Cass. pen., sez. II, sentenza 02/03/2022, n. 07503
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.
Segnala un errore nella sintesiSul provvedimento
Testo completo
la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: MARCHESAN FEDERICO ANGELO nato a PORTOGRUARO il 20/02/1978 avverso la sentenza del 20/02/2020 della CORTE APPELLO di TRIESTEvisti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere FABIO DI PISA;
lette le conclusioni scritte ai sensi dell'art. 23 co.8 D.L. n. 137/2020 formulate dal Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, nella persona di F B che ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Trieste, con sentenza del 20/02/2020, confermava la sentenza del Tribunale di Pordenone in data 02/02/2018 in forza della quale F A M era stato condannato alla pena di anni quattro di reclusione ed euro 5.000,00 per il reato di riciclaggio di denaro di provenienza fraudolenta ed era stata disposta nei suoi confronti la confisca del beni costituenti il profitto del reato sino a concorrenza di euro 150.000,00 ed ove la stessa non era possibile la confisca delle somme di denaro, dei beni e delle altre utilità nell' attuale disponibilità del M sino a concorrenza di euro 150.000,00, corrispondente al profitto del reato.I giudici territoriali, nel disattendere le censure formulate dall' imputato in ordine alla sussistenza della contestata operazione di riciclaggio, ritenevano comprovato, sulla scorta del complessivo compendio istruttorio, che l'imputato, senza concorrere nel reato ex art. 2 D.Lgs. 74/2000 di emissione di fatture per operazioni inesistenti commesso da L D in qualità di legale rappresentante della società Door 2000 s.r.I., aveva compiuto operazioni in modo da ostacolare la provenienza da delitto della somma di euro 150.000,00 ricevuta in contanti dal D. La corte di appello confermava, altresì, la disposta confisca per l'importo di euro 150.000,00 che costituiva il profitto del reato, osservando che era ininfluente che l'imputato non ne avesse goduto o ne avesse goduto solo in parte.
2. Contro la suindicata sentenza propone ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo difensore di fiducia, deducendo cinque motivi.
2.1. Con i primi quattro motivi, da esaminare congiuntamente in quanto fra loro connessi, lamenta violazione dell'art. 606 lett. e) c.p.p. in ordine alla ritenuta sussistenza dell'elemento oggettivo nonché dell'elemento soggettivo del reato di riciclaggio. Rileva che, nel caso in esame, i giudici di merito non avevano esaminato le specifiche censure- formulate con l' atto di appello ed dettagliatamente richiamate con l' odierno ricorso - con cui era stata evidenziata la inidoneità degli elementi di prova valorizzati dal giudice di primo grado a suffragare la attendibilità della deposizione resa dal testimone assistito Alessandro Dorígo ai sensi dell'art. 192 commi 3 e 4 c.p.p. e così a superare il ragionevole dubbio in merito alla provenienza delittuosa delle somme di denaro di cui al capo di imputazione, l' inutilizzabilità delle dichiarazioni del teste M.Ilo Simone Antonio relative alla asserita (ed indimostrata) provenienza dall' imputato della fattura n. 22 del 13 Marzo 2009 menzionata nel capo di imputazione, la sussistenza di una serie di elementi, erroneamente valutati ovvero non presi in esame dalla corte di appello, insufficienti a comprovare la provenienza illecita dei fondi in questione nonché il difetto di prova, oltre ogni ragionevole dubbio, dell' elemento del dolo del reato di riciclaggio in capo all' imputato.
2.2. Con il quinto motivo lamenta violazione dell'art. 606 lett. b) c.p.p. in ordine alla ritenuta operabilità della confisca per equivalente nei confronti dell'imputato. Rileva che i giudici di merito avevano omesso di indicare l'entità del vantaggio economico conseguito dal ricorrente con l'attività illecita asseritamente dallo stesso posta in essere non considerando che l'imputato non aveva percepito alcun profitto dall' operazione oggetto di imputazione come confermato dallo stesso A D.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere rigettato.
2. I primi quattro motivi, da esaminare congiuntamente in quanto fra loro connesse contengono censure in parte generiche ed aspecifiche ed in parte manifestamente infondate.
2.1. Occorre premettere che il sindacato di legittimità non ha per oggetto la revisione del giudizio di merito, bensì la verifica della struttura logica del provvedimento e non può quindi estendersi all'esame ed alla valutazione degli elementi di fatto acquisiti al processo, riservati alla competenza del giudice di merito, rispetto alla quale la Suprema Corte non ha alcun potere di sostituzione al fine della ricerca di una diversa ricostruzione dei fatti in vista di una decisione alternativa. Né, la Suprema Corte può trarre valutazioni autonome dalle prove o dalle fonti di prova, neppure se riprodotte nel provvedimento impugnato. Invero, solo l'argomentazione critica che si fonda sugli elementi di prova e sulle fonti indiziarie contenuta nel provvedimento impugnato può essere sottoposto al controllo del giudice di legittimità, al quale spetta di verificarne la rispondenza alle regole della logica, oltre che del diritto, e all'esigenza della completezza espositiva (Sez. 6, n. 40609 del 01/10/2008, Ciavarella, Rv. 241214). Deve, inoltre, essere ricordato che nella motivazione della sentenza il giudice del gravame di merito non è tenuto a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni dei suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo. Ne consegue che, in tal caso, debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr., Sez. 6, n. 49970 del 19/10/2012, Muià ed altri, Rv. 254107).
2.2. Relativamente al reato in esame va evidenziato che secondo la costante giurisprudenza della Suprema Corte il delitto di riciclaggio è un reato a forma libera attuabile anche con modalità frammentarie e progressive. E' stato, in particolare, osservato che in tema di riciclaggio, ove più siano le condotte consumative del reato, attuate in un medesimo contesto fattuale e con riferimento ad un medesimo oggetto, si configura un unico reato a formazione progressiva, che viene a cessare con l'ultima delle operazioni poste in essere (Sez. 2, n. 52645 del 20/11/2014 - dep. 18/12/2014, Montalbano e altro, Rv. 26162401), precisandosi che integra il delitto di riciclaggio il compimento di operazioni volte non solo ad impedire in modo definitivo, ma anche a rendere difficile l'accertamento della provenienza del denaro, dei beni o delle altre utilità, attraverso un qualsiasi espediente che consista nell'aggirare la libera e normale esecuzione dell'attività posta in essere. (Sez. 2, n. 3397 del 16/11/2012 - dep. 23/01/2013, A e altri, Rv. 25431401). L'elemento soggettivo del delitto di riciclaggio - secondo l'insegnamento del Supremo Collegio - è integrato dal dolo generico, che ricomprende la volontà di compiere le attività volte ad ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa di beni od altre utilità, nella consapevolezza di tale origine, e non richiede alcun riferimento a scopi di profitto o di lucro (Cass. Sez. 2^, Sentenza n. 546 del 07/01/2011 Ud. (dep.11/01/2011) Rv. 249445), precisandosi, altresì, che la norma incriminatrice del reato di riciclaggio è speciale rispetto a quella del reato di ricettazione perché richiede che il dolo si qualifichi non per una generica finalità di profitto ma per lo scopo ulteriore di far perdere le tracce dell'origine illecita (Sez. 2, n. 19907 del 19/02/2009, Abruzzese e altri, Rv. 244879). Si è pure chiarito che in tema di riciclaggio si configura il dolo nella forma eventuale quando l'agente si rappresenta la concreta possibilità, accettandone il rischio, della provenienza delittuosa del denaro ricevuto ed investito (Sez. 2, n. 8330 del 26/11/2013, dep. 2014, A e altri, Rv. 259010). Per risalente e costante giurisprudenza della Corte Suprema, da cui non si ritiene di doversi discostare, non è necessario che il delitto presupposto (rispetto sia alla ricettazione sia al riciclaggio) risulti accertato giudizialmente e, pertanto, ai fini della configurabilità del reato di riciclaggio non si richiede l'esatta individuazione e l'accertamento giudiziale del delitto presupposto, essendo sufficiente che lo stesso risulti, alla stregua degli elementi di fatto acquisiti ed interpretati secondo logica, almeno astrattamente configurabile (v. Cass. Sez. 6, Sent. n. 28715/2013 Rv. 257206;
Sez. 6, Sent. n. 495/2008, (dep 2009) Rv. 242374;
Sez. 5, Sent. n. 36940/2008, Rv. 241581;
Sez. 2, Sent. n. 546/2011, Rv. 249444;
Sez. 4 n. 11303/97, dep.
9.12.97 Rv. 209393), e che il fatto costitutivo di tale delitto non sia stato giudizialmente escluso, nella sua materialità, in modo definitivo e che il giudice procedente per il riciclaggio ne abbia incidentalmente ritenuto la sussistenza (v. Sez. 2, Sentenza n. 7795 del 19/11/2013 (dep. 19/02/2014) Rv. 259007). Ed, in particolare, è stato affermato che l'accertamento del reato di riciclaggio non richiede l'individuazione dell'esatta tipologia del delitto presupposto, né la precisa indicazione delle persone offese, essendo sufficiente che venga raggiunta la prova logica della provenienza illecita delle utilità oggetto delle operazioni compiute. (Nella fattispecie, gli indagati trasportavano nei rispettivi trolley l'ingente somma contante di 500.000,00 euro, della quale non fornivano alcuna plausibile giustificazione). (Sez. 2, n. 20188 del 04/02/2015 - dep. 15/05/2015, Charanek e altro, Rv. 26352101).
2.3. Ciò premesso in ordine al limiti del sindacato di legittimità e quanto agli elementi costituitivi del reato di riciclaggio secondo i principi fissati dalla giurisprudenza di legittimità va osservato che
udita la relazione svolta dal Consigliere FABIO DI PISA;
lette le conclusioni scritte ai sensi dell'art. 23 co.8 D.L. n. 137/2020 formulate dal Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, nella persona di F B che ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Trieste, con sentenza del 20/02/2020, confermava la sentenza del Tribunale di Pordenone in data 02/02/2018 in forza della quale F A M era stato condannato alla pena di anni quattro di reclusione ed euro 5.000,00 per il reato di riciclaggio di denaro di provenienza fraudolenta ed era stata disposta nei suoi confronti la confisca del beni costituenti il profitto del reato sino a concorrenza di euro 150.000,00 ed ove la stessa non era possibile la confisca delle somme di denaro, dei beni e delle altre utilità nell' attuale disponibilità del M sino a concorrenza di euro 150.000,00, corrispondente al profitto del reato.I giudici territoriali, nel disattendere le censure formulate dall' imputato in ordine alla sussistenza della contestata operazione di riciclaggio, ritenevano comprovato, sulla scorta del complessivo compendio istruttorio, che l'imputato, senza concorrere nel reato ex art. 2 D.Lgs. 74/2000 di emissione di fatture per operazioni inesistenti commesso da L D in qualità di legale rappresentante della società Door 2000 s.r.I., aveva compiuto operazioni in modo da ostacolare la provenienza da delitto della somma di euro 150.000,00 ricevuta in contanti dal D. La corte di appello confermava, altresì, la disposta confisca per l'importo di euro 150.000,00 che costituiva il profitto del reato, osservando che era ininfluente che l'imputato non ne avesse goduto o ne avesse goduto solo in parte.
2. Contro la suindicata sentenza propone ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo difensore di fiducia, deducendo cinque motivi.
2.1. Con i primi quattro motivi, da esaminare congiuntamente in quanto fra loro connessi, lamenta violazione dell'art. 606 lett. e) c.p.p. in ordine alla ritenuta sussistenza dell'elemento oggettivo nonché dell'elemento soggettivo del reato di riciclaggio. Rileva che, nel caso in esame, i giudici di merito non avevano esaminato le specifiche censure- formulate con l' atto di appello ed dettagliatamente richiamate con l' odierno ricorso - con cui era stata evidenziata la inidoneità degli elementi di prova valorizzati dal giudice di primo grado a suffragare la attendibilità della deposizione resa dal testimone assistito Alessandro Dorígo ai sensi dell'art. 192 commi 3 e 4 c.p.p. e così a superare il ragionevole dubbio in merito alla provenienza delittuosa delle somme di denaro di cui al capo di imputazione, l' inutilizzabilità delle dichiarazioni del teste M.Ilo Simone Antonio relative alla asserita (ed indimostrata) provenienza dall' imputato della fattura n. 22 del 13 Marzo 2009 menzionata nel capo di imputazione, la sussistenza di una serie di elementi, erroneamente valutati ovvero non presi in esame dalla corte di appello, insufficienti a comprovare la provenienza illecita dei fondi in questione nonché il difetto di prova, oltre ogni ragionevole dubbio, dell' elemento del dolo del reato di riciclaggio in capo all' imputato.
2.2. Con il quinto motivo lamenta violazione dell'art. 606 lett. b) c.p.p. in ordine alla ritenuta operabilità della confisca per equivalente nei confronti dell'imputato. Rileva che i giudici di merito avevano omesso di indicare l'entità del vantaggio economico conseguito dal ricorrente con l'attività illecita asseritamente dallo stesso posta in essere non considerando che l'imputato non aveva percepito alcun profitto dall' operazione oggetto di imputazione come confermato dallo stesso A D.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere rigettato.
2. I primi quattro motivi, da esaminare congiuntamente in quanto fra loro connesse contengono censure in parte generiche ed aspecifiche ed in parte manifestamente infondate.
2.1. Occorre premettere che il sindacato di legittimità non ha per oggetto la revisione del giudizio di merito, bensì la verifica della struttura logica del provvedimento e non può quindi estendersi all'esame ed alla valutazione degli elementi di fatto acquisiti al processo, riservati alla competenza del giudice di merito, rispetto alla quale la Suprema Corte non ha alcun potere di sostituzione al fine della ricerca di una diversa ricostruzione dei fatti in vista di una decisione alternativa. Né, la Suprema Corte può trarre valutazioni autonome dalle prove o dalle fonti di prova, neppure se riprodotte nel provvedimento impugnato. Invero, solo l'argomentazione critica che si fonda sugli elementi di prova e sulle fonti indiziarie contenuta nel provvedimento impugnato può essere sottoposto al controllo del giudice di legittimità, al quale spetta di verificarne la rispondenza alle regole della logica, oltre che del diritto, e all'esigenza della completezza espositiva (Sez. 6, n. 40609 del 01/10/2008, Ciavarella, Rv. 241214). Deve, inoltre, essere ricordato che nella motivazione della sentenza il giudice del gravame di merito non è tenuto a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni dei suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo. Ne consegue che, in tal caso, debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr., Sez. 6, n. 49970 del 19/10/2012, Muià ed altri, Rv. 254107).
2.2. Relativamente al reato in esame va evidenziato che secondo la costante giurisprudenza della Suprema Corte il delitto di riciclaggio è un reato a forma libera attuabile anche con modalità frammentarie e progressive. E' stato, in particolare, osservato che in tema di riciclaggio, ove più siano le condotte consumative del reato, attuate in un medesimo contesto fattuale e con riferimento ad un medesimo oggetto, si configura un unico reato a formazione progressiva, che viene a cessare con l'ultima delle operazioni poste in essere (Sez. 2, n. 52645 del 20/11/2014 - dep. 18/12/2014, Montalbano e altro, Rv. 26162401), precisandosi che integra il delitto di riciclaggio il compimento di operazioni volte non solo ad impedire in modo definitivo, ma anche a rendere difficile l'accertamento della provenienza del denaro, dei beni o delle altre utilità, attraverso un qualsiasi espediente che consista nell'aggirare la libera e normale esecuzione dell'attività posta in essere. (Sez. 2, n. 3397 del 16/11/2012 - dep. 23/01/2013, A e altri, Rv. 25431401). L'elemento soggettivo del delitto di riciclaggio - secondo l'insegnamento del Supremo Collegio - è integrato dal dolo generico, che ricomprende la volontà di compiere le attività volte ad ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa di beni od altre utilità, nella consapevolezza di tale origine, e non richiede alcun riferimento a scopi di profitto o di lucro (Cass. Sez. 2^, Sentenza n. 546 del 07/01/2011 Ud. (dep.11/01/2011) Rv. 249445), precisandosi, altresì, che la norma incriminatrice del reato di riciclaggio è speciale rispetto a quella del reato di ricettazione perché richiede che il dolo si qualifichi non per una generica finalità di profitto ma per lo scopo ulteriore di far perdere le tracce dell'origine illecita (Sez. 2, n. 19907 del 19/02/2009, Abruzzese e altri, Rv. 244879). Si è pure chiarito che in tema di riciclaggio si configura il dolo nella forma eventuale quando l'agente si rappresenta la concreta possibilità, accettandone il rischio, della provenienza delittuosa del denaro ricevuto ed investito (Sez. 2, n. 8330 del 26/11/2013, dep. 2014, A e altri, Rv. 259010). Per risalente e costante giurisprudenza della Corte Suprema, da cui non si ritiene di doversi discostare, non è necessario che il delitto presupposto (rispetto sia alla ricettazione sia al riciclaggio) risulti accertato giudizialmente e, pertanto, ai fini della configurabilità del reato di riciclaggio non si richiede l'esatta individuazione e l'accertamento giudiziale del delitto presupposto, essendo sufficiente che lo stesso risulti, alla stregua degli elementi di fatto acquisiti ed interpretati secondo logica, almeno astrattamente configurabile (v. Cass. Sez. 6, Sent. n. 28715/2013 Rv. 257206;
Sez. 6, Sent. n. 495/2008, (dep 2009) Rv. 242374;
Sez. 5, Sent. n. 36940/2008, Rv. 241581;
Sez. 2, Sent. n. 546/2011, Rv. 249444;
Sez. 4 n. 11303/97, dep.
9.12.97 Rv. 209393), e che il fatto costitutivo di tale delitto non sia stato giudizialmente escluso, nella sua materialità, in modo definitivo e che il giudice procedente per il riciclaggio ne abbia incidentalmente ritenuto la sussistenza (v. Sez. 2, Sentenza n. 7795 del 19/11/2013 (dep. 19/02/2014) Rv. 259007). Ed, in particolare, è stato affermato che l'accertamento del reato di riciclaggio non richiede l'individuazione dell'esatta tipologia del delitto presupposto, né la precisa indicazione delle persone offese, essendo sufficiente che venga raggiunta la prova logica della provenienza illecita delle utilità oggetto delle operazioni compiute. (Nella fattispecie, gli indagati trasportavano nei rispettivi trolley l'ingente somma contante di 500.000,00 euro, della quale non fornivano alcuna plausibile giustificazione). (Sez. 2, n. 20188 del 04/02/2015 - dep. 15/05/2015, Charanek e altro, Rv. 26352101).
2.3. Ciò premesso in ordine al limiti del sindacato di legittimità e quanto agli elementi costituitivi del reato di riciclaggio secondo i principi fissati dalla giurisprudenza di legittimità va osservato che
Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi