Cass. civ., sez. V trib., sentenza 17/12/2014, n. 26475

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Massime1

In tema di accertamento tributario, l'abrogazione dell'obbligo di vidimazione delle scritture contabili, disposta dall'art. 8 della legge 18 ottobre 2001, n.383, non ha fatto venir meno la legittimità dell'accertamento induttivo ex art. 39, secondo comma, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, posto in essere in epoca anteriore alla sua entrata in vigore e giustificato proprio dall'omessa o falsa vidimazione, non potendo trovare applicazione il principio del "favor rei" atteso che l'accertamento induttivo non integra una sanzione (né propria né impropria), poiché la sua attivazione è rimessa ad un apprezzamento discrezionale dell'Ufficio e dà luogo ad un procedimento valutativo che non necessariamente si conclude in senso pregiudizievole per il contribuente. Massima tratta dal CED della Cassazione.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. V trib., sentenza 17/12/2014, n. 26475
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 26475
Data del deposito : 17 dicembre 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo



1. A seguito di verifica fiscale della G.d.F., a D.L. era notificato avviso di accertamento a mezzo del quale l'amministrazione finanziaria, constatata l'irregolarità formale della documentazione fiscale, segnatamente in punto di vidimazione del registro unico tenuto ai fini IVA, portante un numero di repertorio notarile non corrispondente al vero, in quanto dalle dichiarazioni rese ai verbalizzanti dal notaio era emerso che il sigillo gli era stato sottratto e che il numero di repertorio identificava il trasferimento di un automezzo, rettificava la dichiarazione IVA di detto contribuente per l'anno 1999, liquidava le maggiori imposte dovute e irrogava le corrispondenti sanzioni tributarie.

Accolto in primo grado il ricorso del contribuente sulla considerazione che l'asserita irregolarità della vidimazione non inficiava il contenuto del registro e che in ogni caso l'obbligo di vidimazione era stato abrogato a decorrere del 2001, l'appello dell'ufficio era accolto dalla CTR Sicilia con la sentenza qui impugnata, che ha confermato la legittimità dell'accertamento rilevando che, sulla base delle trascritte premesse di fatto, era stata dimostrata "con certezza che la vidimazione del registro IVA era irregolare e quindi era legittimo il ricorso all'accertamento induttivo" e che "nulla rilevavano le affermazioni della parte in merito alla circostanza che la vidimazione non era più obbligatoria dal 2001".

La cassazione di detta sentenza è ora chiesta dal D. in virtù di sette motivi di ricorso.

L'ufficio resiste con controricorso.

Motivi della decisione



2.1. Va esaminato preliminarmente in ragione della sua pregiudiziale assorbenza se fondato il quarto motivo di ricorso per mezzo del quale l'impugnante denunzia la violazione e/o falsa applicazione di legge per gli effetti dell'5021c85::LR99EA127711A74A89B38A::2012-06-26">art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c. in relazione all'art. 2909 c.c. in cui sarebbe incorso il giudice territoriale per aver ignorato, "il giudicato esterno formatosi successivamente alla conclusione del giudizio di merito", posto che in relazione alle pregresse annualità 1997 e 1998, parimenti oggetto di accertamento a seguito della verifica a cui aveva dato luogo l'atto qui opposto, la stessa sezione della CTR rispettivamente con sentenze 95/35/07 e 93/35/07, passate in giudicato, aveva rilevato a conferma delle pronunce di primo grado già favorevoli al contribuente "che i registri IVA che l'ufficio ritiene di non essere vidimati per mancanza di riconoscimento della firma da parte del notaio, al contrario, risultano vidimati" riportando la firma ed il sigillo del pubblico ufficiale vidimante.



2.2. Il motivo è infondato. Risolvendo un contrasto tutto interno alla sezione tributaria di questa Corte, le Sezioni Unite con la sentenza 13916/06 hanno affermato il principio, evidenziandone la coerenza non solo con l'oggetto del giudizio tributario, ma con la natura unitaria del tributo dettata dalla sua stessa ciclicità, secondo cui l'efficacia del giudicato, "riguardante anche i rapporti di durata, non trova ostacolo, in materia tributaria, nel principio dell'autonomia dei periodi d'imposta, in quanto l'indifferenza della fattispecie costitutiva dell'obbigazione relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si siano verificati al di fuori dello stesso, oltre a riguardare soltanto le imposte sui redditi ed a trovare significative deroghe sul piano normativo, si giustifica soltanto in relazione ai fatti non aventi caratteristica di durata e comunque variabili da periodo a periodo (ad esempio, la capacità contributiva, le spese deducibili), e non anche rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi d'imposta (ad esempio, le qualificazioni giuridiche preliminari all'applicazione di una specifica disciplina tributaria), assumono carattere tendenzialmente permanente". A questo insegnamento, che dunque come ancora precisato di recente porta a riconoscere l'efficacia del giudicato esterno "anche con riferimento alle imposte dello stesso tipo dovute per gli anni successivi solo per quanto n attiene le qualificazioni giuridiche o altri elementi preliminari all'applicazione di una specifica disciplina tributaria, correlati ad un interesse protetto avente il carattere della durevolezza, mentre non può avere alcuna efficacia vincolante quando l'accertamento relativo ai diversi anni d'imposta debba fondarsi su dati e ricostruzioni contabili diversi" (18907/11;
18002/12;
24001/13, 4631/14), si è affiancato con riguardo all'area dei tributi armonizzati un atteggiamento di maggior prudenza interpretativa (12249/10;
20029/11;
16996/12;
10781/13), volto a ridisegnare il perimetro applicativo della cosa giudicata anche in relazione a quegli stessi elementi tendenzialmente permanenti o espressivi di un carattere di durevolezza che ne giustificano altrimenti il riconoscimento, allorchè la vis expansiva che riguardo ad essi si è portati ad attribuire all'efficacia del giudicato risulti configgente con il diritto comunitario ed, in particolare, precluda la repressione dei fenomeni di abuso. Ciò in specie dopo che la Corte di Giustizia CE (Corte giust., 3.9.2009, C-2/08), sul rinvio pregiudiziale disposto nel caso Olimpiclub da questa Corte, che si era chiesta ed aveva chiesto in che misura l'autorità del giudicato fosse invocabile nelle controversie in materia IVA, si è sentita in obbligo di avvertire che "il diritto comunitario osta all'applicazione di una disposizione del diritto nazionale, come l'art. 2909 c.c., (il quale prevede che l'"accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa") in una causa vertente sull'Iva concernente un'annualità fiscale per la quale non si è ancora avuta una decisione giurisdizionale definitiva e su di una questione che, con riferimento allo stesso soggetto, sia già stata definita con autorità di cosa giudicata per un diverso periodo d'imposta, nella ipotesi in cui l'applicazione di tale giudicato esterno impedisca al giudice nazionale di prendere in considerazione le norme comunitarie in materia di pratiche abusive legate a detta imposta".



2.3. Su queste premesse, l'eccezione di giudicato sollevata dal ricorrente, si presta ad un'agevole definizione nel senso già anticipato della sua infondatezza. Quando invero non si ritenesse assorbente la considerazione che estendere l'efficacia del giudicato discendente dalla duplice sentenza dei giudici siciliani all'odierna controversia, che si ricorda trae origine da una omessa registrazione di ricavi, equivale all'effetto di legittimare una condotta che, per quanto riguarda l'IVA, sostanziandosi nell'indebita sottrazione di materia imponibile, si colloca ex se in un ambito in cui la prevalenza del diritto comunitario è fuori discussione e con essa pure la conseguente indifferenza della fattispecie ad ogni precedente vincolante che ne precluda la concreta disamina, non si potrebbe in ogni caso fare a meno di osservare che la pretesa di veder regolata l'odierna vicenda processuale sulla base dei precedenti formatisi altrove in nome della superiore efficacia della cosa giudicata non è coerente rispetto al ricostruito quadro interpretativo. Le Sezioni Unite, all'atto di decretare con la vista determinazione l'efficacia del giudicato in relazione agli "elementi costitutivi della fattispecie a carattere tendenzialmente permanente" si sono infatti date anche cura di soccorrere l'interprete nel difficile compito di sceverare nella disamina della fattispecie concreta sottoposta al suo esame, senza perseguire con ciò alcuna finalità esaustiva, questi elementi, soggetti alla naturale forza espansiva del giudicato, da "quei fatti che non abbiano caratteristica di durata e che comunque siano variabili da periodo a periodo" e che come tali, in ragione della loro ricorrente mutevolezza, risultano indifferenti all'accertamento che riguardo ad essi venga compiuto in un altro giudizio. E con un elencazione, certo esemplificativa, ma rappresentativa del carattere della stabilità o, come pure si è detto, "della durevolezza", almeno fino a quando non ne sia dimostrato il mutamento, che questi elementi debbono possedere, le Sezioni Unite hanno precisato che siffatta caratteristica è associabile ad es. alle "qualificazioni giuridiche (che individuano vere e proprie situazioni di fatto) - "ente commerciale", "ente non commerciale", "soggetto residente", "soggetto non residente", "bene di interesse storico-artistico", ecc. - assunte dal legislatore quali elementi "preliminari" per l'applicazione di una specifica disciplina tributaria e per la determinazione in concreto dell'obbligazione per una pluralità di periodi d'imposta (a valere, cioè, fino a quando quella qualificazione non sia venuta meno fattualmente - ad es. trasformazione dell'ente non commerciale in ente commerciale - o normativamente)", escludendo implicitamente che tali siano tutti quei diversi fatti che, in ragione della loro mutevolezza nel tempo o se si vuole della semplice loro incostanza, risultino privi di un carattere di tendenziale stabilità.

I giudicati siciliani, diversamente da quanto auspicato, non solo hanno riguardato gli anni di imposta 1997 e 1998 e non l'anno 1999, di cui qui si discute, sicchè la regolare vidimazioni del registro unico da essi constatata per quegli anni può al più precludere che di ciò si faccia nuovamente materia di giudizio e cioè che della regolarità della vidimazione per gli anni 1997 e 1998 non si discuta più nè qui nè altrove;
ma neppure facendo tesoro del ricordato insegnamento delle S.U. è possibile pervenire ad una diversa conclusione, poichè l'accertamento operato dai giudici territoriali, del quale qui si invoca la pregiudiziale e preclusiva assorbenza rispetto alla pretesa esercitata, non è caduto su un elemento di tendenziale stabilità della fattispecie che permetta di superare vittoriosamente lo sbarramento costituito dall'autonomia di ciascun periodo di imposta, essendo del tutto evidente che in ragione dell'allora prevista periodicità ogni vidimazione è uguale solo a sè stessa e ciò che riguardo ad essa e si accerti per un anno, ancorchè assistito dalla forza propria del giudicato, non vincola la pronuncia per un anno successivo o per un anno precedente.

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