Cass. pen., sez. II, sentenza 25/11/2022, n. 44892

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. II, sentenza 25/11/2022, n. 44892
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 44892
Data del deposito : 25 novembre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso proposto dal PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI LIVORNOavverso l'ordinanza resa dal Tribunale di Livorno in data 21/4/2022 -dato atto che si è proceduto a trattazione con contraddittorio cartolare ai sensi dell'art. 23, comma 8, D.L. n. 137/2020;
-udita la relazione del Consigliere A M D S -letta la requisitoria del Sost. Proc.Gen., Dott. M G, che ha concluso per l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata;
-letta la memoria difensiva a firma degli Avv.to A M e A F

CONSIDERATO IN FATTO

1.Con l'impugnata ordinanza il Tribunale di Livorno, per quanto in questa sede rileva, accoglieva l'istanza ex art. 324 cod.proc.pen. formulata nell'interesse di M F e per l'effetto annullava il sequestro e il decreto di convalida emesso dal P.m. in data 1/4/2022 limitatamente ai beni e ai documenti reperiti a seguito di perquisizione dello studio legale della ricorrente, cui ne disponeva la restituzione.Il Tribunale del riesame, dopo aver disatteso le deduzioni a sostegno delle istanze dei coindagati, in relazione alla posizione dell'Avv. M ha ritenuto sussistente la violazione delle garanzie previste dall'art. 103 cod.proc.pen. in caso di perquisizione e sequestro da eseguirsi all'interno di locali adibiti a studio legale. In particolare l'ordinanza impugnata ha argomentato, in consapevole dissenso rispetto alla prevalente giurisprudenza, che le garanzie previste ai commi terzo e quarto dell'art. 103 cod.proc.pen., in base ad un'interpretazione logica e sistematica della disposizione, debbono trovare applicazione anche nel caso di perquisizione eseguita a carico dello stesso difensore a norma del primo comma lett. a) dell'art. 103 cod.proc.pen. ovvero nell'ipotesi in cui il legale stesso risulti indagato.

2.Ha proposto ricorso per Cassazione il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Livorno deducendo la violazione dell'art. 103 cod.proc.pen. per come interpretato dal Tribunale del riesame, il quale ha ritenuto di dover fare applicazione integrale delle garanzie di libertà previste in particolare ai commi 2,3 e 4 nonostante la M rivesta lo status di persona sottoposta alle indagini. Il ricorrente, premesso che la M è indiziata di far parte di un'associazione per delinquere finalizzata alla commissione di delitti di natura fallimentare e tributaria nonché di truffe, autoriciclaggio e reimpiego di danaro di illecita provenienza, avendo messo a disposizione del sodalizio la propria attività professionale, piegandola alle esigenze illecite dei compartecipi, lamenta che l'ordinanza impugnata -pur avendo rigettato l'istanza di riesame con riguardo a/ fumus- ha ritenuto di accedere ad una rivisitazione dell'art. 103 del codice di rito, evidenziando la stretta interferenza esistente tra la condotta illecita investigata e l'attività professionale dell'indagata, la quale risulta incaricata della difesa di alcuni dei coindagati in due distinti procedimenti (nn. 3554/2015 rgnr e 3488/2019 rgnr). Su detta base, discostandosi dalla consolidata interpretazione di legittimità, ha ritenuto che in ogni caso la perquisizione presso uno studio legale ed il conseguente sequestro debbano essere operati con tutte le garanzie dell'art. 103 e che il sequestro di carte e documenti, anche se custodite in ragione di un mandato difensivo, possono essere apprese solo in presenza della motivata necessità di ricercare "oggetti specifici e non per necessità esplorative". Secondo il P.m. detta interpretazione riconosce nella sostanza la sola possibilità di sequestrare carte e documenti che costituiscono corpo di reato anche se il legale risulti sottoposto ad indagini e si pone in contrasto con gli artt. 3 e 112 Cost., fornendo uno scudo a chi abbia in animo di delinquere.dL Aggiunge ulteriormente il ricorrente che l'interpretazione accreditata dal collegio cautelare appare erronea anche sotto il profilo letterale in quanto il legislatore ha ben specificato l'ambito di applicazione delle garanzie di cui ai commi 2,3,4 dell'art. 103, norma volta a tutelare la funzione difensiva svolta, sicché è l'esistenza o meno di un incarico professionale a fornire il perimetro di operatività delle garanzie, diversamente risolvendosi la disposizione in un'irragionevole sorta di immunità penale, mentre la tutela delle prerogative della professione forense trova concreta applicazione non a priori ma ex post, al momento del vaglio della documentazione acquisita.

RITENUTO IN DIRITTO

1.Ritiene il Collegio che il ricorso non meriti accoglimento siccome infondato. Il P.m. lamenta che l'ordinanza impugnata sia pervenuta all'annullamento del sequestro disposto nei confronti della M sulla base di un'interpretazione dell'art. 103 cod.proc.pen. che si discosta dalla giurisprudenza di legittimità in quanto postula che le garanzie di libertà del difensore si estendano anche all'ipotesi di perquisizioni e conseguente sequestro nei confronti di legale indagato. E' del tutto evidente il riferimento alla giurisprudenza di legittimità secondo cui per l'esecuzione di un provvedimento di perquisizione e sequestro non occorre avvisare il Consiglio dell'ordine forense, qualora nella commissione del reato sia coinvolto anche un difensore, atteso che le guarentigie previste dall'art. 103 cod. proc. pen., non introducendo un principio immunitario di chiunque eserciti la professione legale, sono applicabili unicamente se devono essere tutelate la funzione difensiva o l'oggetto della difesa (Sez. 2, n. 32909 del 16/05/2012, Rv. 253263;n. 31177 del 16/5/2006,Rv.234858;
Sez. 5, n. 35469 del 04/06/2003, Rv. 228326). Siffatto indirizzo risulta inaugurato da Sez. 2, n. 6766 del 12/11/1998, Benini, Rv. 211914, secondo cui, in tema di sequestro da eseguirsi nell'ufficio di un difensore, qualora il mezzo di ricerca della prova venga disposto nell'ambito di un procedimento relativo ad un reato attribuito al difensore medesimo, non è necessario l'avviso al Consiglio dell'ordine forense di cui al terzo comma dell'art.103 cod. proc. pen., e ciò in quanto nella predetta ipotesi, atteso che il soggetto attivo del reato non è la persona assistita bensì una persona che esercita la professione legale, non viene in rilievo la tutela della funzione difensiva e dell'oggetto della difesa", cui è finalizzata la disposizione in esame. Nondimeno, la presenza di un orientamento di legittimità all'apparenza consolidato non esime il giudice dalla necessità di interrogarsi sulla rispondenza della regola juris così come interpretata in sede giurisprudenziale alle peculiarità del caso concreto. 3 igít) 2. Nella specie, come evidenziato dall'ordinanza impugnata, alla M si addebita la partecipazione ad un sodalizio criminoso operante dal 2013, organizzato e diretto da S Samuele e C M, i quali, in veste di amministratori di fatto o di diritto di varie società, avrebbero posto in essere una sistematica evasione delle imposte dirette, dell'Iva e dei contributi previdenziali, accumulando provviste in nero reinvestite nell'acquisto di ulteriori attività produttive. In detto contesto la M avrebbe prestato un contributo significativo alla compagine delittuosa, fornendo assistenza professionale nell'acquisto di attività commerciali, consapevole della illiceità delle provviste finanziarie utilizzate a tal fine. Dall'ordinanza impugnata emerge, altresì, che l'indagata al momento della perquisizione assisteva C e S nel procedimento penale per reati tributari iscritto al n. 3488/19 r.g.n.r. nonché C Francesco, fratello di M e anch'egli indagato per l'ipotesi associativa di cui si discorre, nel proc. n.3554/2015 r.g.n.r per reati connessi al fallimento della srl Bon fon. Siffatti processi, che per quanto consta sono ancora in corso di svolgimento, attengono fatti commessi nel periodo di presunta operatività del sodalizio e risultano ascritti a soggetti che, secondo la prospettazione accusatoria, ne erano promotori o partecipi con la conseguenza che appare del tutto affidabile la sussistenza di interferenze tra l'attività professionale dell'indagata e l'attività di ricerca della prova promossa dall'inquirente predicata dall'ordinanza impugnata.
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