Cass. pen., sez. I, sentenza 24/09/2018, n. 41130

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. I, sentenza 24/09/2018, n. 41130
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 41130
Data del deposito : 24 settembre 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: COMMISSO COSIMO nato a SIDERNO il 06/02/1950 avverso la sentenza del 05/07/2017 della CORTE APPELLO di SALERNOvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere M B;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore M G che ha concluso chiedendo Il Proc. Gen. conclude per l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata. udito il difensore E presente l'avvocato F S del foro di LOCRI che conclude per l'annullamento della sentenza impugnata. E' presente l'avvocato C F del foro di LOCRI che si riporta ai motivi di ricorso. 74- Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 31 maggio 2015 la Corte di appello di Salerno, decidendo su rinvio dalla Corte di cassazione, che con sentenza n. 28535 del 31 maggio 2013 aveva annullato la sentenza emessa dalla Corte di appello di Catanzaro 1111 ottobre 2012, dichiarativa dell'inammissibilità dell'istanza di revisione proposta da C C in riferimento alla condanna alla pena dell'ergastolo inflittagli con sentenza della Corte di Assise di appello di Reggio Calabria il 24 luglio 1998, resa irrevocabile dalla sentenza della Corte di cassazione n. 528 del 12 maggio 1999, rigettava la domanda.

1.1 A fondamento della decisione rilevava che quanto riportato nella motivazione della sentenza della Corte di cassazione n. 528 del 1999 sul mandante del duplice omicidio Giordano-Cnte, laddove si era riferito che il delitto era stato voluto dal fratello di L C per vendicarne la morte, era frutto di un errore, in quanto nelle sentenze di merito non era stato affermato che tale soggetto fosse C C nato nel 1950, ma F C cl. 5, mentre anche nella sentenza della Corte di cassazione n. 1351 del 1998 l'autore della frase era stato individuato in C C cl. 5. 1.2 Avverso detta sentenza ha proposto ricorso il Cmisso con due atti distinti.

1.2.1 Con l'atto a firma del suo difensore ha dedotto: a) Violazione degli artt. 636 e 637 cod. proc. pen. in relazione agli artt. 526 e 631 cod. proc. pen, omessa considerazione di tutte te prove acquisite nel corso del giudizio di revisione rilevanti ai fini della dimostrazione che il condannato doveva essere prosciolto per non avere commesso i fatti. La Corte di appello, interpretando restrittivamente la decisione di annullamento, ha rigettato la domanda di revisione, limitando la propria disamina all'insussistenza della relazione di parentela tra C C (cl. 1950) e tale C L ed ignorando tutti gli altri elementi, che erano stati introdotti con la richiesta di revisione e che erano stati considerati dalla sentenza di annullamento, soffermatasi soltanto sull'aspetto più evidente che aveva suggerito quella decisione. Nessuna espressione della decisione di annullamento indicava che la verifica da compiersi nel giudizio di rinvio dovesse vertere soltanto sull'esistenza o meno del dato parentale;
se ne trae Conferma dal fatto che la Corte di Appello di Salerno, iniziato il giudizio di revisione, ha ribadito l'ammissibilità della richiesta per tutti gli episodi omicidiari, ammettendo le prove documentali già allegate alla richiesta e quelle successivamente prodotte in punto della asserita "qualità" mafiosa di C C e ha disposto la sostituzione della carcerazione del Cmisso con la detenzione domiciliare.Nel corso del precedente giudizio di merito era stato segnalato che il C C fratello di L non fosse il condannato ma l'omonimo nato del 195, ma la Corte di cassazione con la sentenza che ha reso definitiva la condanna del ricorrente ha riconosciuto l'insussistenza di tale relazione di parentela, ma aveva reso definitiva la sua condanna in quanto capo della cosca di 'ndrangheta. Con la domanda di revisione, pur ribadendo che per l'omicidio di G D e C M era stato condannato quale mandante il fratello di costui, C C (cl. 195), ha offerto numerose prove a smentita del fatto che il ricorrente fosse stato al tempo della faida con i C il "capo" della famiglia mafiosa Cmisso di Siderno, costituite da altre pronunce di assoluzione relative ad episodi delittuosi che presumevano siffatta posizione e dall'inaffidabilità del collaboratore B A, emersa da altra sentenza annullata dalla Corte di cassazione. Con la memoria integrativa del 13 giugno 2012 il ricorrente ha specificato e provato con ben cinquantun documenti che la detta posizione di capo non gli competeva e contraddiceva che in quella veste fosse il mandante degli omicidi. Nel corso del giudizio di revisione, oltre alle prove documentali, sono state acquisite, per quanto qui interessa: a) la documentazione anagrafica dell'insussistenza di alcuna relazione di parentela tra C C (cl. 1950) e C L;
b) un'intercettazione ambientale in data 16.7.2009 tra Cmisso G e D L C, nel corso della quale Cmisso G aveva attribuito a sé stesso il ruolo di "capo" della cosca di Siderno sin dai primi armi Novanta del secolo scorso, succeduto a tale B ucciso, affermazione che è valsa al Crnisso la condanna definitiva quale capo e organizzatore della famiglia mafiosa suddetta. La sentenza non ha considerato le prove acquisite e ha mal interpretato le funzioni della fase rescissoria, non considerando alcune delle ragioni poste a fondamento della domanda di revisione e limitandosi a riprendere i passaggi delle decisioni di condanna che avevano affermato la responsabilità del Cmisso quale mandante per essere il "capo" della omonima consorteria mafiosa.

1.2.2 Col ricorso presentato personalmente dal Cmisso si è lamentato: a)Violazione di norme processuali in riferimento all'art. 178, comma 1 lett. a), agli artt. 179, comma 2, e 525, comma 2, e 637, comma 1, cod. proc. pen. ed agli artt. 488, comma 2, e 477, comma 3, cod. proc. pen.. All'udienza del 29 marzo 2017, in cui esso ricorrente non era stato presente per aver rinunciato a partecipare in video conferenza, si era verificato il mutamento nella composizione del collegio per la sostituzione del presidente ed il procedimento era stato rinviato al 12 aprile 2017 con disposizione di traduzione dell'imputato in udienza;
quest'ultima udienza, per l'astensione degli avvocati, era stata rinviata al 31 maggio 2017 senza che fosse notificato il mutamento del collegio all'imputato, che non aveva ricevuto la 71, 2 notificazione di un nuovo decreto di citazione. Era stata svolta attività istruttoria per oltre due anni prima della sostituzione del presidente senza fosse stata rinnovata l'assunzione delle prove in violazione dell'art. 525 cod. proc. pen., comma 2. b) Violazione di norme processuali in relazione all'art. 179, comma 1 n. 2, cod. proc. pen.. All'imputato ed ai suoi difensori non è stata data comunicazione della disposta partecipazione dell'imputato al dibattimento in videoconferenza dopo che alla precedente udienza si era stabilita la sua presenza in aula, il che ha cagionato una violazione del diritto di difesa per quanto previsto dal D. Lgs. 28.07.1989, n. 271, art. 146-bis norme di attuazione, al comma 2. Inoltre, egli era stato condotto coattivamente nell'aula collegata in videoconferenza con la falsa comunicazione che doveva essere sentito come teste. c) Violazione di legge in relazione all'art. 37, comma 1 lett. b) e comma 2 cod. proc. pen.. Nell'udienza del 31 maggio 2017, la prima con l'imputato presente in videoconferenza dopo il mutamento del presidente, si dava atto che egli aveva "inoltrato numerose memorie";
in realtà, tra queste vi era la richiesta di ricusazione, consegnata al funzionario giudiziario presente, che la Corte di appello ha ritenuto essere priva della sottoscrizione del predetto funzionario, cosa non ascrivile ad esso ricorrente, perché i documenti erano stati consegnati in altro locale senza che egli avesse avuto la possibilità di riscontrare la apposizione o meno della firma del funzionario. E' stato violato il disposto dell'art. 37 cod. proc. pen., secondo il quale il giudice ricusato non può pronunciare, né concorrere a pronunciare sentenza sino a che non sia intervenuta l'ordinanza che dichiara inammissibile o rigetta la ricusazione. d) Violazione di legge in relazione all'art. 121 e 495, comma 2, cod. proc. pen. per non avere la Corte di appello considerato la memoria difensiva consegnata al funzionario giudiziario. e) Violazione di legge in relazione agli artt. 494 e 36 cod. proc. pen.. per non essere stato consentito all'udienza del 31 maggio 2017 ad esso ricorrente di rispondere alla domanda postagli dal precedente presidente della Corte se egli fosse stato giudicato in qualche procedimento dalla dott.ssa R. f) Violazione di legge in relazione all'art. 119, comma 2, cod. proc. pen. per non avere ricevuto l'assistenza di un interprete, di cui egli necessitava per la accentuata diminuzione dell'udito, come statuito dalla Corte Costituzionale con sentenza del 22 luglio 1999, ma era stato impedito dal presidente del collegio di esprimere tale esigenza. g) Vizio di motivazione in relazione agli artt. 526, 630, 531, 636, comma 2, 637, 627, comma 3, e 173, comma 2, disposizioni attuative del cod. proc. pen.. La Corte di appello, in violazione del disposto dell'art. 627 cod. proc. pen., ha errato nel (4 considerare le ragioni dell'annullamento, disposto dalla Suprema Corte, del provvedimento della Corte di appello di Catanzaro, riguardanti non solo l'omonimia tra C C, cl. '50 e C C, cl. '5 ed il movente vendicativo, ma anche l'assenza di una disamina nel merito di tutti gli elementi addotti con il ricorso, anche sotto il profilo oggettivo. h) Violazione di norme processuali e vizio di motivazione in relazione all'art. 191 cod. proc. pen.. La sentenza impugnata per identificare l'imputato ha fatto riferimento a quanto dichiarato dalle fonti Imola e Monza, che già la Corte di Assise di appello di Reggio Calabria con la sentenza del 24 luglio 1998 aveva ritenuto inutilizzabile: si trattava di verificare se c'era parentela tra C C,nato nel 1950 e il C C nato nel 195, quest'ultimo fratello del C L ucciso nel 1991. Il ricorrente è stato condannato alla pena dell'ergastolo, adducendo come movente che il Cnnisso L ucciso era un suo cugino, come affermato nella sentenza emessa dalla Corte di Assise di Locri dell'01 agosto 1996. Da un movente inesistente e da un errore di persona è derivato il proprio addebito. i) Violazione di legge per mancata assunzione di prove decisive. La Corte di appello riporta quanto motivava la Corte di Assise di Locri, non valutando la sua stessa richiesta di acquisizione agli atti del processo della sentenza n. 9/98 della Corte di Assise di Palmi del 17 luglio 1998, che alle pagine 924 e 925 aveva chiarito che il collaboratore B A non conosceva il C C nato nel 1950, ossia l'odierno istante;
tale emergenza era indicata nella istanza, sia come prova nuova che smentiva la conoscenza di C C classe 50 da parte del collaboratore B, sia come inconciliabilità della sentenza di condanna del 24 luglio 1998 e della sentenza del 17 luglio 1998, che dopo la sentenza emessa dalla Corte di cassazione n. 422 del 14 marzo 2001 a pag. 7 aveva motivato: "Va però rilevato in proposito che le dichiarazioni accusatorie di B A nei confronti di C C classe 50, contrariamente, a quanto affermato dalla Corte di merito, risultano totalmente sfornite di riscontro";
inoltre, si era riportato che gli altri collaboratori T e A non avevano mai fatto specifico riferimento all'istante, avendo parlato genericamente dei "Cmisso" (cioè alla famiglia Cmisso) o di C C classe 5, tanto esso ricorrente era stato mandato assolto dall'omicidio di C G. Nella richiesta di revisione non si era sostenuta la mancata identificazione di C C classe 50, ma l'assenza di parentela con C L, ucciso nel 1991 e col di lui fratello C C classe 5, la mancata residenza negli USA, dato che riguardava altra persona a nome C C, nato il 25.02.50. I) Violazione di legge per mancata assunzione di prove decisive in relazione agli artt. 190, 493, comma 2, 495, comma 2, cod. proc. pen. e dell'art. 6, par. 3 lett. D) (14 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo e del Patto Internazionale sui Diritti Civili e politici, ed all'art. 111, comma 3, della Costituzione Italiana. La Corte di appello di Salerno, come emerge a pag. 5 della sentenza impugnata, senza rispondere a quanto disposto dalla Corte di cassazione e ricadendo nello stesso errore commesso dalla Corte di appello di Catanzaro, ha respinto la richiesta formulata all'udienza del 29 marzo 2017 di acquisizione agli atti della sentenza del G.u.p. di Reggio Calabria, che aveva accertato come il capo della "società" di Siderno era tale B Domenico e non esso ricorrente, e che, dopo l'uccisione del B in data 27 dicembre 1988, tale carica era stata assunta da Cmisso G, detto "Il mastro", che si era attribuito tale ruolo. Non è stato valutato nemmeno un fatto nuovo del processo, ossia il pentimento di C G, che nel verbale di udienza del 24 febbraio 2014 a pag. 40 e ss., verbale acquisito agli atti, aveva riferito che il proprio fratello Tommaso C aveva ucciso tale "Figliomeni Vincenzo" perché lo riteneva responsabile dell'omicidio del fratello C L e che altri componenti della sua cosca avevano ucciso il capo società B Domenico, che dopo tali omicidi si erano verificati gli altri omicidi che avevano colpito la sua famiglia-cosca, tanto che egli aveva definito l'omicidio del Figliomeni un grande errore perché se non fossero successi i delitti contro lo stesso ed il B i loro familiari sarebbero transitati nel gruppo dei C. Considerato in diritto Il ricorso è fondato e merita dunque accoglimento.
Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi