Cass. civ., sez. III, sentenza 16/06/2003, n. 9627

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Nell'opposizione di terzo all'esecuzione, al terzo è consentito avvalersi della prova testimoniale o di presunzioni semplici per provare il suo diritto di proprietà sui beni rinvenuti presso il debitore all'atto del pignoramento, soltanto quando appaia verosimile, in base ad un giudizio di comparazione tra la professione e il commercio rispettivamente esercitati dal terzo opponente e dal debitore, necessariamente differenti, che a cagione della diversa attività svolta i beni rinvenuti presso l'abitazione del debitore siano di proprietà del terzo ( facendo applicazione di tale principio di diritto, la S.C. ha cassato la sentenza del giudice di merito il quale aveva ritenuto utilizzabile il criterio della verosimiglianza in una ipotesi in cui il debitore pignorato e il creditore svolgevano la stessa attività commerciale nei medesimi locali).

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. III, sentenza 16/06/2003, n. 9627
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 9627
Data del deposito : 16 giugno 2003
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. N G - Presidente -
Dott. S F - rel. Consigliere -
Dott. D N L F - Consigliere -
Dott. M E - Consigliere -
Dott. M G - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COOPERATIVA ARTIGIANA DI GARANZIA ROMEO MIGLIORI S.r.l., in persona del legale rappresentante sig. B R, elettivamente domiciliata in Pescara, via Napoli n. 60, presso l'avv. G C, che la rappresenta e difende giusta delega in atti;



- ricorrente -


contro
C M, quale titolare della ditta individuale C.e.a.s.s. Tecnoservizi, elettivamente domiciliato in Roma presso la Cancelleria della Corte Suprema di Cassazione e rappresentato e difeso dall'avv. A F giusta delega in atti;



- controricorrente -


nonché C DOMENICO e DI PIETRO ROSALBA ANNA;



- intimati -


avverso la sentenza del Tribunale di Chieti n.400 del 26 ottobre 2000. Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21.2.2003 dal Relatore Cons. Dott. F S;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. V M, che ha concluso per l'accoglimento del primo motivo del ricorso, assorbiti gli altri.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Nel procedimento esecutivo promosso dalla creditrice Cooperativa Artigiana di Garanzia nei confronti di Domenico C e Rosalba D P, il 6 maggio 1996 furono pignorate in Ari, via san Pietro n. 139, delle attrezzature meccaniche delle quali Mario C rivendicò la proprietà ex art. 619 c.p.c.. Con sentenza n. 50 del 1996 il Pretore di Chieti, sezione distaccata di Ortona, accolse l'opposizione, e tale decisione, appellata dalla cooperativa, rimasta soccombente, è stata confermata dal Tribunale con la pronuncia, ora gravata.
Relativamente al luogo del pignoramento, il Tribunale ha osservato che secondo l'appellante esso consisteva in unico locale, sede della ditta debitrice, mentre secondo gli appellati al medesimo numero civico si trovavano invece due distinti locali, nei quali operavano separatamente le rispettive ditte delle parti: orbene, anche a voler accedere alla tesi dell'unicità del locale, secondo il Tribunale doveva trovare comunque applicazione l'art. 621 c.p.c., nella parte in cui stabilisce che il limite alla prova testimoniale, ed indirettamente anche a quella presuntiva, viene meno allorché in ragione della professione esercitata dal terzo sia plausibile la presenza nel locale di un bene a lui appartenente: come era in effetti plausibile nella specie, nella quale entrambi i soggetti coinvolti svolgevano ivi la medesima attività.
A prova della proprietà del bene pignorato l'opponente aveva prodotto la fattura di vendita del 1991, intercorsa tra la Co.me.la. dei fratelli C e la Ce.a.s.s. di C Mario, e la copia autenticata del registro degli acquisti della stessa Ce.a.s.s.:
orbene la fattura, in assenza di sottoscrizione ed in considerazione anche della incertezza della data, non poteva essere considerata scrittura privata ma forniva pur sempre un principio di prova scritta con valore indiziario, e, poiché era inserita nel registro degli acquisti del 1991, doveva escludersi che essa fosse stata predisposta al fine di sminuire la garanzia creditoria risalendo la registrazione ad epoca ben precedente l'esecuzione mobiliare;
i due documenti, congiuntamente valutati, fornivano "una prova presuntiva sufficientemente certa".
Non poteva ritenersi invece acquisita la prova della asserita società di fatto tra i membri della famiglia C, non essendo al riguardo sufficienti la stretta parentela e l'attività svolta nel medesimo settore.
Per la cassazione di tale decisione la cooperativa ha proposto ricorso, affidato a quattro motivi, cui C Mario resiste con controricorso. Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva. La ricorrente ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo del ricorso la ricorrente, nel dedurre la violazione dell'art. 621 c.p.c. e degli artt. 2729 secondo comma e 2697 cod. civ. nonché insufficiente motivazione, sostiene che,
diversamente da quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, nella specie - nella quale il luogo del pignoramento corrispondeva alla sede operativa della ditta individuale Comet della debitrice D P, alla residenza dell'altro debitore C Domenico ed alla sede della ditta individuale C.e.a.s.s. dell'opponente, oggi resistente - la prova presuntiva, in forza della quale i giudici del merito hanno accolto l'opposizione del terzo, era inammissibile. La censura è fondata.
Secondo quanto incensurabilmente accertato in punto di fatto dal Tribunale, "entrambi i soggetti coinvolti - e cioè, per quanto è dato intendere dal complesso della motivazione, tanto la ditta debitrice che l'opponente - svolgono la medesima attività, per cui la presenza nel laboratorio dei beni pignorati trova sicuramente in ciò una ragione giustificatrice": premessa;
giuridica dalla quale lo stesso Tribunale ha tratto che era legittimo il ricorso alla prova presuntiva, che è stata ritenuta acquisita.
Tali affermazioni in diritto si pongono in contrasto con l'art. 621 c.p.c. Per costante giurisprudenza, l'art. 513 primo comma c.p.c. -
nella parte in cui autorizza l'ufficiale giudiziario, che sia munito del titolo esecutivo e del precetto, a ricercare le cose da pignorare nella casa del debitore e negli altri luoghi a lui appartenenti - pone una presunzione juris tantum di appartenenza al debitore dei beni rinvenuti in detti luoghi.
Il terzo - compreso, a seguito della sentenza n. 143 del 1967 della Corte costituzionale, dichiarativa della illegittimità costituzionale dell'art. 622 c.p.c., il coniuge del debitore -, il quale intenda contrastare tale presunzione, deve provare documentalmente, con atto di data certa, non solo di aver acquistato il diritto sul bene pignorato, del quale si affermi titolare, in epoca anteriore al pignoramento, ma anche di aver affidato il bene stesso al debitore per un titolo non comportante il trasferimento della proprietà (vedansi, al riguardo, Cass. nn. 1975/ 90, 7564/94, 7078/97, 4222/98, 352/99, 14873/00). L'art. 621 c.p.c. - che, come è stato ripetutamente osservato, anche dalla Corte costituzionale (sent. n. 307 del 1995), mira ad impedire situazioni fraudolenti in danno del creditore - consente tuttavia al terzo di provare anche con testimoni (e, quindi, anche con presunzioni: art. 2729 secondo comma c.c.) il suo diritto sui beni pignorati allorquando l'esistenza di esso sia resa verosimile dalla professione o dal commercio esercitati dal medesimo o dal debitore.
Nella specie - nella quale non viene in considerazione l'art- 2914 n. 4 c.c. non avendo affermato il terzo di essere avente causa della
ditta debitrice - è stato escluso che fosse stata acquisita la prova documentale anzidetta: punto della decisione sul quale si è formato il giudicato non avendo il controricorrente proposto, come era suo interesse ed onere, ricorso incidentale.
Si trattava conseguentemente di accertare se potesse farsi ricorso al criterio della verosimiglianza, di cui all'ultima parte del citato art. 621, e, in caso affermativo, se l'opponente avesse o non offerto la prova, testimoniale o presuntiva, alla quale era tenuto, della rivendicata proprietà del bene pignorato.
Ritiene la Corte che la nozione di verosimiglianza, cui il legislatore ha fatto riferimento, non possa non involgere un giudizio di comparazione tra la professione o il commercio rispettivamente esercitati dal terzo opponente e dal debitore: è, in altri termini, verosimile il diritto del terzo sui beni pignorati se in tal senso deponga l'attività da lui esercitata, che sia diversa da quella del debitore.
Nella specie è stato accertato che ditta debitrice e terzo opponente esercitavano la medesima attività nello stesso locale:
talché non poteva farsi ricorso al criterio della verosimiglianza, essendo esso egualmente valido tanto per l'una che per l'altro. L'accoglimento del primo motivo comporta l'assorbimento delle altre censure e la decisione nel merito della causa ai sensi dell'art. 384 primo comma c.p.c.. Essendosi infatti formato il giudicato interno sulla mancanza della prova documentale del diritto del terzo opponente sul bene pignorato, e dovendosi escludere, sulla base degli accertamenti di fatto operati dai giudici del merito, la legittimità del ricorso alla nozione di verosimiglianza, l'opposizione del terzo C Mario non può che essere respinta.
Le diverse decisioni assunte nei due gradi di merito legittimano una parziale compensazione delle spese dell'intero giudizio, compensazione che va limitata a detti gradi. Per il presente giudizio le spese seguono invece la soccombenza.

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