Cass. civ., sez. III, sentenza 09/08/2007, n. 17457
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Il giudizio di rinvio avanti al giudice civile designato, che abbia luogo a seguito di sentenza resa dalla Corte di cassazione in sede penale, ai sensi dell'art. 622 cod. proc. pen. del 1989, è da considerarsi come un giudizio civile di rinvio del tutto riconducibile alla normale disciplina del giudizio di rinvio quale espressa dagli artt. 392 e ss. cod. proc. civ.
In tema di designazione da parte della Corte di cassazione del giudice di rinvio, la ragione della immodificabilità della stessa (al di fuori dell'ipotesi di un errore materiale, cui può sopperire il rimedio della correzione) e, quindi, anche della impossibilità di prospettare la non conformità a diritto di essa nel giudizio di cassazione conseguente allo svolgimento di quello di rinvio, non risiede tanto nel carattere funzionale ed inderogabile della competenza del giudice di rinvio, bensì nella circostanza che, non prevedendo il nostro ordinamento processuale civile l'impugnazione delle sentenze della Corte di cassazione, al di fuori dell'ipotesi di revocazione di cui all'art. 391-bis cod. proc. civ. (ed ora - dopo il d.lgs. n. 40 del 2006 - da quelle di revocazione ed opposizione di terzo di cui all'art. 391-ter, limitatamente alla cassazione con decisione nel merito), la designazione del giudice di rinvio, quale parte della statuizione della Cassazione, non è suscettibile di essere messa in discussione, perché su di essa, quale questione di rito, si forma nell'ambito del processo in cui è intervenuta, la cosa giudicata formale.
La disciplina emergente dagli artt. 523, comma 2 e 602, comma 4, se riguardata alla luce della norma dell'art. 78 cod. proc. pen., la quale, nel disciplinare il contenuto della dichiarazione di P.C., cioè dell'atto di proposizione della domanda civile nel processo penale, non prevede l'indicazione della somma richiesta, implica che il momento di indicazione della somma sia quello emergente dall'art. 523, comma 2, ed inoltre che la determinazione possa essere nuovamente effettuata in sede di appello. D'altro canto, poiché, quando l'azione civile è esercitata nel processo penale non si pone alcun problema di determinazione del valore agli effetti della competenza, subendo la competenza automaticamente l'attrazione di quella del giudice penale, non può trovare applicazione l'art. 14 cod. proc. civ. ove la domanda venga proposta senza alcuna indicazione della somma richiesta.
L'art 14, primo comma, cod. proc. civ. distingue fra le cause relative a somme di denaro per le quali il valore si determina in base alla somma 'indicatà e le cause relative a beni mobili per le quali esso si determina in base al valore 'dichiaratò dall'attore, e soggiunge che solo in mancanza di indicazione o di dichiarazione la causa si presume di Competenza del giudice adito. Pertanto, quando il secondo comma attribuisce al convenuto la facoltà di contestare nella prima udienza il valore dichiarato o presunto e precisa che in tal caso il giudice decide "ex actis", la possibilità di contestazione deve ritenersi riferita soltanto alle due ipotesi espressamente considerate dalle norme, vale a dire alla dichiarazione o alla presunzione, e non anche a quella della indicazione, rimasta estranea alla previsione legislativa.
Allorquando l'azione civile viene esercitata in sede penale, ancorché per una somma rientrante nell'ambito della giurisdizione equitativa del giudice di pace, poiché l'accertamento su di essa implica la pregiudiziale decisione sul fatto di reato agli effetti penali, la regola di decisione è sempre secondo diritto per la ragione della sussistenza della detta connessione per pregiudizialità con l'accertamento del reato, senza che tale regola resti esclusa qualora l'esercizio dell'azione civile avvenga davanti allo stesso giudice di pace, quale giudice penale, posto che quando esercita la giurisdizione penale il giudice di pace giudica secondo diritto. (Principio affermato dalla Suprema Corte in un caso in cui la Corte di cassazione in sede penale, nel cassare ai soli effetti civili una sentenza assolutoria dal reato di omicidio doloso aveva individuato come giudice di rinvio ai sensi dell'art. 622 cod. proc. pen. il tribunale in composizione monocratica a fronte di una domanda della P.C. di risarcimento del danno per lire una).
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FIDUCCIA Gaetano - Presidente -
Dott. PETTI Giovanni Battista - Consigliere -
Dott. FILADORO Camillo - Consigliere -
Dott. FRASCA FF - rel. Consigliere -
Dott. SCARANO Luigi Alessandro - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
TA LU, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE G CESARE 14, presso lo studio dell'avvocato VERDE GIOVANNI, che lo difende, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
TU PA, TU FF, elettivamente domiciliati in ROMA VIA MONTE ZEBIO 19, presso lo studio dell'avvocato CARLO DE PORCELLINIS, il primo difeso dall'avvocato TU FF, il secondo difeso da sè medesimo, giusta delega in atti;
- controricorrenti -
avverso la sentenza n. 90/02 del Tribunale di SANTA MARIA CAPUA VETERE, Sezione Distaccata di Aversa, emessa e depositata l'08/05/02, R.G. 695/99;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/04/07 dal Consigliere Dott. FF FRASCA;
udito l'Avvocato Giovanni VERDE;
udito l'Avvocato TU FF;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ABBRITTI Pietro, che ha concluso per l'inammissibilità e in subordine il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
p.
1. LI OL e FF, a seguito di sentenza di cassazione con rinvio ai soli effetti civili, ai sensi dell'art. 622 cod. proc. pen. per vizio di motivazione - pronunciata dalla Prima Sezione
Penale di questa Corte, sul ricorso da loro proposto ai sensi dell'art. 576 cod. proc. pen. - della sentenza con la quale la Corte d'Assise di Appello di Napoli aveva rigettato il loro appello in qualità di parti civili e quello del Pubblico Ministero, avverso la sentenza, con la quale la Corte d'Assise presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere aveva assolto DO AN dal delitto di omicidio volontario in danno della loro sorella LI NZ, riassumevano il giudizio civile avanti al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere - Sezione Distaccata di Aversa in composizione monocratica, quale giudice di rinvio designato da questa Corte nella detta sentenza. Nella citazione in riassunzione chiedevano dichiararsi il convenuto AN responsabile dell'omicidio e la condanna del medesimo al risarcimento del danno nella misura di una lira, con rinuncia alle spese del giudizio.
Nella costituzione del AN, il Tribunale, a seguito di rimessione della causa nella fase istruttoria, dopo l'assegnazione in decisione, assumeva il libero interrogatorio delle parti e, quindi, dopo avere ritenuto superflui ulteriori incombenti istruttori dapprima disposti, con sentenza dell'8 maggio 2002 accoglieva la domanda e, ritenuto responsabile dell'omicidio volontario il AN, lo condannava al risarcimento dei danno nella misura di Euro 0,01.
p.
1.1. La sentenza, dopo aver disatteso l'eccezione del AN in ordine alla sussistenza di un vincolo nel giudizio di rinvio dopo la cassazione agli effetti civili, delle statuizioni consolidatesi quanto alla responsabilità penale, ha ritenuto - sul rilievo che la cassazione disposta da questa Corte in sede penale lo era stata per vizio di motivazione addebitato alla sentenza resa in sede penale dalla Corte d'Assise d'Appello - di poter procedere ad un nuovo esame dei fatti ed in particolare, sia pure ai fini dell'azione risarcitoria per come proposta, dell'attribuibilità o meno dell'omicidio di LI NZ al AN. Vi ha, quindi, proceduto, partendo dalla enunciazione (pagine 13-15) di alcune circostanze pacifiche. Ha, quindi, osservato che non erano emersi elementi che potevano indurre a ritenere che l'omicidio fosse stato commesso a scopo di rapina o di violenza sessuale o di atti di libidine e che non risultava accertata una specifica causale del delitto, traendo la conclusione che "una probabile causale dell'efferato delitto poteva ricondursi ad un raptus omicida di un soggetto affetto da gravi patologie psichiche". Dopo di che, partendo dal rilievo che in sede penale l'imputazione a carico del AN era stata originata dal contrasto fra la versione da lui fornita nella prima fase delle indagini preliminari circa il modo in cui aveva trascorso il pomeriggio e la sera del 24 novembre 1990 e particolarmente in ordine al non essere uscito prima delle 17,20 e due testimonianze che avevano riferito che nel pomeriggio era stato visto in prossimità della casa della vittima, il Tribunale, richiamandosi direttamente alla motivazione con cui questa Corte in sede penale aveva censurato la valutazione della Corte d'Assise d'Appello circa l'incompatibilità fra l'ora presumibile del delitto e la presenza del AN in prossimità dell'abitazione della LI, ha concluso che sussisteva, invece, piena compatibilità fra l'una e l'altra.
Il Tribunale ha, di seguito, proceduto alla verifica (pagine 22 e segg.) della sussistenza di "elementi probatori e/o di indizi precisi, gravi e concordanti della colpevolezza del AN", assumendo come parametro normativo di riferimento l'art. 192 cod. proc. pen. "anche con riferimento alla regola delle presunzioni
dettata dall'art. 2729 c.c." (pagina 26) ed ha, quindi, ravvisato, con un'ampia analisi delle emergenze dell'istruzione penale, un elemento probatorio di colpevolezza a carico del AN nell'avere il medesimo - com'era risultato in sede penale - fornito un alibi falso e mendace e nell'averlo fornito in un momento in cui nessuno, se non l'omicida, avrebbe potuto conoscere l'ora del delitto e la durata della sua esecuzione, nonché nell'essere stato convalidato l'alibi dai familiari del AN nelle medesime circostanze. Il Tribunale ha, quindi, ravvisato una "ulteriore circostanza indiziante" nella presenza del AN nei pressi dell'abitazione della vittima in ora compatibile con la commissione del delitto. Successivamente (pagine 43 e ss.) ha poi rassegnato ulteriori elementi indiziari che ha qualificato "meno gravi e/o precisi ma senz'altro del tutto concordanti con quelli sin qui richiamati" e rappresentati: a) dal fatto che la porta di ingresso dell'abitazione della LI non era stata in alcun modo forzata;
b) dal fatto che i primi colpi erano stati inferti alla vittima quando si trovava nella camera da letto di spalle all'assassino;
c) dal fatto che l'accertata infissione dell'intera lama nel corpo della vittima palesava che i colpi fossero stati vibrati da soggetto dotata di notevole energia. Tutte queste circostanze inducevano a credere che la vittima conoscesse il suo assassino e gli avesse aperto il portone dopo che aveva suonato al citofono e che l'assassino avesse una certa intimità con la vittima, dato che essa gli aveva voltato le spalle mentre si trovava in camera da letto, nonché che l'assassino fosse un uomo giovane ed energico. E il AN era uomo di corporatura imponente e aveva avuto una relazione sentimentale con la vittima. La sentenza considera, poi, la circostanza che la vittima aveva scritto una lettera al AN e che costui aveva dichiarato ad alcuni amici di averla distrutta, ricavandone che il AN aveva sentimenti conflittuali nei riguardi della LI. Si preoccupa, quindi, la motivazione di svalutare due elementi che la Corte d'Assise d'Appello aveva ritenuto a discarico. Sostiene, di seguito, che l'assenza di una concreta causale del delitto suggeriva che fosse stato commesso da uno psicopatico e si sofferma sulle perizie che in sede penale erano state effettuate sulla personalità del AN, per concludere che si era evidenziata l'esistenza di gravi anomalie compatibili con la commissione del delitto.
Sulla base di una motivazione che si dipana, con l'iter qui sommariamente assunto, fino alla pagina cinquantotto, la sentenza giunge ad affermare che la responsabilità del fatto deve ascriversi al AN.
p.
2. Contro questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione il AN, sulla base di sette motivi.
Hanno resistito al ricorso i LI.
Il ricorrente ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
p.
1. Con il primo motivo di ricorso si deduce "incompetenza del giudice adito". Sulla premessa che la competenza individuata dall'art. 622 cod. proc. pen. sarebbe una competenza funzionale per saltum in unico grado, identificata per relationem con riferimento al giudice civile ordinario che sarebbe stato competente in primo grado, e che essa troverebbe giustificazione nel fatto che si sarebbero ritenuti eccessivi tre gradi di giudizio e, quindi, superfluo un grado di merito, si osserva che la relativa questione di competenza sarebbe rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio e, quindi, anche in questa sede.
Posta tale premessa, il ricorrente, richiamata giurisprudenza di questa Corte sul fatto che la competenza andrebbe determinata a prescindere da pratiche artificiose poste in essere per eludere il principio del giudice naturale, assume che nella specie gli attori avrebbero determinato artificiosamente il petitum in una lira, pur avendo, in realtà, interesse all'accertamento di una "causa petendi" consistente nell'accertamento della responsabilità del AN per l'omicidio, così determinando che la competenza civile in primo grado sarebbe stata quella del giudice di pace e quella in appello del tribunale in composizione monocratica, là dove in sede penale l'accertamento di quel fatto compete, invece, alla Corte d'assise. Sostiene, quindi, il ricorrente che, pur determinandosi il valore della cause aventi ad oggetto somme di danaro, ai sensi del combinato disposto degli artt. 10 e 14 cod. proc. civ., con riferimento alla somma richiesta dall'attore e non con riguardo all'accertamento dell'antecedente logico da eseguirsi dal giudice per decidere, salvo la possibilità che il valore dichiarato della domanda possa essere contestato, altrimenti restando fissato anche ai fini della decisione sul merito, tuttavì a, quando alla parte dichiaratamente non interessa il valore economico della pretesa azionata, perché egli ha di mira soltanto l'accertamento di quell'antecedente e, quindi, l'azione di condanna appare strumentale a tale accertamento, da farsi per pervenire alla condanna, il suddetto combinato disposto dovrebbe