Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 16/08/2004, n. 15949
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Nell'interpretazione del contratto stipulato dalle parti, il giudice di merito deve arrestarsi al significato letterale delle parole allorché le espressioni utilizzate dalle parti facciano emergere in modo inequivoco la comune intenzione delle medesime, escludendo il ricorso ad ulteriori criteri ermeneutici. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che, in presenza di una clausola di un contratto di procacciamento di affari che prevedeva la riduzione della provvigione per i soli affari conclusi in zona assegnata ad agente, aveva, in contrasto con la lettera della clausola stessa, esteso la riduzione anche agli affari conclusi dal procacciatore con clienti diretti della preponente).
Premesso che la sottoscrizione è requisito necessario della scrittura privata e che la mancanza di essa esclude sia l'onere del disconoscimento, se anche si abbia per riconosciuta una scrittura non sottoscritta, la produzione di una scrittura non sottoscritta, quale un tabulato o altra scrittura contabile, e l'attribuzione di essa alla controparte nel ricorso introduttivo di una controversia di lavoro, determinano per il convenuto l'onere, ex art. 416 cod. proc. civ., di una specifica contestazione, con la conseguenza che, in mancanza di questa, il fatto diviene pacifico e su di esso non vi è necessità di prova e non può esservi contestazione nei successivi gradi del giudizio.
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. M E - Presidente -
Dott. L F - rel. Consigliere -
Dott. C P - Consigliere -
Dott. M F A - Consigliere -
Dott. C G - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
S
sul ricorso proposto da:
DE B CTINA, già elettivamente domiciliata in ROMA VIALE BRUNO BUOZZI 32, presso lo studio dell'avvocato R A, che la difende unitamente all'avvocato L Z, giusta delega in atti, e da ultimo d'ufficio presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;
- ricorrente -
contro
D M G in persona dell'omonimo titolare Sig. M G P.I.V.A., elettivamente domiciliato in ROMA CORSO D'ITALIA N. 19, presso lo studio dell'avvocato R S, difeso dagli avvocati C P, T G, giusta delega in atti;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 97/01 della Corte d'Appello di MILANO, depositata il 14/02/02 - R.G.N. 563/2001;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/06/04 dal Consigliere Dott. F L;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. P M che ha concluso accoglimento per quanto ragione del primo e secondo motivo, e rigetto del terzo e quarto.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 14.2.2002 la Corte di Appello di Milano, decidendo sull'appello avverso sentenza del Tribunale della medesima città, proposto da Cristina D B nei confronti di M Giovanni, rigettava l'appello confermando il rigetto delle domande di provvigioni proposte dalla D B.
Trascritta in motivazione la clausola del contratto di procacciamento di affari in data 15.11.1996, stipulato tra le parti, desumeva la regola che gli affari conclusi con clienti diretti della mandante dovevano essere compensati con provvigione dimezzata;tra essi vi era la Fenice, che era già cliente della M. Aggiungeva che, per la trattativa con Saigarace (Arona s.p.a), Fiat e Fenice, la D B si era limitata a seguire le trattative e ad una attività di ufficio compensata a parte. Per gli affari conclusi nel mese di ottobre il tabulato esibito non era stato riconosciuto come proprio dal M, sicché mancava ogni prova. Aggiungeva che si trattava di clienti diretti della M e che mancava ogni prova della attività di procacciamento della D B.
In ordine alla richiesta di esibizione di documenti e di consulenza tecnica evidenziava che mancavano i dati necessari per disporre tali mezzi di prova.
Propone ricorso per Cassazione affidato a quattro motivi la D B, che ha anche depositato memoria;resiste con controricorso il M.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con i primi due motivi di ricorso, che si trattano congiuntamente perché connessi, deducendo la violazione degli art. 1742, 1362 c.c. ed il vizio di motivazione (art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.), la ricorrente lamenta che non si sia tenuto conto che la norma che regola il rapporto fonda il diritto alla provvigione sugli affari conclusi, mentre la sentenza impugnata fonda il diritto sull'essere il cliente procacciato dalla Bellis, fosse o meno già cliente del M. Rileva, poi, che la clausola contrattuale trascritta in sentenza è univoca nell'escludere che anche per i clienti diretti della M fosse pattuita una riduzione della provvigione per il procacciamento di affari.
Le censure sono fondate in parte.
Il rilievo, che oggetto del contratto sia il procacciamento di affari, e non di clienti, non impedisce che le parti nella loro autonomia individuino diritti e misura di provvigioni in relazione al tipo di cliente, sicché dal modello legale del contratto non può ricavarsi alcuna conseguenza in sede di interpretazione della clausola contrattuale.
Fondato, invece, è il rilievo che la riduzione della provvigione è, secondo la lettera del contratto, prevista solo per i contratti conclusi in zona assegnata ad agente, e non anche per i contratti conclusi con clienti diretti della preponente. Infatti dalla lettera della clausola del contratto tra D B e M ("Fatti salvi i clienti proposti dal procacciatore di affari, l'impresa si riserva il diritto di trattare affari direttamente mediante agenti con delimitazione di zona o mediante procacciatori.
Qualora il procacciatore proponga un affare in zona assegnata ad un agente, sarà stabilita di volta in volta, la provvigione spettategli") evidenzia che la riduzione della provvigione del procacciatore è prevista solo per gli affari conclusi in zona assegnata ad agente e non anche per gli affari conclusi dal procacciatore con clienti diretti della preponente. Il rilievo, contenuto nella sentenza impugnata, che anche per questi fosse possibile rinvenire una ragione per la riduzione della provvigione, non legittima una interpretazione della clausola del contratto in contrasto con la lettera, perché è giurisprudenza costante di questa Corte che l'interpretazione letterale è criterio ermeneutico primario, con la conseguenza che, se la lettera non da luogo a dubbi sul significato, essa esaurisce l'attività interpretativa e non possono adottarsi ulteriori criteri (cfr. Cass., tra le tante da ultimo, nn. 9484, 12054, 15814 del 2003).
Con il terzo motivo , denunziando la violazione e falsa applicazione degli artt. 214 e 215 c.c. ed il vizio di motivazione, la ricorrente lamenta che si sia disattesa la prova costituita da un tabulato della M contenente l'indicazione degli affari di ottobre 1998 per effetto di contestazione avvenuta solo in appello, mentre doveva applicarsi la regola che la scrittura non disconosciuta si ha per verificata. Inoltre evidenzia la illogicità della motivazione ove, premessa la regola che per gli affari conclusi con i clienti spettasse la metà della provvigione e non contestata la circostanza che per gli affari conclusi con alcuni clienti, quali la Fenice, era stata versata alla D B la provvigione ridotta, esclude poi che gli affari con detti clienti fossero stati conclusi dalla ricorrente. Anche queste censure sono fondate per quanto di ragione. La sottoscrizione ex art. 214 c.p.c. è requisito necessario di una scrittura privata. La mancanza di essa esclude l'onere del disconoscimento e che si abbia per verificata la scrittura non disconosciuta.
Tuttavia la produzione di una scrittura non sottoscritta, quale un tabulato o altro documento contabile, e l'attribuzione di essa alla controparte nel ricorso introduttivo del giudizio, determina nel convenuto l'onere ex art. 416 c.p.c. di una specifica contestazione. In mancanza di questa, che può avvenire in forma diretta od essere triplicità nelle difese in fatto dell'altra parte, il fatto diviene pacifico e su di esso non vi è necessità di prova e non può esservi contestazione nei successivi gradi del giudizio (cfr. SS.UU. n. 761 del 2002). Consegue che per statuire sull'attribuibilità al M del tabulato esibito in primo grado occorreva accertare se vi fosse stata tempestiva e specifica contestazione sulla provenienza del documento. Si deve concludere che il rilievo che il documento, non essendo sottoscritto, non poteva avere il valore di prova legale della scrittura privata, non è idoneo ad escludere ogni valore probatorio ad esso, quale quello che è possibile attribuire ad un documento contabile che proviene dall'altra parte: sicché la motivazione sul punto appare insufficiente.
Fondato è anche il rilievo di illogicità e contraddittorietà della motivazione. La D B ha agito anche per il pagamento dell'altra metà della provvigione per i clienti diretti;e non è contestato il pagamento di metà della provvigione per alcuni affari. La sentenza accerta che secondo il contratto era in questi affari dovuta per la metà, e che i testi confermano l'applicazione della regola. Poi dubita contraddittoriamente che la D B abbia procacciato questi affari con i clienti diretti per i quali ha poco prima ritenuto che sia stata pagata la provvigione ridotta.
Con il quarto motivo la ricorrente deduce la contraddittorietà della motivazione ordine agli affari di novembre e dicembre del 1998 in quanto da un canto afferma essi riguardano clienti diretti della mandante e poi afferma che mancano i dati per individuare detti affari. Lamenta, inoltre, che detta contraddizione ha inciso sull'ammissione delle prove costituite dall'ordine di esibizione di documenti e della consulenza.
La censura è inammissibile per genericità. Se la contraddizione è evidente, manca nel motivo di ricorso l'indicazione degli affari di questo periodo e delle prove documentali acquisite o da acquisire e del loro contenuto, in ordine al fatto che essi siano stati procacciati dalla D B;sicché è impedito al Collegio di valutare la decisività delle prove richieste delle quali si lamenta la mancata ammissione.
In conclusione vanno accolti nei limiti sopra indicati i primi tre motivi del ricorso e rigettato il quarto. La sentenza impugnata va cassata e rinviata per nuovo esame al giudice indicato nel dispositivo, al quale si demanda anche, ex art. 385, 3^ comma, c.p.c. di provvedere sulle spese del giudizio di Cassazione.