in quanto presenta una questione di massima di particolare importanza, concernente l'ammissibilità del ricorso per cassazione avverso l'ordinanza che ha deciso sull'istanza di ricusazione, finora costantemente negata dalla giurisprudenza della Cassazione. MOTIVI DELLA DECISIONE
1) Con il primo motivo il ricorrente censura la condanna alla pena pecuniaria, deducendo la violazione degli artt. 51-54 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3 ed all'art. 111 Cost., nonché il "difetto assoluto di motivazione su punti decisivi della controversia". Preliminarmente, a sostegno dell'ammissibilità del motivo di ricorso, il ricorrente invoca la sentenza di questa Corte n. 5162 del 1984, secondo cui la non impugnabilità dell'ordinanza che ha deciso sulla ricusazione (prevista dall'art. 53 c.p.c.) non ne investe il capo con cui la parte istante è condannata al pagamento della pena pecuniaria, trattandosi di statuizione che, incidendo su diritti soggettivi del soccombente, assume natura squisitamente decisoria e legittima quindi il soggetto passivo, non tutelato da altri mezzi di reazione, alla proposizione del ricorso ex art. 111 Cost. Nel merito, il ricorrente ritiene che la condanna alla pena
pecuniaria non sia stata giustificata dalla ordinanza impugnata, come sarebbe stato necessario a seguito della illegittimità costituzionale dell'art. 54, terzo comma, c.p.c., dichiarata dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 78 del 2002. Con il secondo motivo il ricorrente, denunziando "violazione e falsa applicazione dell'art. 111 Cost., degli artt. 52 e 53 c.p.c. in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c.", censura la pronunzia di inammissibilità dell'istanza, da lui proposta, di essere sentito dal Collegio che ha deciso sul ricorso per ricusazione. Il ricorrente rileva che il procedimento di ricusazione, lungi dall'assumere natura amministrativa, a tutti gli effetti costituisce un processo vertente su un diritto soggettivo perfetto, quale è il fondamentale diritto all'imparzialità del giudice, garantito alle parti della controversia principale dall'art. 111 Cost. Secondo questa disposizione costituzionale, "ogni processo si svolge nel contraddittorio delle parti", che pertanto va sempre assicurato, sia pure nelle forme più adeguate alle particolarità strutturali del procedimento di ricusazione, in cui già l'art. 53 c.p.c. prevede una fase istruttoria, anche se deformalizzata.
Con il terzo motivo il ricorrente, denunziando la "violazione degli artt. 30-bis, 34, 51, 52, 53, 54, 56 e 112 c.p.c. e dell'art. 5 della legge 13 aprile 1988, n. 117, in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c.
e all'art. 111 Cost.", nonché "difetto assoluto di motivazione su punti decisivi della controversia", impugna il merito della decisione del Tribunale, là dove ha escluso la sussistenza delle cause di ricusazione dedotte dal ricorrente.
Preliminarmente il ricorrente si sofferma sulla ammissibilità della censura. Egli ritiene che l'orientamento tradizionale delle sezioni semplici della Corte sulla non ricorribilità, ai sensi dell'art. 111 Cost., della ordinanza emanata sul ricorso per revocazione, non sia
più sostenibile alla luce del nuovo testo del citato art. 111 Cost. e delle enunciazioni contenute nella sentenza della Corte Costituzionale n. 78 del 2002. Nel nuovo contesto costituzionale, l'aspirazione delle parti ad essere giudicate da un giudice terzo - si osserva - è destinata ad assumere la consistenza del diritto soggettivo assoluto;
ed anzi, di diritto primario, fondamentale ed insopprimibile della persona, di dignità pari se non superiore a quello del diritto al giudice naturale precostituito per legge e a tutti gli altri inalienabili diritti correlati alla difesa e all'azione in causa, onde l'incompatibilità, dell'organo giudicante non può più essere considerata "sub specie" del mero profilo amministrativo afferente all'organizzazione del servizio giudiziario. Consegue che l'ordinanza che decide sul ricorso per revocazione costituisce un provvedimento decisorio, essendo conclusivo di un procedimento contenzioso autonomo vertente su diritti soggettivi fondamentali, e definitivo, perché, per espressa previsione legislativa, non impugnabile, onde contro detta ordinanza deve ritenersi ammissibile il ricorso per cassazione straordinario ed immediato. Questa conclusione trova conforto, sul piano sistematico, nella disciplina del corrispondente istituto in materia penale, che prevede (art. 41 c.p.p.) la ricorribilità per cassazione dell'ordinanza sulla ricusazione, non essendo consentita una diversa intensità della tutela del diritto al giudice terzo ed imparziale a seconda dell'oggetto del contendere, atteso che - come è stato osservato in dottrina - terzietà ed imparzialità "colgono l'essenza del giudice, la vera differenza tra giudice e non giudice", consacrano cioè un principio coessenziale alla funzione giurisdizionale complessivamente intesa (e qualunque sia la materia sulla quale essa si eserciti).
Nel merito, il ricorrente critica ampiamente l'ordinanza impugnata che ha ritenuto insussistenti le dedotte cause di ricusazione, eccependo, in via subordinata, l'incostituzionalità dell'art. 51, n. 4, c.p.c. e dell'art. 52 c.p.c., in relazione agli artt. 3, 24 e 111 Cost..
2) Pregiudiziale è l'esame della ammissibilità del ricorso per cassazione proposto avverso l'ordinanza che, a norma dell'art. 54 c.p.c., ha rigettato la ricusazione, condannando il ricorrente al
pagamento della pena pecuniaria prevista dal detto articolo. Dal punto di vista logico è prioritario l'esame della ricorribilità "in toto" della ordinanza impugnata, rispetto alla proponibilità del ricorso per cassazione avverso la sola parte di essa con cui il ricorrente è stato condannato a pagare la pena pecuniaria. Va

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