Cass. civ., sez. II, sentenza 30/12/2020, n. 29924
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Testo completo
OL , 2°24 SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 10648/2019 R.G. proposto da F A, rappresentato e difeso dagli avv.ti. G n A e M T B, con domicilio eletto in Roma, Caio Mario n. 7. - RICORRENTE -contro FFtARON VITTORIO, rappresentato e difeso dall'avv. A C, con domicilio in Rovigo, Via Mazzini n. 3. -CONTRORICORRENTE- e FARON REDENDIO, RIZZATO ROSALIA, FARON ANNA NERIS, FFtARON CRISTINA. -INTIMATI- avverso la sentenza della Corte d'appello di Venezia n. 750/2016, depositata in data 31.3.2016. Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 11.11.2020 dal Consigliere G F. Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale L C, che ha concluso, chiedendo il rigetto del ricorso. FATTI DI CAUSA V F ha convenuto in giudizio dinanzi al tribunale di Rovigo la madre R R e i fratelli R, A, C e A N, esponendo che il genitore A F, deceduto in data 6.12.1999, aveva alienato l'azienda agricola Bremba per un prezzo di £. 2.690.000.000 ed aveva utilizzato parte del ricavato per acquistare immobili facenti parte di altra azienda agricola (le Frasche) mediante la stipula di due distinti atti, in data 11.1.1990, intestando i beni solo ai due figli R e A. Ha chiesto di dichiarare che le compravendite dissimulavano due donazioni indirette lesive della sua quota di legittima, di ridurre dette liberalità e di procedere alla divisione ereditaria. Si sono costituiti i convenuti, instando per il rigetto della domanda. Il tribunale, con sentenza non definitiva n. 410/2013, ha accertato la simulazione delle compravendite dell'11.1.1990, ha disposto la riduzione delle donazioni dissimulate con criterio proporzionale ed ha ordinato la prosecuzione dell'istruttoria per il compimento delle operazioni di divisione. La pronuncia è stata confermata in appello. La Corte territoriale ha stabilito che A F aveva effettivamente impiegato la somma derivante dalla vendita dell'azienda denominata Bremba per acquistare il fondo Frasche, che aveva poi intestato ai figli R ed A in violazione della quota riservata agli altri legittimari. Secondo il giudice distrettuale, le donazioni avevano ad oggetto un cespite acquistato dal de cuius per un prezzo unico e in un unico contesto, e l'intestazione ai due figli era stata richiesta non pro indiviso, ma mediante l'assegnazione di porzioni di uguale valore mediante la stipula di due atti separati proprio allo scopo di "ottenere maggior chiarezza e semplicità nelle formalità di trascrizione". La sentenza ha ritenuto che le donazioni indirette, essendo coeve, dovessero esser ridotte con criterio proporzionale ai sensi dell'art.553 c.c., anziché con criterio cronologico, come previsto dall'art. 559 c.c., essendo detta norma applicabile alle sole donazioni successive, ed ha infine escluso che V F avesse rinunciato all'azione di riduzione verso il fratello R, osservando che questi aveva reintegrato la quota di legittima dell'attore, versandogli una somma di denaro, per cui correttamente il tribunale aveva disposto la prosecuzione del giudizio nei soli confronti di Aìdo F. Per la cassazione della sentenza Aìdo F propone ricorso in sette motivi. V F resiste con controricorso. Le altre parti non hanno svolto difese. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Il primo motivo censura la violazione dell'art. 1362, comma primo, e 1350, n. 1 c.c., ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 3 c.p.c., sostenendo che la Corte di merito, violando i criteri di interpretazione letterale del contratto, abbia erroneamente interpretato i due rogiti di vendita come un unico atto, mentre trattavasi di due contratti autonomi, stipulati da parti diverse, aventi ad oggetto immobili distinti, già divisi prima della stipula, e senza previsione di un unico corrispettivo. Il secondo motivo denuncia la violazione dell'art. 112 c.p.c., ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 4 c.p.c., contestando alla sentenza di aver considerato come vere circostanze smentite dalla risultanze processuali riguardo al fatto che il fondo acquistato fosse unico, che i compratori fossero i medesimi, che avessero acquistato per quota un unico cespite, poi diviso, che fosse stato versato un unico prezzo.Il terzo motivo denuncia la violazione dell'art. 558 c.c., ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 3 c.p.c., imputando alla Corte di merito di aver ridotto le donazioni in applicazione analogica del criterio fissato dall'art. 558 c.c. che, invece, è norma di stretta interpretazione, e di aver disapplicato il criterio di cui all'art. 559 c.c., che è inderogabile, e ciò pur in presenza di donazioni successive, perfezionate nello stesso giorno ma l'una dopo l'altra, come attestato dal numero cronologico di repertorio assegnato a ciascuna di esse e dalla diversa data di registrazione. Il quarto motivo denuncia la violazione dell'art. 559 c.c., ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 3 c.p.c., per aver la sentenza applicato il criterio di riduzione proporzionale ..---é3 delle donazioni, mentre occorreva ridurre prima la donazione fatta a R F (benché questi avesse transatto la lite, versando all'attore una somma di denaro), poiché altrimenti il ricorrente avrebbe dovuto "sopportare sulla sua donazione la riduzione a favore di R R" e, solo successivamente, poteva procedersi alla riduzione della donazione di cui aveva beneficiato il ricorrente. Il quinto motivo denuncia la violazione dell'art. 809 c.c., ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 3 c.p.c., lamentando che la sentenza abbia ritenuto che le vendite effettuate dal de cuius dissimulassero due distinte donazioni indirette, mentre non vi era prova: a) che A F fosse intervenuto personalmente nella stipula, che avesse versato il prezzo di acquisto o che avesse messo precedentemente a disposizione dei figli le somme versate a titolo di corrispettivo delle vendite;b) che il de cuius avesse stipulato un contratto preliminare di acquisto per sé o per persona da nominare o un contratto a favore dei presunti donatari. Inoltre, non configurandosi una donazione degli immobili, poteva al più disporsi la collazione del solo importo delle somme poste a disposizione dei donatari. Il sesto motivo denuncia - letteralmente - l'errata interpretazione del giudicato di cui alla sentenza del giudice del lavoro n. 173/2009, ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 4 c.p.c., contestando alla Corte di merito di aver attribuito alla suddetta pronuncia il valore di giudicato sostanziale tra le parti quanto al perfezionamento delle donazioni indirette da parte di A F, mentre il tribunale si era limitato a dichiarare la cessazione della materia del contendere per intervenuta transazione sulla domanda di accertamento di una comunione tacita familiare tra le parti. Il settimo motivo denuncia la violazione dell'art. 91 c.p.c., ai sensi dell'art. 360, comma primo, n 4 c.p.c., sostenendo che, data l'infondatezza delle domande proposte da V F, quest'ultimo doveva esser condannato al pagamento delle spese di lite 2. Per ragioni di ordine logico vanno esaminati con priorità e congiuntamente, per la loro stretta connessione, il quinto ed il sesto motivo di ricorso. Le due censure sono infondate. La Corte distrettuale, senza attribuire valore di giudicato alla sentenza del Tribunale di Rovigo n. 173/2009, quanto al perfezionamento di due distinte donazioni indirette in favore dei germani F, si è limitata a tener conto, a fini probatori, delle dichiarazioni assunte in quel procedimento, riconoscendo valore confessorio alle ammissioni del ricorrente circa la provenienza delle somme utilizzate per il pagamento del prezzo degli immobili oggetto di giudizio. Dinanzi al giudice del lavoro, A F aveva, infatti, ammesso che il padre, dopo aver ceduto il Fondo Frasche tramite una articolata operazione societaria, aveva impiegato il ricavato per l'acquisto degli immobili intestati ai due figli, asserendo inoltre che questi ultimi non avevano la disponibilità di £. 850.000.000 necessarie per l'acquisto, né avevano mai fatto ricorso al credito. La sentenza ha logicamente concluso che "le oggettive circostanze dell'acquisto per ben £.
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