Cass. pen., sez. III, sentenza 30/05/2023, n. 23515
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Testo completo
la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: C R nato a MILAZZO il 24/08/1957 avverso la sentenza del 14/02/2022 della CORTE APPELLO di MESSINAvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ALDO ACETO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale D S che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito l'Avv. ISABELLA BARONE che ha concluso insistendo nell'accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.11 sig. R C ricorre per l'annullamento della sentenza del 14/02/2022 della Corte di appello di Messina che, in parziale riforma della sentenza del 23/04/2021 del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, da lui impugnata, gli ha concesso il beneficio della non menzione, confermando nel resto la condanna alla pena (principale), condizionalmente sospesa, di un anno di reclusione (oltre pene accessorie) per il reato di cui all'art. 4, d.lgs. n. 74 del 2000, a lui ascritto perché, quale legale rappresentante della società «CS Calabria S.r.l.», al fine di evadere l'imposta sul valore aggiunto, aveva indicato nella relativa dichiarazione elementi attivi inferiori a quelli effettivi (in conseguenza della omessa contabilizzazione di elementi attivi indicati in euro 682.484,57), con un'evasione di imposta pari ad euro 150.146,60;
il fatto è contestato come commesso in Milazzo il 29/09/2015. 1.1.Con il primo motivo deduce la violazione degli artt. 192, comma 3, e 125, comma 3, cod. proc. pen., in relazione all'art. 4, d.lgs. n. 74 del 2000, la violazione dei criteri di valutazione della prova, il travisamento del fatto e della prova stessa, la motivazione apparente, contraddittoria e illogica in punto di sussistenza del reato di dichiarazione infedele. Sulla premessa che la propria condanna si fonda sulla acritica adesione a quanto risulta dal PVC, atto che - come ampiamente argomentato nell'atto di appello - nel processo penale ha valore di mera presunzione, del tutto indimostrata, afferma, è l'imputazione della nota di credito del luglio 2014 anche a compensi di marketing. La relativa affermazione, ribadita nella sentenza impugnata, è frutto del malgoverno della prova (travisata) e dell'art. 192, comma 3, cod. proc. pen., trattandosi di mere presunzioni semplici sulla cui base è stata quantificata anche la percentuale di incidenza (il 47%) operata dall'Agenzia delle Entrate ai fini del calcolo dell'imposta dovuta. In ogni caso, conclude, a tutto concedere ci si troverebbe di fronte a "bonus cd. misti" (qualitativi e quantitativi) non soggetti ad imposta sul valore aggiunto.
1.2.Con il secondo motivo, contestando l'esistenza di un obbligo di rettifica della nota di credito ricevuta che vada oltre la mera verifica della regolarità formale del documento (questione non colta dalla Corte di appello), deduce la violazione dell'art. 21, d.P.R. n. 633 del 1972, nonché degli artt. 192, comma 3, e 125, comma 3, cod. proc. pen., in relazione all'art. 4, d.lgs. n. 74 del 2000, la violazione dei criteri di valutazione della prova, il travisamento del fatto e della prova stessa, la motivazione apparente, contraddittoria e illogica in punto di sussistenza del reato di dichiarazione infedele.
1.3.Con il terzo motivo deduce, sotto un ulteriore profilo, la violazione degli artt. 192, comma 3, e 125, comma 3, cod. proc. pen., in relazione all'art. 4, d.lgs. n. 74 del 2000, la violazione dei criteri di valutazione della prova, il travisamento del fatto e della prova stessa, la motivazione apparente, contraddittoria e illogica in punto di sussistenza del reato di dichiarazione infedele. Osserva che l'omessa indicazione dell'aliquota IVA da parte della società che aveva emesso la nota di credito non poteva integrare il reato di dichiarazione infedele perché non poteva costituire reddito ma un mero onere, con la conseguenza che la mancata rettifica della nota di credito ha avuto come effetto non già l'abbattimento dei ricavi, ma un loro innalzamento, questione non colta dalla Corte di appello anche sotto i suoi riflessi sull'elemento soggettivo del reato.
1.4.Con il quarto motivo, lamentando la mancanza di prova dell'elemento soggettivo, deduce la violazione degli artt. 192, comma 3, e 125, comma 3, cod. proc. pen., in relazione all'art. 4, d.lgs. n. 74 del 2000 e agli artt. 42 e 43 cod. pen., la violazione dei criteri di valutazione della prova, il travisamento del fatto e della prova stessa, la motivazione apparente, contraddittoria e illogica in punto di sussistenza del reato di dichiarazione infedele. Premesso che oggetto di contestazione è l'errata imputazione di elementi attivi in dichiarazione, osserva che, trattandosi di elementi tecnici afferenti le modalità di redazione di un documento fiscale e tenuto conto delle dimensioni delle società interessate dalla vicenda, appariva ovvio e logico che si affidasse ad altri per la predisposizione e redazione dei bilanci, l'elaborazione e il deposito dei / modelli IVA e l'attività e modalità di fatturazione. Aggiunge che, avuto riguardo al volume di affari della società (euro 6.728.669,00) e ai crediti di imposta maturati nel 2013 (euro 889.021,00) e nel 2014 (euro 141.432,00), è illogico ipotizzare che avrebbe deliberatamente, volutamente e scientemente deciso di non rettificare la nota di credito del 31/07/2014 al fine di non esporre in contabilità un'IVA pari ad euro 150.146,60 che sarebbe stata neutralizzata in parte dal credito IVA maturato nel medesimo periodo di imposta, in parte da quello maturato negli anni successivi. Questi argomenti, lamenta, sono stati affrontati dalla Corte di appello in maniera superficiale, avendo fatto apoditticamente riferimento a decisioni assunte dal management delle due società, a scelte di fondo correlate ai rapporti tra di esse, a condotte frutto di compiuta programmazione, affermazioni, lamenta, che sono di mera fantasia e che sono sconfessate dallo stesso contenuto del PVC e dalla produzione documentale effettuate, oltre che dalla logica.
1.5.Con il quinto motivo, lamentando la mancata applicazione della causa di non punibilità della speciale tenuità del fatto per motivi del tutto estranei a quelli indicati dal legislatore (l'articolata operazione contabile finalizzata a bilanciare il carico fiscale tra società appartenenti allo stesso gruppo), deduce la violazione dell'art. 131-bis cod. pen., nonché dell'art. 125, comma 3, cod. proc. pen., in relazione all'art. 4, d.lgs. n. 74 del 2000, il travisamento del fatto, la motivazione apparente, contraddittoria
udita la relazione svolta dal Consigliere ALDO ACETO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale D S che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito l'Avv. ISABELLA BARONE che ha concluso insistendo nell'accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.11 sig. R C ricorre per l'annullamento della sentenza del 14/02/2022 della Corte di appello di Messina che, in parziale riforma della sentenza del 23/04/2021 del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, da lui impugnata, gli ha concesso il beneficio della non menzione, confermando nel resto la condanna alla pena (principale), condizionalmente sospesa, di un anno di reclusione (oltre pene accessorie) per il reato di cui all'art. 4, d.lgs. n. 74 del 2000, a lui ascritto perché, quale legale rappresentante della società «CS Calabria S.r.l.», al fine di evadere l'imposta sul valore aggiunto, aveva indicato nella relativa dichiarazione elementi attivi inferiori a quelli effettivi (in conseguenza della omessa contabilizzazione di elementi attivi indicati in euro 682.484,57), con un'evasione di imposta pari ad euro 150.146,60;
il fatto è contestato come commesso in Milazzo il 29/09/2015. 1.1.Con il primo motivo deduce la violazione degli artt. 192, comma 3, e 125, comma 3, cod. proc. pen., in relazione all'art. 4, d.lgs. n. 74 del 2000, la violazione dei criteri di valutazione della prova, il travisamento del fatto e della prova stessa, la motivazione apparente, contraddittoria e illogica in punto di sussistenza del reato di dichiarazione infedele. Sulla premessa che la propria condanna si fonda sulla acritica adesione a quanto risulta dal PVC, atto che - come ampiamente argomentato nell'atto di appello - nel processo penale ha valore di mera presunzione, del tutto indimostrata, afferma, è l'imputazione della nota di credito del luglio 2014 anche a compensi di marketing. La relativa affermazione, ribadita nella sentenza impugnata, è frutto del malgoverno della prova (travisata) e dell'art. 192, comma 3, cod. proc. pen., trattandosi di mere presunzioni semplici sulla cui base è stata quantificata anche la percentuale di incidenza (il 47%) operata dall'Agenzia delle Entrate ai fini del calcolo dell'imposta dovuta. In ogni caso, conclude, a tutto concedere ci si troverebbe di fronte a "bonus cd. misti" (qualitativi e quantitativi) non soggetti ad imposta sul valore aggiunto.
1.2.Con il secondo motivo, contestando l'esistenza di un obbligo di rettifica della nota di credito ricevuta che vada oltre la mera verifica della regolarità formale del documento (questione non colta dalla Corte di appello), deduce la violazione dell'art. 21, d.P.R. n. 633 del 1972, nonché degli artt. 192, comma 3, e 125, comma 3, cod. proc. pen., in relazione all'art. 4, d.lgs. n. 74 del 2000, la violazione dei criteri di valutazione della prova, il travisamento del fatto e della prova stessa, la motivazione apparente, contraddittoria e illogica in punto di sussistenza del reato di dichiarazione infedele.
1.3.Con il terzo motivo deduce, sotto un ulteriore profilo, la violazione degli artt. 192, comma 3, e 125, comma 3, cod. proc. pen., in relazione all'art. 4, d.lgs. n. 74 del 2000, la violazione dei criteri di valutazione della prova, il travisamento del fatto e della prova stessa, la motivazione apparente, contraddittoria e illogica in punto di sussistenza del reato di dichiarazione infedele. Osserva che l'omessa indicazione dell'aliquota IVA da parte della società che aveva emesso la nota di credito non poteva integrare il reato di dichiarazione infedele perché non poteva costituire reddito ma un mero onere, con la conseguenza che la mancata rettifica della nota di credito ha avuto come effetto non già l'abbattimento dei ricavi, ma un loro innalzamento, questione non colta dalla Corte di appello anche sotto i suoi riflessi sull'elemento soggettivo del reato.
1.4.Con il quarto motivo, lamentando la mancanza di prova dell'elemento soggettivo, deduce la violazione degli artt. 192, comma 3, e 125, comma 3, cod. proc. pen., in relazione all'art. 4, d.lgs. n. 74 del 2000 e agli artt. 42 e 43 cod. pen., la violazione dei criteri di valutazione della prova, il travisamento del fatto e della prova stessa, la motivazione apparente, contraddittoria e illogica in punto di sussistenza del reato di dichiarazione infedele. Premesso che oggetto di contestazione è l'errata imputazione di elementi attivi in dichiarazione, osserva che, trattandosi di elementi tecnici afferenti le modalità di redazione di un documento fiscale e tenuto conto delle dimensioni delle società interessate dalla vicenda, appariva ovvio e logico che si affidasse ad altri per la predisposizione e redazione dei bilanci, l'elaborazione e il deposito dei / modelli IVA e l'attività e modalità di fatturazione. Aggiunge che, avuto riguardo al volume di affari della società (euro 6.728.669,00) e ai crediti di imposta maturati nel 2013 (euro 889.021,00) e nel 2014 (euro 141.432,00), è illogico ipotizzare che avrebbe deliberatamente, volutamente e scientemente deciso di non rettificare la nota di credito del 31/07/2014 al fine di non esporre in contabilità un'IVA pari ad euro 150.146,60 che sarebbe stata neutralizzata in parte dal credito IVA maturato nel medesimo periodo di imposta, in parte da quello maturato negli anni successivi. Questi argomenti, lamenta, sono stati affrontati dalla Corte di appello in maniera superficiale, avendo fatto apoditticamente riferimento a decisioni assunte dal management delle due società, a scelte di fondo correlate ai rapporti tra di esse, a condotte frutto di compiuta programmazione, affermazioni, lamenta, che sono di mera fantasia e che sono sconfessate dallo stesso contenuto del PVC e dalla produzione documentale effettuate, oltre che dalla logica.
1.5.Con il quinto motivo, lamentando la mancata applicazione della causa di non punibilità della speciale tenuità del fatto per motivi del tutto estranei a quelli indicati dal legislatore (l'articolata operazione contabile finalizzata a bilanciare il carico fiscale tra società appartenenti allo stesso gruppo), deduce la violazione dell'art. 131-bis cod. pen., nonché dell'art. 125, comma 3, cod. proc. pen., in relazione all'art. 4, d.lgs. n. 74 del 2000, il travisamento del fatto, la motivazione apparente, contraddittoria
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