Cass. civ., sez. I, sentenza 19/12/2003, n. 19529

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La prescrizione del diritto a riscuotere le somme dovute a titolo di sanzione amministrativa comincia a decorrere dal momento in cui il diritto può essere fatto valere (art. 2935 cod. civ.). Tale momento, nel caso di fatti già sanzionati penalmente e successivamente depenalizzati, non può identificarsi con quello in cui la violazione è stata commessa, bensì con quello nel quale gli atti relativi pervengono alla competente autorità amministrativa, cui sono trasmessi dall'autorità giudiziaria a norma dell'art. 41 della legge 24 novembre 1981, n. 689, poiché solo dopo tale ricevimento l'amministrazione è in grado di esercitare il diritto di riscuotere la somma stabilita dalla legge a titolo di sanzione amministrativa.

In tema di depenalizzazione di illeciti relativi alla violazione della normativa sui rifiuti, l'art. 55, comma 3, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, a norma del quale, per i procedimenti penali pendenti alla data della entrata in vigore del decreto stesso, l'autorità giudiziaria, se non deve pronunciare decreto di archiviazione o sentenza di proscioglimento, dispone la trasmissione degli atti agli enti indicati nel comma 1 del medesimo articolo ai fini dell'applicazione delle sanzioni amministrative, deve essere interpretato nel senso che il legislatore delegato non ha inteso rendere lecite condotte che, nella previgente disciplina, erano sanzionate penalmente; il riferimento all'intervenuta pronuncia del decreto di archiviazione o della sentenza di proscioglimento, infatti, deve intendersi come volto ad evitare la rimessione all'autorità amministrativa di contestazioni di illeciti depenalizzati non aventi consistenza in linea di fatto, mentre negli altri casi la norma assolve la funzione di regolare in via transitoria la successione fra la norma penale e quella che configura l'illecito amministrativo, evitando che condotte, tenute nel vigore della norma incriminatrice, e successivamente depenalizzate, risultino prive di ogni sanzione (v. Corte cost. ord. n. 233 del 1999). Nè l'assoggettamento a sanzione amministrativa pecuniaria di una condotta prima sanzionata penalmente contrasta con il principio di legalità e con gli artt. 3 e 25 Cost., in quanto la differenza deontologica tra illiceità del reato e illegittimità della violazione amministrativa, di per sè giustifica, come più favorevole, l'applicazione di questa in luogo di quella, anche nel caso in cui la sanzione pecuniaria applicabile sia maggiore dell'ammenda precedente.

Premesso che, ai fini della integrazione della contravvenzione per l'omessa tenuta dei registri di carico e scarico dei rifiuti speciali pericolosi, di cui all'art. 12 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e della applicazione della relativa sanzione prevista dall'art. 52, non spiega alcuna influenza la mancata emanazione dei decreti attuativi del citato decreto legislativo, la sanzione amministrativa relativa alla omessa tenuta dei registri di carico e scarico di rifiuti pericolosi si applica anche alla omessa tenuta dei registri dei rifiuti che nel previgente quadro normativo erano classificati come tossici e nocivi, giacché l'art. 57, comma 1, del decreto legislativo n. 22 del 1997 equipara i rifiuti tossici e nocivi a quelli che, nella nuova classificazione, sono qualificati come pericolosi.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. I, sentenza 19/12/2003, n. 19529
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 19529
Data del deposito : 19 dicembre 2003

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. G O - Presidente -
Dott. R R - Consigliere -
Dott. A C - Consigliere -
Dott. S D P - Consigliere -
Dott. S P - Rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
GAROFOLI SPA in persona del legale rappresentante pro tempore, G A, elettivamente domiciliati in ROMA VIALE MEDAGLIE D'ORO 157, presso l'avvocato A P, che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato R S, giusta delega in calce al ricorso;



- ricorrenti -


contro
PROVINCIA DI TERNI, in persona del presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA G. DA

CARPI

6, presso l'avvocato F T, che la rappresenta e difende giusta delega in calce al controricorso;



- controricorrente -


avverso la sentenza n. 603/99 del Tribunale di TERNI, depositata il 17/08/99;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/04/2003 dal Consigliere Dott. S P;

udito per il ricorrente l'Avvocato P, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;

udito per il resistente l'Avvocato S, con delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. E A S che ha concluso per il rigetto del ricorso. Svolgimento del processo
Con sentenza in data 6 luglio - 17 agosto 1999, il Tribunale di Terni, in composizione monocratica, rigettava l'opposizione proposta dalla G s.p.a. avverso l'ordinanza ingiunzione emessa dalla Provincia di Terni in data 15 dicembre 1999, in relazione alla violazione dell'art. 55, comma 3, d.lgs. n. 22 del 1997. Con il ricorso in opposizione, la G s.p.a. aveva in primo luogo eccepito, ex art. 28 legge 24 novembre 1981, n. 689, la prescrizione dell'illecito contestato, rilevando che la pretesa punitiva della pubblica amministrazione, che a mezzo della polizia giudiziaria aveva emesso il verbale di contestazione il 1 marzo 1993, era stata sin dall'inizio indirizzata personalmente a G Luciano. Per le medesime ragioni, poi, dovevano ritenersi decorsi i termini per la contestazione di cui all'art. 18 legge n. 689 del 1981, essendo il G stato assolto in sede penale perché il
fatto non costituisce reato. Inoltre, l'opponente eccepiva la violazione del principio di legalità di cui all'art. 1 della legge n. 689 citata, in quanto al tempo della condotta non vi era la previsione della sanzione amministrativa applicata e oggetto di opposizione. Infine, l'opponente aveva eccepito la erroneità della formulazione della contestazione nei termini della omessa tenuta dei registri di carico e scarico dei rifiuti speciali pericolosi nocivi. Il Tribunale rigettava l'opposizione rilevando che l'ingiunzione era stata correttamente emessa nei confronti del legale rappresentante della società depositaria dei registri, e che tutte le eccezioni procedimentali trovavano giustificazione nell'invio degli atti ritualmente disposto dalla Corte di appello di Perugia con sentenza del 19 giugno 1998, a seguito della abolitio criminis introdotta dal d.lgs. n. 22 del 1997. Con riferimento alla eccepita omessa previsione della sanzione amministrativa al momento della condotta, il Tribunale riteneva l'impostazione dell'opponente fuorviante, poiché essa renderebbe impossibile, per i fatti commessi in pendenza di una qualificazione di una condotta in termini di illecito penale, ogni sanzione amministrativa per i casi di depenalizzazione. Altro, infatti, è rendere lecita una condotta, altro è sanzionarla meno intensamente, sicché doveva escludersi qualsiasi violazione del principio di legalità.
Quanto infine all'ultimo motivo di opposizione, il Tribunale, recependo l'impostazione dell'amministrazione, osservava che nell'intestazione della contestazione amministrativa, concernente la "omessa tenuta dei registri di carico e scarico dei rifiuti speciali pericolosi codici", l'espressione "codici" non doveva leggersi, come sostenuto dall'opponente, "nocivi", anche perché nello stesso atto di accertamento era contenuta la descrizione del tipo di rifiuti cui si riferiva la contestazione. Nè, concludeva il Tribunale, potrebbe mettersi in dubbio che i diluenti e i solventi organici, contenitori e carte impregnate delle stesse sostanze, classificati dal d.P.R. n.815 del 1982 come rifiuti speciali tossico - nocivi, rientrino nella
tipologia dei rifiuti speciali pericolosi, come correttamente contestato.
Avverso tale sentenza, la G s.p.a., in persona del legale rappresentante Adriano G, e questi personalmente, propongono ricorso per cassazione, affidato a tre motivi. Resiste con controricorso la Provincia di Terni.
Motivi della decisione
Con il primo motivo, i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360, n. 3, c.p.c., in relazione al disposto di cui all'art. 28 della legge n. 24 novembre 1981, 689. Poiché la contestazione della infrazione era stata effettuata il 1 marzo 1993, e poiché fino alla notifica della ordinanza ingiunzione non era stato posto in essere alcun atto interruttivo della prescrizione nei confronti della G s.p.a., l'illecito contestato dovrebbe, ai sensi del citato art. 28, ritenersi prescritto, essendo decorso il termine di cinque anni stabilito da detta disposizione. Nè potrebbe giustificarsi la mancata declaratoria dell'intervenuta prescrizione come ha fatto il Giudice di Terni, e cioè ritenendo che l'origine della ordinanza ingiunzione dovesse essere ravvisata nell'invio degli atti ritualmente disposto dalla Corte di appello di Perugia, in quanto l'art. 55, comma 2, del d.lgs. n. 22 del 1997, non preso in considerazione dalla sentenza impugnata, fa esplicito rinvio alla disciplina della legge n. 689 del 1981 e quindi anche all'art. 28, che fissa il termine prescrizionale degli illeciti amministrativi. Il motivo è infondato.
Dalla sentenza impugnata - ma la circostanza deve ritenersi incontestata anche alla luce degli scritti delle parti - emerge che alla G s.p.a. e al suo legale rappresentante è stata contestata la violazione dell'art. 52, comma 2, del decreto legislativo n. 22 del 1997, a norma del quale "chiunque omette di
tenere ovvero tiene in modo incompleto il registro di carico e scarico di cui all'art. 12., comma 1, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da lire cinque milioni a lire trenta milioni. Se il registro è relativo a rifiuti pericolosi si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da lire trenta milioni a lire centottanta milioni, nonché la sanzione amministrativa accessoria della sospensione da un mese ad un anno dalla carica rivestita dal soggetto responsabile della infrazione e dall'amministratore.....". L'obbligo di tenere i registri di carico e scarico dei rifiuti era stato esteso ai produttori di rifiuti speciali derivanti da lavorazioni industriali e artigianali, dall'art. 3, comma 5, del decreto - legge 9 settembre 1988, n. 397, convertito con
modificazioni, dalla legge 9 novembre 1988, n. 475, e sanzionato, ai sensi dell'art. 9 octies, comma 3, con la pena dell'arresto fino a sei mesi e con l'ammenda fino a lire dieci milioni.
Il decreto legislativo n. 22 del 1997 ha abrogato il decreto legge n. 397 del 1988, salvo alcune specifiche disposizioni che non
rilevano nel presente giudizio, e ha contestualmente qualificato come illecito amministrativo la violazione dell'obbligo di tenuta dei registri relativi ai rifiuti pericolosi e non, in relazione alla diversa classificazione dei rifiuti dallo stesso decreto prevista (sulla conformità della intervenuta depenalizzazione ai criteri e principi direttivi di cui all'art. 2, comma 1, lettera d), della legge di delegazione 22 febbraio 1994, n. 146, v. Corte cost., sentenza n. 456 del 1998). Contestualmente, nell'art. 55 si è previsto, da un lato (comma 1), che "fatte salve le altre disposizioni della legge 24 novembre 1981, n. 689, in materia di accertamento degli illeciti amministrativi, all'irrogazione delle sanzioni amministrative pecuniarie previste dalla presente normativa provvede la Provincia nel cui territorio è stata commessa la violazione, ad eccezione delle sanzioni previste dall'art. 50, comma 1, per le quali è competente il Comune";
dall'altro (comma 3), che, "per i procedimenti penali pendenti alla data di entrata in vigore del presente decreto l'autorità giudiziaria, se non dove pronunziare decreto di archiviazione o sentenza di proscioglimento, dispone la trasmissione degli atti agli enti indicati al comma 1, ai fini dell'applicazione delle sanzioni amministrative". Il Tribunale di Terni ha ritenuto che l'ordinanza - ingiunzione opposta trovasse il proprio fondamento nell'invio degli atti all'autorità amministrativa competente disposto dalla Corte di appello in data 19 giugno 1998, e precisamente con la sentenza adottata nei confronti del G a seguito della intervenuta abolitio criminis, ad opera del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, del reato a questi contestato. Pur senza menzionarle
espressamente, la sentenza impugnata ha fatto dunque applicazione delle disposizioni contenute nell'art. 55 del decreto legislativo dianzi citato.
E nel ritenere che l'illecito contestato non fosse prescritto per il decorso di un quinquennio dall'accertamento del fatto, il Tribunale di Terni ha implicitamente fatto corretta applicazione del principio enunciato da questa Corte, secondo cui "la prescrizione del diritto a riscuotere le somme dovute a titolo di sanzione amministrativa comincia a decorrere dal momento in cui il diritto può essere fatto valere (art. 2935 cod. civ.). Tale momento, nel caso di fatti già sanzionati penalmente e successivamente depenalizzati, non può identificarsi con quello in cui la violazione è stata commessa, bensì con quello nel quale gli atti relativi pervengono alla competente autorità amministrativa, cui sono trasmessi dall'autorità giudiziaria a norma dell'art. 41 della legge 24 novembre 1981, n. 689, perché solo dopo tale ricevimento
l'amministrazione è in grado di esercitare il diritto di riscuotere la somma stabilita dalla legge a titolo di sanzione amministrativa" (Cass., 27 aprile 1993, n. 4946). Perde conseguentemente rilievo anche l'ulteriore profilo dedotto dal ricorrente, secondo cui dalla applicazione della legge n. 689 del 1981, richiamata anche nel secondo comma dell'art. 55 del decreto legislativo n. 22 del 1997 ("avverso le ordinanze - ingiunzione
relative alle sanzioni amministrative di cui al comma 1 è esperibile il giudizio di opposizione di cui all'art. 23 della legge 24 novembre 1981, n. 689"), discenderebbe anche la operatività
della previsione di cui all'art. 28, in tema di prescrizione dell'illecito amministrativo. Contrariamente a quanto supposto dai ricorrenti, infatti, è proprio dalla applicazione di tale legge che discende, anche nel caso di specie, l'operatività del principio sopra ricordato.
Con il secondo motivo, che si articola in più profili, i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360, n. 3, c.p.c., in relazione all'art. 1 della legge n. 689 del 1981, e cioè la violazione del principio di legalità. Il fatto
contestato risulta accertato il 1 marzo 1993, mentre la sanzione applicata è quella prevista dall'art. 52, comma 2, del decreto legislativo n. 22 del 1997;
evidente sarebbe, dunque, la violazione
dell'art. 1 della legge n. 689 del 1981. Nè, si sostiene in ricorso, potrebbe trovare applicazione il disposto dell'art. 2, comma terzo, cod. pen., posto che la giurisprudenza di questa Corte
è consolidata nell'affermare che la successione di leggi disciplinata dal codice penale riguarda solo la diversa regolamentazione di due illeciti penali e non anche, in assenza di una esplicita previsione legislativa, la possibilità di applicare retroattivamente una sanzione amministrativa in luogo di quella penale originariamente prevista. Nel decreto legislativo n. 22 del 1997, inoltre, osservano i ricorrenti, non sono presenti norme
transitorie analoghe a quelle di cui agli artt. 40 e 41 della legge n. 689 del 1981, dal momento che l'art. 52, comma 3, del medesimo
decreto sarebbe una norma di puro carattere processuale. Ed ancora, sostengono i ricorrenti, la Corte di appello di Perugia avrebbe fatto una erronea applicazione dell'art. 55, comma 3. Infatti, posto che questa disposizione prevede che per i procedimenti penali pendenti alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n.22 del 1997 l'autorità giudiziaria, se non deve pronunziare decreto
di archiviazione o sentenza di proscioglimento, dispone la trasmissione degli atti agli enti indicati nel comma 1, ai fini dell'applicazione delle sanzioni amministrative, la Corte di appello, avendo assolto l'imputato, non avrebbe potuto rimettere gli atti alla provincia di Terni. Infine, si sostiene in ricorso, posto che il fatto e l'ipotesi di reato depenalizzati sono stati qualificati in modo diverso dal d.lgs. n. 22 del 1997, il quale classifica ora i rifiuti in urbani e speciali, non sarebbe più applicabile la precedente classificazione di cui al d.l. n. 397 del 1988, convertito dalla legge n. 475 del 1988.
Anche tale motivo deve essere rigettato perché infondato in tutti i profili nei quali esso si articola.
Come si è appena rilevato, l'art. 55 del decreto legislativo n. 22 del 1997 dispone che per i procedimenti penali pendenti alla data
della sua entrata in vigore "l'autorità giudiziaria, se non deve pronunziare decreto di archiviazione o sentenza di proscioglimento, dispone la trasmissione degli atti agli enti indicati nel comma 1 ai fini dell'applicazione delle sanzioni amministrative". Con tale disposizione, il legislatore delegato certamente non ha inteso rendere lecite condotte che, nella previgente normativa, erano sanzionate penalmente. Il riferimento contenuto alla pronuncia del decreto di archiviazione o alla sentenza di proscioglimento in essa contenuto, infatti, come affermato anche dalla Corte costituzionale nell'ordinanza n. 233 del 1999, deve intendersi come volto ad "evitare la rimessione all'autorità amministrativa di contestazioni di illeciti depenalizzati non aventi consistenza in linea di fatto, mentre negli altri casi la norma assolve alla funzione di regolare in via transitoria la successione fra la norma penale e quella che configura l'illecito amministrativo, evitando che condotte, tenute nel vigore della norma incriminatrice, e successivamente depenalizzate, risultino prive di ogni sanzione".
Erra dunque il ricorrente nel sostenere che, nel caso di specie, vi sarebbe stata violazione del principio di legalità. Al contrario, dalla disposizione transitoria citata si evince chiaramente la volontà del legislatore delegato di assoggettare a sanzione amministrativa le condotte per le quali, al momento della entrata in vigore del decreto legislativo, erano pendenti procedimenti penali, con la sola eccezione della insussistenza in fatto della condotta ascritta.
La sentenza impugnata, quindi, non ha fatto una errata applicazione delle disposizioni di legge, ritenendo assoggettabile a sanzione amministrativa una condotta per l'innanzi sanzionata a titolo di illecito penale. Nè può dubitarsi della legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 25 e 3 Cost., dell'art.52, comma 2, del decreto legislativo n. 22 del 1997, ove ritenuto
applicabile, in forza della disposizione transitoria di cui all'art. 55, comma 3, del medesimo decreto, come sopra interpretato, giacché, come questa Corte ha chiarito, proprio in relazione alla disposizione applicabile nel presente giudizio, "la differenza ontologica tra illiceità del reato e illegittimità della violazione amministrativa, di per sè giustifica, come più favorevole, l'applicazione di questa in luogo di quella penale. Chi ha commesso un fatto costituente reato depenalizzato dopo l'azione, è punito dalla norma a lui più favorevole, dandosi rilievo alla fattispecie come violazione amministrativa, senza violare le norme costituzionali richiamate, essendo applicabile la norma che prevede la violazione, anche se la sanzione pecuniaria applicabile sia maggiore dell'ammenda precedente, tanto più che in tal caso era prevista anche la pena detentiva" (Cass., 19 marzo 2002, n. 3979). Non è pertanto ravvisabile la denunciata violazione del principio di legalità.
Dalle considerazioni sin qui svolte, risulta altresì la infondatezza del secondo profilo del secondo motivo, con il quale viene dedotta la erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha affermato, in riferimento alla omessa previsione della sanzione amministrativa al tempo della condotta illecita, che l'impostazione dell'opponente è fuorviante, poiché, "così ragionando sarebbe impossibile, per i fatti commessi in pendenza di una qualificazione in termini di reato da parte dell'ordinamento, ogni sanzione amministrativa per i casi di depenalizzazione in tal senso. Non si potrebbe più, cioè e come è assurdo, degradare il rilievo normativo de quo da penale ad amministrativo". L'erroneità della sentenza impugnata viene ravvisata nel ricorso in ciò che il Tribunale di Terni avrebbe omesso di considerare che nel decreto legislativo n. 22 del 1997 non sarebbe presente alcuna disposizione
di contenuto analogo a quelle contenute negli articoli 40 e 41 della legge n. 689 del 1981;
ne conseguirebbe che non potrebbe trovare applicazione la disposizione sostanziale che, a seguito di depenalizzazione, configura la condotta contestata come illecito amministrativo dall'art. 52, comma 2, del decreto legislativo n. 22 del 1997. Alla luce della interpretazione dell'art. 55, comma 3, del decreto legislativo n. 22 del 1997, come disposizione volta non già a
sancire la non sanzionabilità di condotte per l'innanzi sanzionate penalmente e depenalizzate, ma a regolare in via transitoria, la successione fra la norma penale e quella che configura l'illecito amministrativo, evitando che condotte, tenute nel vigore della norma incriminatrice e successivamente depenalizzate, risultino prive di ogni sanzione (Corte cost., ord. n. 233 del 1999), discende pianamente la infondatezza del profilo in esame. Si deve solo aggiungere che questa Corte ha affermato che "anche le disposizioni della legge n. 689 del 1981 dettate, diversamente dai principi generali di cui ai primi dodici articoli, in riferimento agli specifici casi di depenalizzazione operati dalla medesima legge, possono trovare applicazione nelle depenalizzazioni previste da leggi successive, nelle quali sia ravvisabile una lacuna normativa contrastante con le loro finalità" (Cass., 9 gennaio 1996, n. 92). E, nella specie, deve senz'altro escludersi che la depenalizzazione disposta dall'art. 52, comma 2, del decreto legislativo n. 22 del 1997, accompagnata dall'abrogazione del decreto legge n. 397 del 1988, abbia la finalità di sanare i precedenti illeciti, dal
momento che le condotte prima sanzionate penalmente continuano a formare oggetto di prescrizioni assistite da una sanzione amministrativa.
Infondato è anche l'ulteriore profilo dedotto dal ricorrente, secondo cui la Corte di appello di Perugia, avendo pronunciato una sentenza di "assoluzione" non avrebbe potuto trasmettere gli atti all'amministrazione provinciale competente. In proposito, è sufficiente rilevare che quella pronuncia cm stata adottata a seguito della intervenuta depenalizzazione del reato ascritto, sicché nessuna valutazione in ordine alla sussistenza o meno del fatto contestato era stata compiuta dal giudice penale. E, come rilevato, il riferimento al decreto di archiviazione o alla sentenza di proscioglimento contenuto nell'art. 55, comma 3, del decreto legislativo n. 22 del 1997 mira esclusivamente ad escludere la
trasmissione all'autorità amministrativa degli atti relativi ad illeciti depenalizzati non aventi alcuna consistenza in linea di fatto, ma non si estende anche alle pronunce che accertino puramente e semplicemente che il fatto contestato non previsto, o non è più previsto dalla legge come reato;
in tali casi, il giudice penale deve infatti trasmettere gli atti all'autorità amministrativa per l'eventuale applicazione delle sanzioni amministrative previste in luogo delle originarie sanzioni penali.
Infondato è poi il motivo anche sotto il profilo della diversa qualificazione dei rifiuti contenuta nella disposizione sanzionatoria applicata dall'amministrazione provinciale. Dalla sentenza impugnata emerge che alla G s.p.a. e al suo legale rappresentante era stata contestata la omessa tenuta dei registri di carico e scarico dei rifiuti speciali nocivi e precisamente di "diluenti e solventi organici, contenitori e carte impregnate delle stesse sostanze".
Nella previgente normativa (art. 2 d.P.R. 10 settembre 1981, n.915), i rifiuti erano infatti classificati in "urbani, speciali,
tossici e nocivi";
in particolare, erano classificati tossici e nocivi "tutti i rifiuti che contengono o sono contaminati dalle sostanze elencate nell'allegato al presente decreto, inclusi i policlorodifenili e policlorotrifenili e loro miscele, in quantità e/o in concentrazione tali da presentare un pericolo per la salute e l'ambiente". Ai sensi dell'art. 19, poi, per i vari rifiuti tossici e nocivi, era previsto che "presso ogni impianto che produca, detenga provvisoriamente, effettui trattamenti o provveda allo stoccaggio definitivo, nonché presso la sede delle imprese di trasporto, deve essere tenuto un apposito registro di carico e scarico, con fogli numerati e bollati dall'ufficio del registro". Il decreto - legge n. 397 del 1988, convertito con modificazioni dalla legge n. 475 del 1988, ha poi esteso l'obbligo della tenuta dei registri di carico e scarico ai produttori di rifiuti speciali derivanti da lavorazioni industriali ed artigianali, con esclusione di quelli di cui al n. 3 del terzo comma dell'art. 2 del d.P.R. n.915 del 1982, n. 915 (art. 3, comma 5) e ha sanzionato con l'arresto
fino a sei mesi e con l'ammenda fino a lire dieci milioni, i legali rappresentanti delle imprese o enti che non ottemperassero agli obblighi relativi ai registri di carico e scarico (art. 9 octies). Il decreto legislativo n. 22 del 1997 ha dettato una diversa classificazione dei rifiuti. L'art. 7 dispone infatti che i rifiuti sono classificati, secondo l'origine, in rifiuti urbani e rifiuti speciali, e, secondo le caratteristiche di pericolosità, in rifiuti pericolosi e non pericolosi. L'art. 12 ha poi previsto, per i soggetti di cui all'art. 11, comma 3 (per quel che qui rileva, le imprese e gli enti che producono rifiuti pericolosi), l'obbligo di tenere un registro di carico e scarico, con fogli numerati e vidimati dall'Ufficio del registro, su cui devono annotare le informazioni sulle caratteristiche qualitative e quantitative dei rifiuti, da utilizzare ai fini della comunicazione annuale al catasto, dettando regole dettagliate in ordine alle modalità di tenuta dei registri stessi. Il comma 6, in particolare, prevede che "in attesa dell'individuazione del modello uniforme di registro di carico e scarico e degli eventuali documenti sostitutivi, nonché delle modalità di tenuta degli stessi, continuano ad applicarsi le disposizioni vigenti che disciplinano le predette modalità di tenuta dei registri". Il medesimo decreto legislativo si è poi preoccupato di dettare disposizioni transitorie per regolamentare il passaggio dalla previgente classificazione a quella da esso introdotta. L'art. 57, sotto la rubrica "disposizioni transitorie", stabilisce al comma 1 che "le norme regolamentari e tecniche che disciplinano la raccolta, il trasporto e lo smaltimento dei rifiuti restano in vigore sino all'adozione delle specifiche norme adottate in attuazione del presente decreto. A tal fine ogni riferimento ai rifiuti tossici e nocivi si deve intendere riferito ai rifiuti pericolosi".
Questa Corte ha chiarito che, ai fini della integrazione della contravvenzione per l'omessa tenuta dei registri di carico e scarico dei rifiuti speciali pericolosi di cui all'art. 12 del d.lgs. n. 22 del 1997 e della applicazione della relativa sanzione prevista
dall'art. 52, non spiega alcuna influenza la mancata emanazione dei decreti attuativi del citato decreto legislativo (Cass., 25 luglio 2001, n. 10103). Chiarito il quadro normativo, appare del tutto evidente la infondatezza del profilo di censura in esame, con il quale, muovendo dalla diversa classificazione dei rifiuti contenuta nel decreto legislativo n. 22 del 1997, si sostiene che la diversità dei
criteri posti a fondamento della nuova classificazione non consentirebbe di riferire le nuove tipologie alle precedenti, con la conseguenza che la violazione della previgente normativa non potrebbe essere sanzionata "attraverso mere congetture di riferimento". I ricorrenti omettono, infatti, di prendere in considerazione la citata disposizione transitoria di cui all'art. 57, comma 1, dalla quale emerge una equiparazione, per legge, dei rifiuti che secondo la precedente normativa erano qualificati tossici e nocivi ai rifiuti che, sulla base della nuova classificazione, sono definiti pericolosi.
Con il terzo motivo, i ricorrenti denunciano il vizio di violazione di legge, ex art. 360, n. 5, c.p.c, per carenza, contraddittorietà e vizio di motivazione. A fronte del motivo di censura con cui si deduceva la incomprensibilità della contestazione della omessa tenuta dei registri di carico e scarico dei "rifiuti speciali pericolosi codici" non potrebbe, così come ha fatto il Tribunale di Terni, ricercarsi il significato nel modulo prestampato, nel quale si dà atto che l'impresa G s.p.a. aveva omesso di registrare regolarmente operazioni di smaltimento di rifiuti che, ai sensi del d.lgs. n. 22 del 1997, sono classificati come pericolosi e nella fattispecie consistenti in diluenti e solventi e relativi involucri contaminati. Si tratta infatti, ad avviso dei ricorrenti, di una fattispecie superata nel procedimento penale di primo grado, che non sarebbe stata minimamente descritta nel capo di imputazione rimesso dalla Corte di appello alla Provincia di Terni. Quest'ultima, ha invece contestato la violazione dell'art. 52, comma 2, autonomamente, ritenendo pericolosi rifiuti che prima erano stati qualificati come speciali;
si tratterebbe quindi di una contestazione illegittima, difettando il necessario presupposto della qualificazione obiettiva del rifiuto.
Il motivo è infondato.
Premesso che la asserita mancanza di corrispondenza tra la fattispecie descritta nel capo di imputazione e la descrizione della condotta addebitata a titolo di illecito amministrativo trova giustificazione nella diversità delle norme prese in considerazione nell'uno e nell'altro procedimento, e premesso altresì che nel ricorso non si censura la sentenza impugnata per avere ritenuto sussistente l'illecito contestato con riferimento ai materiali descritti nella medesima sentenza, si deve solo rilevare che la sentenza impugnata risulta sorretta da adeguata e congrua motivazione. Deve infatti rilevarsi che, con accertamento in fatto congruamente motivato, e come tale incensurabile in sede di legittimità, il Tribunale di Terni ha ritenuto infondato il motivo di opposizione alla ordinanza - ingiunzione consistente nella dedotta "erroneità della formulazione della contestazione nei termini della omessa tenuta dei registri di carico e scarico dei rifiuti speciali pericolosi nocivi", rilevando che lo stesso "si svuota di pregnanza già leggendo l'intestazione della contestazione amministrativa come "omessa tenuta dei registri di carico e scarico dei rifiuti speciali pericolosi codici" e non "nocivi" come indicato dall'istante. Errore materiale del verbale dovuto al fatto che la compiuta descrizione del tipo di rifiuti è svolta nello stesso atto di seguito al prestampato "ha accertato quanto segue". Nè vi è reale messa in dubbio che i diluenti e solventi organici, contenitori e carte impregnate delle stesse sostanze, classificati dal d.P.R. n. 615 (recte: 915) del 1982 come rifiuti speciali tossico - nocivi, rientrano ora nella tipologia dei rifiuti speciali pericolosi. Come esattamente contestato". In sostanza, il Tribunale, in una situazione di non contestazione del tipo di rifiuti rinvenuti presso lo stabilimento della G s.p.a., ha rilevato che erroneamente in sede di opposizione era stata fatta valere la incomprensibile contestazione della omessa tenuta dei registri relativi ai rifiuti speciali pericolosi nocivi, giacché dal contesto dell'atto notificato agli opponenti emergeva chiaramente che si trattava di rifiuti speciali pericolosi, per i quali sussisteva, ai sensi dell'art. 52, comma 2, del decreto legislativo n. 22 del 1997, l'obbligo di tenuta dei registri di carico e
scarico. Si tratta, all'evidenza, di accertamento sorretto da motivazione adeguata, sicché anche il motivo di ricorso in esame deve essere dichiarato non fondato.
Il ricorso deve quindi essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo.

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