Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 24/05/2004, n. 9944

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 24/05/2004, n. 9944
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 9944
Data del deposito : 24 maggio 2004
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. M S - est. Presidente -
Dott. R F - Consigliere -
Dott. L A - Consigliere -
Dott. D R A - Consigliere -
Dott. T S - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
INPS - ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA VIA DELLA FREZZA

17, presso l'Avvocatura Centrale dell'Istituto, difeso dagli avvocati GIUSEPPE FABIANI, VINCENZA GORGA, UMBERTO LUIGI PICCIOTTO, giusta delega in atti;



- ricorrente -


contro
MERENDA MARIANO, LEMBO PIETRO, GERMANÒ GIUSEPPE, LA MACCHIA SALVATORE, ERMITO ANTONINO, F GETANO, S LUIGI, MILIA ANTONINO, P GUSEPPE, RAPPAZZO DOMENICO, ACCETTA STEFANO, PELLEGRINO PIETRO, LA ROCCA DOMENICO, CAMPANA NICOLÒ, CAFARELLI ANTONINO, CAFARELLI ANTONINO II, SCAFFIDI BIAGIO, CATALFAMO ANTONINO, ADAMO ANTONINO, COSTANZO PIETRO, D'A ARMANDO, D B BASILIO, LEONE ANTONINO, L BASILIO, MAGISTRO FRANCESCO, MONTAGNO CELESTINA, RANIERI BASILIO, SCAFFIDI GIUSEPPE, TORRE GIUSEPPE, ZAPPALÀ EMIDIO, MOLLICA ROSARIO, LAURIA BIAGIA, GIAIMO GIOVANNI, SPANÒ CARMELO, SPADAFORA VINCENZO, SCOLARO ANTONINO, SCARDINO ROSARIO, PAPA MARIO, MONASTRA VINCENZO, MIANO GIUSEPPE, MANCINI SALVATORE, INCOGNITO ENZO, AGNELLO SALVATORE;



- intimati -


avverso la sentenza n. 174/99 del Tribunale di MESSINA, depositata il 11/06/99 - R.G.N. 960/97;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/02/04 dal Consigliere Dott. Saverio TOFFOLI;

udito l'Avvocato TRIOLO per delega FABIANI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PALMIERI

Raffaele che ha concluso per improcedibilità nei confronti del CAMPANA NICOLA;
nel merito accoglimento.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con distinti ricorsi al Pretore di Patti, Mariano Merenda e gli altri lavoratori attuali intimati esponevano che essi erano stati dipendenti della Wagi Italia s.p.a., dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Patti dell'1^.3.1987;
che era stato loro riconosciuto il trattamento di cassa integrazione guadagni straordinaria, ai sensi dell'art. 2 l. 27.7.1979 n. 301, dal 1987 al 1990;
che l'Inps, nel corrispondere loro tale trattamento, non aveva calcolato sullo stesse le quote di t.f.r.;
che ne' da detto ente ne' dal Ministero del lavoro avevano ottenuto il pagamento di tali quote. Pertanto convenivano in giudizio questi due soggetti, perché fossero condannati in solido, oppure l'uno o l'altro per quanto di ragione, al pagamento delle quote stesse.
Si costituiva nei giudizi il Ministero del lavoro, eccependo tra l'altro che il Fondo per la mobilità della manodopera era stato soppresso e che le quote del t.f.r. maturate dopo l'entrata in vigore della l. n. 160/1988 erano state poste a carico dell'Inps. Questo istituto eccepiva a sua volta il proprio difetto di legittimazione passiva, indicando nel Ministero del lavoro il soggetto tenuto ad erogare le prestazioni.
Il Pretore poneva carico del Ministero del lavoro le somme dovute ai lavoratori per l'anno 1987 e i 3/12 di quelle maturate nel 1988, ponendo a carico dell'Inps le somme maturate per i restanti periodi. Contro tali sentenze proponevano appello separatamente sia l'Inps che il Ministero del lavoro. Il primo, tra l'altro, deduceva che nessuna legge poneva l'obbligo a suo carico, gravando quest'ultimo invece sul Ministero. Questa amministrazione, da parte sua, lamentava il rigetto dell'eccezione di prescrizione.
Si costituivano i lavoratori, i quali concludevano chiedendo il rigetto degli appelli e, in subordine, previa riproposizione di tutte le domande, insistevano per l'accoglimento di conclusioni analoghe a quelle già formulate in primo grado.
Riuniti gli appelli relativi alle stesse sentenze e poi tutti i giudizi ex art. 151 disp. att. c.p.c., il Tribunale rigettava gli appelli.
Osservava che il periodo di cassa integrazione di che trattasi (anni dal 1987 al 1990) viene regolato da due differenti norme: l'art. 21 della legge 12 agosto 1977 n. 675, che poneva la prestazione a carico
del Fondo per la mobilità della manodopera, istituito presso il Ministero del lavoro, e l'art. 8, comma 2, del d.l. 21.3.1988 n. 86, che, abrogando la precedente norma, ha nuovamente posto a carico dell'Inps (prima con addebito della cassa integrazione guadagni e poi, ex l'art. 37 della legge 9 marzo 1989 n. 88, della gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali) la quota di indennità di anzianità maturata durante il periodo d'integrazione salariale straordinaria. Ha confermato quindi la sentenza impugnata, che aveva condannato il Ministero del lavoro al pagamento delle quote maturate fino al 21.3.1988 e per il periodo successivo l'Inps, in applicazione della legge n. 88/1989. L'Inps ha proposto ricorso per Cassazione contro questa sentenza, nei confronti dei soli lavoratori, i quali non si sono costituiti. Questa Corte ordinava l'integrazione del contraddittorio nei confronti del Ministero del Lavoro, a norma dell'art. 331 c.p.c., tenuto anche conto della proposizione da parte dei lavoratori, nel giudizio di merito, di domande formulate in termini di alternatività nei confronti dell'Inps e del Ministero del lavoro.
L'Inps dava esecuzione a tale ordine e provvedeva ritualmente al deposito dell'atto di integrazione del contraddittorio, a norma dell'art. 371-bis c.p.c.. Il Ministero del lavoro non si è costituito.
MOTIVI DELLA DECISIONE
È opportuno preliminarmente rilevare che non è configurabile la nullità dell'atto di integrazione del contraddittorio ne' per la mancata intestazione dell'atto come "atto di integrazione del contraddittorio", a norma dell'art. 371-bis c.p.c., ne' per la mancanza, nella copia del ricorso introduttivo notificata ai fini dell'integrazione del contraddittorio, della pag. n. 15. Quanto al primo aspetto deve rilevarsi, da un lato, che l'art. 371- bis non commina la nullità o l'inammissibilità dell'atto per la mancata ottemperanza alla prescrizione in questione (cfr. Cass. 21 marzo 2003 n. 4144), e, dall'altro, che la finalità dell'atto era evidente, poiché unitamente a copia del ricorso originario è stata notificata copia del dispositivo dell'ordinanza di questa Corte. Del resto anche la richiesta di notificazione, sottoscritta da uno dei difensori dell'Inps, faceva espresso riferimento al provvedimento con cui era stata ordinata l'integrazione del contraddittorio nei confronti del Ministero del lavoro. L'atto era dunque idoneo al perseguimento del suo scopo (art. 156 c.p.c.). Riguardo al secondo profilo, deve osservarsi che la pag. 15 del ricorso in concreto non contiene elementi essenziali. Infatti le ultime righe del testo vero e proprio del ricorso attengono al completamento di argomentazioni non essenziali;
le conclusioni non rappresentano un elemento prescritto per il ricorso per Cassazione (art. 366 c.p.c.) e nulla aggiungono nella specie alla richiesta di annullamento della sentenza impugnata contenuta nell'epigrafe dell'atto;
la firma dell'atto è adeguatamente integrata dalla sottoscrizione apposta da uno dei difensori per l'autentica della procura in calce, contenuta nella pagina seguente (cfr. Cass. 3 novembre 1999 n. 12261 e 1^ agosto 2002 n. 11478, relative alla firma di autentica di procura speciale a margine del ricorso per Cassazione), oltre che dalla sottoscrizione finale del complessivo atto di integrazione del contraddittorio in calce alla richiesta della sua notificazione.
L'Inps preliminarmente rileva che la domanda di N C è stata oggetto di due sentenze di appello del Tribunale di Messina, la sentenza 25.9-10.11.1998 n. 357 e quella ora impugnata, e che la sentenza n. 357 è stata oggetto di ricorso per Cassazione (nei riguardi di 130 lavoratori), con atto notificato il 25.10.1999 e iscritto al n. 20167/99 r.g.c..
Osserva il collegio che non può essere dichiarata la litispendenza, perché non sono stati documentati i relativi presupposti (anteriore proposizione di un'altra causa avente lo stesso oggetto e attualità della contemporanea pendenza di due giudizi). In effetti, la parte che eccepisce la litispendenza ha l'onere di dimostrare non solo l'esistenza, ma anche la persistenza, fino all'udienza di discussione, pur nella fase di giudizio di legittimità, delle condizioni per l'applicabilità dell'art. 39 c.p.c., perché la questione deve esser decisa con riguardo alla situazione processuale esistente al momento della relativa pronuncia, e dunque avuto riguardo anche agli eventi processuali sopravvenuti. Pertanto l'eccipiente deve produrre la relativa idonea documentazione anche in cassazione (Cass. 7 marzo 2001 n. 3340). Con il primo motivo di ricorso lo stesso istituto deduce violazione dell'art. 8, commi 2 e 8, del d.l. 21 marzo 1988 n. 86, nel testo risultante dalla legge di conversione 20 maggio 1988 n. 160, in relazione all'art. 360 n. 3 e 5, C.P.C..
Osserva che l'abrogazione, da parte dell'art. 8, comma 2, del d.l. n. 86/1988 (così come convertito), delle norme che ponevano a carico
del Fondo per la mobilità della manodopera gli oneri per le quote di t.f.r. in relazione a fattispecie come quella in esame (art. 21, commi 5 e 6, della l. n. 675/1977) e la contestuale conferma delle disposizioni in materia di cui all'art. 2, secondo comma, della legge 8 agosto 1972 n. 464, non hanno efficacia retroattiva, come del resto
riconosciuto dal Tribunale di Messina. In realtà tale abrogazione ha effetto, giusta l'art. 8, ottavo comma, solo con riferimento alle domande di integrazione salariale presentate successivamente alla data di entrata in vigore del decreto (22 marzo 1988) e per i relativi periodi che siano successivi alla predetta data. Nella specie il primo decreto di ammissione era del 18.8.1987 e quindi anteriore all'entrata in vigore della nuova disciplina e, in realtà, la disciplina che pone a carico del Fondo suddetto le quote del t.f.r. è applicabile all'intero periodo continuativo di integrazione salariale per cui è causa.
Con il secondo motivo deduce violazione del principio generale dell'unicità del trattamento straordinario di integrazione salariale.
Ribadisce le tesi di cui al precedente motivo, osservando che il Tribunale aveva errato a ritenere nella specie applicabile per un periodo finale del trattamento di cassa integrazione un regime di responsabilità per il t.f.r. diverso da quello iniziale, poiché deve ritenersi errata una visione atomistica che scinda l'intervento assistenziale in tanti periodi quanti risultano dalla decretazione ministeriale di conferimento delle prestazioni. Infatti, dal complesso della disciplina in materia si evince un principio di unicità del trattamento straordinario di integrazione salariale. In particolare varie disposizioni di legge configurano detto trattamento quale unica e unitaria provvidenza, complessivamente utile a fini diversi, e a un periodo unitario fa riferimento anche l'art. 2 della l. n. 464/1972 quanto alla relativa quota di trattamento di fine
rapporto di lavoro.
I due motivi, che vengono esaminati congiuntamente, stante la loro connessione, sono fondati.
Questa Corte ha già esaminato le medesime questioni oggi riproposte e ha ritenuto che l'art. 8, 2^ comma, d.l. n. 86/1988, "invertito con modificazioni dalla l. n. 160/1988, che ha abrogato l'art. 21,5 comma, l. n. 675/1977, che poneva a carico del fondo per la mobilità
della manodopera le quote di indennità di anzianità maturate durante il periodo di fruizione della c.i.g.s. (cassa integrazione guadagni straordinaria) da parte di lavoratori non rioccupati nella stessa azienda al termine di detto periodo, per l'impossibilità da parte dell'azienda di mantenere il livello occupazionale (disposizione applicabile anche, come nella specie, ai lavoratori di aziende industriali fallite, collocati in c.i.g.s. a norma dell'art. 25, 7^ comma, l. n. 675/1977, comma inserito dall'art. 2 l. n. 301/1979), trova applicazione, come espressamente disposto dalla
disposizione transitoria dell'8 comma del citato art. 8, solo relativamente alle domande di integrazione salariale presentate successivamente alla data di entrata in vigore del decreto legge;
ne consegue l'applicabilità della disciplina previgente, quanto all'individuazione del soggetto tenuto al pagamento del t.f.r., con riferimento a tutti i periodi di cassa integrazione dipendenti da una iniziale domanda di ammissione alla c.i.g.s. antecedente all'entrata in vigore del decreto legge, poiché la disposizione transitoria persegue lo scopo di assoggettare alla medesima disciplina l'intero rapporto costituito a seguito dell'accoglimento con provvedimento amministrativo della domanda iniziale, e le richieste successive, dirette alla conferma del trattamento, hanno una diversa e minore portata, intervenendo nell'ambito di un rapporto già costituito (Cass. 23 marzo 2002 n. 4171, 10 aprile 2002 n. 9001, 10 luglio 2002 n. 10040, 24 luglio 2002 n. 10846). Conseguentemente il giudice di merito ha errato nel ritenere che l'obbligo di pagamento fosse a carico del Ministero del Lavoro solo per il periodo anteriore alla entrata in vigore della nuova normativa, senza tenere conto che, trattandosi di uno stesso intervento complessivo della cassa integrazione, rimaneva applicabile la regolamentazione previgente.
Il ricorso deve dunque essere accolto. Cassata la sentenza impugnata, non essendo necessari ulteriori accertamenti, la causa può essere decisa nel merito, con il rigetto della domanda proposta nei confronti dell'Inps.
Deve precisarsi che la presente pronuncia non spiega effetto rispetto alla statuizione del giudice di merito sulle domande proposte dai lavoratori nei confronti del Ministero del lavoro. Infatti, Cass., Sez. un., 29 luglio 2002 n. 11202, pur ritenendo che è configurabile un litisconsorzio necessario processuale in caso di domanda proposta alternativamente nei confronti di due diversi convenuti, ha precisato che l'attore, che sia appellato da quello dei convenuti ritenuto obbligato dal giudice di primo grado, ha l'onere, a norma dell'art. 346 c.p.c., di riproporre la domanda nei confronti dell'altro
soggetto convenuto in primo grado. E Cass. 5 marzo 2003 n. 3261 ha ulteriormente precisato che nel giudizio di Cassazione, poiché non è applicabile l'art. 346 c.p.c. e le pretese della parte vincitrice in secondo grado anche implicitamente non accolte debbono essere fatte valere attraverso il ricorso incidentale di cui all'art. 371 c.p.c., in ipotesi di domanda soggettivamente alternativa, la parte,
che in grado d'appello abbia ottenuto l'accoglimento nei confronti di uno dei convenuti in giudizio, impedisce il passaggio in giudicato della pronuncia di assoluzione dell'altro convenuto solo attraverso la proposizione di un ricorso incidentale per Cassazione che soddisfi i requisiti della tempestività, dell'esposizione sommaria dei fatti e della mera espressione della volontà di insistere nella pretesa di condanna, inizialmente formulata.
Nulla per le spese dell'intero giudizio tra l'Inps e i lavoratori a norma dell'art. 152 disp. att. c.p.c. nel testo anteriore a quello di cui all'art. 42, comma 11, del d.l. 30 settembre 2003 n. 269, convertito con modificazioni, nella specie inapplicabile ratione temporis. Vi sono giusti motivi per compensare le spese dell'intero giudizio tra l'Inps e il Ministero del lavoro.

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