Cass. pen., sez. II, sentenza 02/08/2019, n. 35442

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. II, sentenza 02/08/2019, n. 35442
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 35442
Data del deposito : 2 agosto 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sui ricorsi proposti da: G A nato a CITTANOVA il 13/10/1962 GALLUCCIO ANTONIO nato a CINQUEFRONDI il 25/06/1981 GIOVINAZZO GIROLAMO nato a CITTANOVA il 27/07/1972 avverso la sentenza del 10/10/2017 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIAvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere LUCIA AIELLI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore LUIGI BIRRITTERI che ha concluso chiedendo l'inammissibilita del ricorso. Premesso in fatto 1. G A, G A e G G, con un unico atto di impugnazione, ricorrono avvero la sentenza della Corte d'appello di Reggio Calabria del 10/10/2017 che, in riforma della sentenza del Tribunale di Palmi del 8/5/2015, ha dichiarato non doversi procedere per estinzione dei reati a loro rispettivamente ascritti ( capi A) ed F) : artt. 416 e 640 bis c.p.), residuati all'esito della declaratoria di estinzione per prescrizione degli altri reati loro a contestati, mantenendo ferma la dichiarazione di responsabilità ex artt. 10, 24, 69 D.Lgs. 231/2001 delle società " I Falegnami s.a.s " e "Great Southern Hotels s.r.l. " e relative confische.

2. Si dolgono i ricorrenti della carenza di motivazione in ordine alla mancata assoluzione, rispetto alla declaratoria di prescrizione, non essendo state prese in considerazione le doglianze difensive ed i motivi di appello, essendosi la Corte di merito, limitata ad un acritico recepimento della decisione di primo grado. In particolare assumono i ricorrenti che la sentenza della Corte d'appello poggia su materiale probatorio inutilizzabile, avuto riguardo alle dichiarazioni rese dal coimputato A A, rese in sede di interrogatorio, nell'ambito di diverso procedimento, non avendo gli imputati partecipato a quel dibattimento e non essendovi consenso alla loro utilizzazione, non potendo dette dichiarazioni accedere al processo al loro carico, né tramite la sentenza che ha definito tale diverso procedimento ex art. 238 bis c.p.p., dal momento che detta sentenza può essere utilizzata come prova dei fatti oggetto di quel processo e non di (altri) fatti, comunque acquisiti, ma estranei al processo;
né ai sensi dell'art. 512 c.p.p., trattandosi di dichiarazioni rese in altro procedimento, rispetto alle quali non vi fu consenso al loro utilizzo contro i ricorrenti. Neppure potevano essere utilizzate, secondo gli impugnanti, "le segnalazioni sospette" in tema di antiriciclaggio, formulate dagli istituti bancari e poste dalla Corte a fondamento dell'accertamento dei reati di truffa, non costituendo le stesse prova documentale della trasferimenti di denaro tra soci e società. Ad avviso dei ricorrenti, sarebbero state, invece, svalorizzate le prove addotte dalla difesa a dimostrazione della effettiva realizzazione delle opere oggetto di finanziamento e sarebbe stata travisata la prova relativa alla fittizietà delle operazioni di vendita del capannone da parte di G G in favore della " I Falegnami s.a.s." e dell'operazione riguardante la società "Great Southern Hotels s.r.l.".

3. Il secondo motivo di ricorso attiene all'omessa pronuncia relativa all'affermazione di responsabilità degli enti in base al D.Igs. 231/2011. Ritengono i ricorrenti che la Corte d'appello ha errato nel ritenere la carenza di legittimazione ad agire dei singoli soci, persone fisiche, poiché anche il singolo A_ socio dell' ente, ha un interesse diretto all'impugnazione della dichiarazione di responsabilità della società trovandosi inciso, per effetto affermazione di responsabilità ex lege 231/2001 e della relativa confisca dei beni, nel proprio patrimonio. In ogni caso, aggiungono i ricorrenti, nel caso di specie, per effetto dell'effetto estensivo dell'impugnazione (art. 587 c.p.p.), occorreva ritenere l'impugnazione dei singoli, estesa anche alla responsabilità delle società e comunque, data la dichiarazione di prescrizione, non poteva darsi luogo alle disposizioni in materia di responsabilità degli enti, né disporsi il sequestro (e poi la confisca) delle somme di denaro, giacchè trattasi di utilità definitivamente avute.

4. Infine i ricorrenti si dolgono della omessa pronuncia di assoluzione in ordine al reato associativo posto che vi era stata, in relazione ai reati fine, sentenza di proscioglimento per prescrizione, potendo configurarsi, al limite, un concorso di persone nel reato. Considerato in diritto 1. I ricorsi sono basati su motivi generici, in quanto reiterativi di doglianze già proposte in appello ed ivi adeguatamente superate, oltre che su motivi manifestamente infondati e vanno, pertanto, dichiarati inammissibili.

2. Occorre sottolineare che, nel caso di specie, ci si trova di fronte ad una sentenza di proscioglimento emessa ai sensi dell'art. 531 c.p.p., e cioè per prescrizione dei reati di cui agli artt. 416 c.p. e 640 bis, residuati all'esito del giudizio di primo grado, pertanto l'assetto motivazionale della sentenza ed i relativi motivi di impugnazione, devono essere valutati alla luce di tale esito decisorio, dovendosi qui richiamare il principio espresso dalla Sezioni Unite ( sent. n. 35490 del 28/05/2009, Rv. 244274) secondo cui "in presenza di una causa di estinzione del reato, il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell'art. 129 comma secondo, c.p.p, soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di "constatazione", ossia di percezione "ictu oculi", che a quello di "apprezzamento" e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento". In altre parole la formula di proscioglimento nel merito prevale sulla dichiarazione di improcedibilità per intervenuta prescrizione soltanto nel caso in cui sia rilevabile, con una mera attività ricognitiva, l'assoluta assenza della prova di colpevolezza a carico dell'imputato ovvero la prova positiva della sua v innocenza, e non anche nel caso di mera contraddittorietà o insufficienza della prova che richiede un apprezzamento ponderato tra opposte risultanze. ( Sez. 6, n. 10284/2014, rV. 259445). Nel caso di specie la Corte territoriale, non solo ha rilevato l'insussistenza di prove evidenti, dimostrative dell'innocenza degli imputati, ma ha anche puntualmente risposto alle specifiche doglianze difensive, in questa sede reiterate, circa l'inutilizzabilità delle prove a carico, dovendosi peraltro ribadire che nel giudizio di cassazione, relativo a sentenza che ha dichiarato la prescrizione del reato, non sono rilevabili né nullità di ordine generale, né vizi di motivazione della decisione impugnata, salvo che l'operatività della causa di estinzione del reato presupponga specifici accertamenti e valutazioni riservati al giudice di merito, nel qual caso assumerebbe rilievo pregiudiziale la nullità, in quanto funzionale alla necessaria rinnovazione del relativo giudizio (Sez. 4, n. 40799/ 2008, Rv. 241474;
Sez. 6, n. 23594/2013, Rv. 256625;
Sez. 2, n. 2545/2014 , Rv. 262277). Come anticipato, la Corte di merito ha ricostruito, sulla base del materiale probatorio assunto dal primo giudice, criticamente scrutinato, le complesse vicende societarie che hanno interessato gli odierni ricorrenti i quali, nell'arco temporale dal 1999 al 2008 si associarono tra loro e con altri soggetti non ricorrenti, allo scopo di commettere più reati di natura patrimoniale, con modalità fraudolente. Il meccanismo truffaldino, secondo la concorde ricostruzione dei giudici di merito, era caratterizzato dalla previa costituzione della società SCAM s.r.l. amministrata solo formalmente da G A, diretta in realtà dai Giovinazzo, società di comodo, priva di una reale sede legale e totalmente sprovvista di qualsiasi mezzo, che emetteva fatture per lavori eseguiti in favore di società, anch'esse riconducibili ai Giovinazzo, utilizzate per rendicontare alle banche concessionarie dei finanziamenti del Ministero dello Sviluppo economico, le spese effettuate al fine di ottenere contributi pubblici. E proprio nell'esaminare la truffa denominata Oliveto Principessa s.r.I., la Corte d'appello oltre a rilevare che la SCAM s.r.I., aveva fatturato spese per oltre 7 milioni di euro ottenendo un finanziamento di circa tre milioni di euro, pur mancando di attrezzature che potessero giustificare l'ambizioso progetto del ricorrente e denunciando in maniera sospetta, dopo l'accesso della Guardia di Finanza, il furto della documentazione contabile, ha richiamato le dichiarazioni rese da A A il quale, in altro procedimento, aveva riferito di attività lavorativa - imprenditoriale svolta per la SCAM, rivelatasi inesistente (cfr. pag. 11 della sentenza impugnata e pagg. 51 e segg. della sentenza di primo grado). La Corte di merito si è soffermata sulla relativa eccezione difensiva ed ha sottolineato che le dette dichiarazioni, non erano affette da inutilizzabilità in quanto la sentenza relativa a quel procedimento, divenuta irrevocabile, era stata acquisita come documento ex art. 234 c.p.p. e cioè come scritto rappresentativo di fatti, persone o cose, ed il giudice di merito - consapevole del fatto che l'acquisizione del documento non equivale a ritenere provato il fatto oggetto della dichiarazione incorporata nel documento legittimamente acquisito, dovendosi distinguere tra il contenuto e il contenente cioè tra il documento e la dichiarazione ( Sez. 1, n. 11488/2010, Rv. 246778;
Sez. 4 n. 12175/2016, Rv. 270384) -, ha specificato che le dichiarazioni dell'A contenute in quella sentenza - documento, costituivano prova di quanto in esse affermato non già perché transitate nel processo per mezzo della sentenza, ma ai sensi dell'art. 238 c. 3 c.p.p., in relazione agli artt. 512 e 513 c.p.p. Va chiarito, infatti, per quel che attiene all'utilizzabilità delle dichiarazioni rese in altro procedimento, che ai sensi dell'art. 238 c.p.p., comma 1 "è ammessa l'acquisizione al fascicolo del dibattimento di verbali di prove di altro procedimento penale se si tratta di prove assunte nell'incidente probatorio o nel dibattimento". È vero che il citato articolo, al comma 2 bis prevede che "nei casi previsti dai commi 1 e 2 i verbali di dichiarazioni possono essere utilizzati contro l'imputato soltanto se il suo difensore ha partecipato all'assunzione della prova";
ma tale disposizione va coordinata con quella contenuta nel successivo comma 3 del citato articolo, secondo cui "è comunque ammessa l'acquisizione della documentazione di atti che non sono ripetibili. Se la ripetizione dell'atto è divenuta impossibile per fatti o circostanze sopravvenuti, l'acquisizione è ammessa se si tratta di fatti o circostanze imprevedibili". E allora deve affermarsi che a prescindere dalla partecipazione al processo da parte dei difensori degli imputati o dal loro consenso, le dichiarazioni dell'A, riprodotte nel documento, sono state acquisite come prova dei fatti oggetto della dichiarazione stessa, essendone divenuta impossibile la ripetizione per un fatto imprevedibile e cioè a causa dell'intervenuto decesso del dichiarante, circostanza che, legittimamente, ha determinato il diverso regime probatorio e cioè la loro utilizzazione come prova dei fatti. Al riguardo va chiarito infatti che l'art. 238 c.p.p., permette alle parti di ottenere, a determinate condizioni, che siano acquisite ed utilizzate in dibattimento, le prove raccolte in altro procedimento ( penale o civile), nel rispetto del principio del contraddittorio in senso oggettivo e soggettivo ( art. 111 Cost.), avendo riguardo cioè tanto al momento della formazione della prova quanto al diritto dell'imputato a interrogare e far interrogare persone che lo accusano, tuttavia tale principio non vale in senso in senso assoluto, ma soffre di specifiche, ben individuate eccezioni, non suscettibili Lt di applicazione analogica, rimesse alla valutazione del legislatore avuto riguardo al consenso dell'imputato, all'accertata impossibilità di natura oggettiva o alla provata condotta illecita ( art. 111 comma 5 Cost.), dovendosi contemperare il principio della libera circolazione degli atti, con il diritto al contraddittorio e dunque, con riguardo alle dichiarazioni del coimputato rese in altro procedimento, è proprio la sopravvenuta imprevedibile impossibilità di ripetizione che ha consentito di collocare le sue dichiarazioni tra gli atti non suscettibili di acquisizione "condizionata" , ma utilizzabili "comunque" e tale interpretazione non solo si coordina con il disposto degli artt. 511, 512 , 513 c.p.p. richiamati dalla Corte di merito in relazione all'esigenza della verifica dell'imprevedibilità dell'impossibilità di ripetizione, ma trova positivo riscontro anche nel disposto dell'art. 526 comma 1 bis c.p.p., secondo cui la colpevolezza dell'imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi per libera scelta , si è sempre volontariamente sottratto all'esame da parte dell'imputato o del suo difensore, facendosene discendere che nel caso in cui , invece, non sia provata la volontarietà dell'assenza del teste di sottrarsi al contraddittorio, le sue dichiarazioni potranno costituire prova della colpevolezza dell'imputato ( Sez. Unite 27918/2011, Rv. 250198). In ogni caso, ha sottolineato la Corte di merito, tale portato narrativo, non ha avuto nel procedimento ad quem, un' efficacia decisiva, fungendo solo da rafforzativo di un compendio probatorio di natura documentale, dato dagli accertamenti bancari effettuati sul conto dell'A e riferiti dal teste Nicolò, che davano dimostrazione oggettiva dell'ipotesi d'accusa. Né sono stati valorizzati in termini di prova piena dei fatti, le semplici segnalazioni in materia di antiriciclaggio formulate dall'istituto bancario e costituenti, invero, solo l'incipit delle successive indagini poiché il materiale probatorio che aveva consentito di ricostruire il meccanismo truffaldino, era rappresentato da fatture, documenti contabili, assegni girocontati che consentivano di accertare la fittizietà delle operazioni commerciali poste a fondamento della truffa. Così anche per le vicende relative alla società " I Falegnami " ed all'operazione di compravendita di un capannone, la Corte d'appello, con ponderato richiamo alla sentenza di primo grado e all'esito degli accertamenti bancari ivi effettuati , ha ritenuto che gli imputati, utilizzando tale società di comodo, simulando l'acquisto di un capannone da una società di cui lo stesso G G era amministratore, nonché l'effettuazione di lavori tramite la società SCAM di cui si è detto, ottennero il contributo pubblico, a fronte di lavori pressocchè inesistenti. Lo stesso a dirsi per la società "Greath Southern Hotels" , rispetto alla quale è emersa la difformità del progetto edificatorio realizzando rispetto a quello finanziato. Il ricorso, anche in questo caso, alla società SCAM priva della capacità tecniche ed economiche per la realizzazione del progetto , gli accertamenti bancari riferiti dal teste Trovato, dimostrativi della fittizietà di pagamenti, oltre che l'emissione di fatture per operazioni inesistenti, hanno consentito di ritenere integrata la truffa a nulla rilevando che l'opera, fosse stata in parte realizzata poiché, come sottolineato dalla Corte d'appello, il finanziamento non rispondeva a tutti i requisiti di cui alla L. 488/1992 ( cfr. pag. 14 e 15 della sentenza impugnata). La motivazione della Corte d'appello risulta, dunque, nel suo complesso, più che rispondente allo standard motivazionale minimo richiesto in relazione al tipo di decisione adottata che, lo si ribadisce, comporta una mera attività di ricognizione della non ricorrenza di prove evidenti circa l'insussistenza del fatto o che l'imputato non lo ha commesso o non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato (Sez. 4, n. 40799/2008, Rv. 241474;
Sez. 2, n. 25450/2014, Rv. 262277;
Sez. 5, Sentenza n. 588/2013, Rv. 258670) .
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