Cass. civ., sez. I, sentenza 23/03/2004, n. 5743

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È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., dell'art. 145, comma 6 - ora comma 7, a seguito della sostituzione operata dal d.lgs. n. 342 del 1999 -, del d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385 (testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), nella parte in cui prevede, in ordine al procedimento di reclamo dinanzi alla Corte d'appello di Roma contro il decreto ministeriale irrogativo delle sanzioni amministrative di cui al precedente art. 144, la forma del rito camerale e la definizione del giudizio con decreto motivato anziché con sentenza, così impedendo la proponibilità del ricorso ordinario per cassazione - con possibilità di denuncia anche dei vizi di motivazione -, in luogo di quello ex art. 111 Cost. Da un lato, infatti, il rito camerale è idoneo ad assicurare tutela ai diritti soggettivi, specie quando, come nel caso dell'attività bancaria, la controversia sia caratterizzata da contenuti tecnici e da fonti di conoscenza prevalentemente documentali; dall'altro, la scelta del decreto motivato, in deroga alla normativa comune sui procedimenti di applicazione delle sanzioni amministrative, deve ritenersi non irragionevole, in considerazione del carattere di specialità della disciplina bancaria e creditizia e della continuità con la precedente regolamentazione della materia (v. Corte cost., sent. n. 49 del 1999).

È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 23 e 97 Cost., dell'art. 144 del d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385 (testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), in relazione ai precedenti artt. 51 e 53, comma 1, per violazione dell'obbligo di tipicità e determinatezza delle fattispecie soggette a sanzione amministrativa pecuniaria. Premesso, infatti, che, in tema di sanzioni amministrative, l'art. 1 della legge 24 novembre 1981, n. 689, non contiene - a differenza di quanto avviene per gli illeciti penali, per i quali opera il principio di stretta legalità di cui all'art. 25, secondo comma, Cost. - una riserva di legge tale da escludere la possibilità di integrare il precetto sanzionatorio, avente base nella legge, mediante norme regolamentari delegate, confacenti al particolare ambito tecnico-specialistico cui si riferiscono, va rilevato che le norme sopra indicate non sono qualificabili come norme punitive "in bianco", atteso che i poteri della Banca d'Italia di emanare istruzioni e disposizioni in tema di vigilanza informativa (art. 51) e di vigilanza regolamentare (art. 53) non sono lasciati al mero arbitrio di detto organo di controllo, bensì sono esercitati in conformità a ben individuati principi e direttive (anche di livello europeo), a strumenti normativi primari e secondari e ad altri criteri oggettivi, dettagliati e rigorosi, al fine di integrare, data la particolare tecnicità e la continua evoluzione della materia, le norme di base, determinandone la parte precettiva mediante la specificazione del contenuto, già sufficientemente delineato nella legge.

In tema di sanzioni amministrative, ai sensi dell'art. 7 della legge 24 novembre 1981, n. 689, l'obbligazione di pagare la somma dovuta per la violazione non si trasmette agli eredi e la morte dell'obbligato è, quindi, causa di cessazione della materia del contendere. Ne consegue che è inammissibile, per carenza di legittimazione ad agire, il ricorso per cassazione proposto dagli eredi dell'obbligato avverso la decisione di condanna del loro comune dante causa al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. I, sentenza 23/03/2004, n. 5743
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 5743
Data del deposito : 23 marzo 2004
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. O G - Presidente -
Dott. L M G - Consigliere -
Dott. G G - Consigliere -
Dott. M G - Consigliere -
Dott. M G V.A - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
F G, O P, B D, L G, O M, S F, V G, A G, C L e C F, elettivamente domiciliati in Roma, viale Regina Margherita, n. 290, presso l'Avvocato A N, che li rappresenta e difende in virtù di procura speciale rilasciata, dai primi sette, con atto n. 15287 del 5.4.2001, rogito Notaio P T;
dall'ottavo, con atto n. 17433 del 5.4.2001, rogito Notaio G R;
dalle ultime due, con atto n. 26081 del 23.4.2001, rogito Notaio G A D V;



- ricorrenti -


contro
Banca d'Italia, in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in Roma, via Nazionale, n. 91, presso gli Avvocati S L, M O P e O C, Avvocatura della Banca d'Italia, che la rappresentano e difendono per procura speciale in calce al controricorso;



- controricorrente -


contro
Ministero del Tesoro, in persona del Ministro p.t.;



- intimato -


avverso il decreto pronunziato dalla Corte d'Appello di Roma il 2.3.2000, nel giudizio iscritto al n. 436/97 RG, depositato il 23.5.2000, non notificato.
Udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 4.11.2003 dal Relatore Cons. Dott. Giuseppe Vito Antonio Magno;

uditi l'Avvocato A N per i ricorrenti e l'Avvocato O C per la controricorrente;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CENICCOLA

Raffaele, che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. - Con atto notificato alla Banca d'Italia il 26.5.1997 il dottor Giovanni Ferraro ed altri otto ex componenti del consiglio d'amministrazione della Sicilcassa S.p.A proposero reclamo avanti alla Corte d'appello di Roma, ai sensi dell'articolo 145, D.L.vo 1^ settembre 1993, n. 385 (T.U. delle leggi in materia bancaria e
creditizia: di seguito, "legge bancaria"), avverso il decreto in data 2.1.1997, n. 601004, con cui il ministero del tesoro aveva irrogato sanzioni amministrative pecuniarie, nella misura complessiva di Lire 30.000.000 al Ferraro e di Lire 40.000.000 a ciascuno degli altri, per violazioni (carenze di controllo, omesse o inesatte segnalazioni all'organo di vigilanza, inosservanza delle disposizioni sui conti annuali, carenza di istruzione delle pratiche) previste dagli articoli 51 e 53, 1^ co., lett. b), stesso T.U., riscontrate nel corso di accertamenti ispettivi disposti dalla Banca d'Italia medesima.
2. - I reclamanti, previa richiesta di sospensione del decreto impugnato, sollevarono eccezione d'incostituzionalità dell'articolo 145, D.L.vo n. 385/1993, per eccesso di delega legislativa, e
dell'articolo 144, stesso D.L.vo, per violazione del principio di legalità della pena;
lamentarono, inoltre, difetto di adeguata istruzione e contestazione delle infrazioni, violazione del diritto di difesa, nullità del provvedimento, motivato solo per relationem, per difetto dei presupposti e per illogicità e manifesta ingiustizia. La Banca d'Italia ed il pubblico ministero, intervenuto nel procedimento, conclusero per il rigetto del reclamo. Il ministero del tesoro non si costituì in giudizio.
3. - Con decreto depositato il 23.5.2000, la Corte d'appello respinse il reclamo e condannò i reclamanti al pagamento delle spese di lite. 3.1. - La Corte territoriale, infatti, ritenne manifestamente infondata l'eccezione d'incostituzionalità del citato articolo 145, per eccesso di delega legislativa, in considerazione del fatto che la Corte costituzionale aveva dichiarato infondata la stessa questione, con sentenza n. 49 del 24.2/4.3.1999, e che non emergevano diversi profili a sostegno di tale eccezione.
3.2. - Ritenne, inoltre, infondata l'eccezione d'incostituzionalità dell'articolo 144, legge bancaria, per violazione del principio di legalità della pena, considerando che la Corte costituzionale, con la sentenza richiamata, aveva reputato legittimo il sistema sanzionatorio attuato dalla suddetta legge bancaria, poiché alle singole fattispecie di sanzioni amministrative pecuniarie risulta applicabile la disposizione normativa comune contenuta nell'articolo 11, legge 24 novembre 1981, n. 689;
sicché dovevasi anche escludere
la manifesta fondatezza dell'ulteriore profilo d'incostituzionalità prospettato, consistente nell'asserita violazione del principio di legalità, per mancanza di criteri direttivi e di vincoli alla discrezionalità del potere sanzionatorio.
3.3. - Ugualmente infondate, infine, furono giudicate dalla Corte d'appello, in primo luogo, la lamentata violazione del diritto di difesa, asseritamente causata da carente motivazione del decreto ministeriale, ma insussistente, secondo il giudice a quo, essendo adeguatamente garantito tale diritto dal rinvio alla proposta della Banca d'Italia, consultabile a richiesta dei reclamanti che, in ogni caso, conoscevano gli specifici addebiti contestati, per avere presentato controdeduzioni alle risultanze della relazione ispettiva, cui si rifaceva la suddetta proposta;
e, in secondo luogo, le censure di difetto di presupposti delle violazioni riscontrate, di carenze istruttorie, illogicità e manifesta ingiustizia delle contestazioni che, al contrario, a giudizio della Corte territoriale, erano state esaurientemente illustrate dall'organo di vigilanza nella relazione ispettiva versata in atti, non sostanzialmente contraddetta in punto di fatto dai reclamanti, le cui osservazioni erano state peraltro prese in esame dalla Banca d'Italia prima di proporre l'applicazione delle sanzioni, per infrazioni sicuramente attribuibili agli stessi reclamanti che, in qualità di amministratori, avevano l'obbligo di vigilare sull'osservanza dei regolamenti bancari. 4. - Avverso tale decreto, Giovanni Ferraro, Pompeo Oliva, Domenico Bacchi, Giuseppe Luparelli, Marcello Orlando, Francesco Sturzo, Giuseppe Viola, Giuseppe Adonia, Licia e Fausta Cangialosi, le ultime due quali eredi di Domenico Cangialosi, deceduto in corso di giudizio, propongono ricorso per Cassazione, ritualmente notificato e depositato, articolando quattro motivi illustrati anche da memoria, cui resiste, mediante tempestivo controricorso, la Banca d'Italia. Il ministero del tesoro non ha svolto difese.
MOTIVI DELLA DECISIONE
5. - Deve essere trattata, in limine, l'eccezione di difetto di legittimazione attiva delle ricorrenti Licia e Fausta Cangialosi, eredi di Domenico Cangialosi deceduto nelle more del giudizio, sollevata dalla controricorrente sul presupposto del carattere strettamente personale della sanzione pecuniaria conseguente a violazione amministrativa, e quindi dell'intrasmissibilità agli eredi della relativa obbligazione gravante sul de cuius. 5.1. - L'eccezione è fondata giacché, ai sensi dell'articolo 7, legge 24 novembre 1981, n. 689, l'obbligazione di pagare la somma
dovuta per la violazione non si trasmette agli eredi;
la morte dell'obbligato è quindi causa di cessazione della materia del contendere (Cass. nn. 7688/2002, 10244/1999, 6048/1993). 5.2. - Per conseguenza, deve essere dichiarato inammissibile il ricorso per Cassazione proposto dalle nominate signore Cangialosi, non legittimate ad agire in questo giudizio perché carenti del diritto potestativo d'impugnare il decreto della Corte d'appello di Roma, che condannava il loro comune dante causa al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria (Cass. nn. 3732/2001, 15537/2000, 6160/2000, 2125/1995).
6. - Col primo motivo di gravame i ricorrenti - censurando il decreto della Corte d'appello per avere asseritamente male interpretato la sentenza n. 49, in data 4 marzo 1999, della Corte costituzionale - ripropongono l'eccezione di legittimità costituzionale dell'articolo 144, co. 1^, D.L.vo 1 settembre 1993, n. 385 (legge bancaria), in
relazione ai precedenti articoli 53, co. 1^, e 51, per violazione dell'obbligo costituzionale di tipicità e determinatezza delle fattispecie sanzionatone, in contrasto con gli articoli 23 e 97 della Costituzione.
6.1. - La censura in sè è inammissibile, perché il giudizio d'irrilevanza o di manifesta infondatezza dell'eccezione d'illegittimità costituzionale, contenuto nel provvedimento impugnato, non è suscettibile di gravame (Cass. nn. 4937/1995, 10850/1990), essendo detta eccezione riproponibile all'inizio di ogni ulteriore grado del giudizio in virtù di quanto dispone l'articolo 24, 2^ co., legge 11 marzo 1953, n. 87. La questione prospettata, peraltro, deve essere presa in esame, ai sensi della norma ora citata, e ritenuta rilevante, essendo essa in rapporto di pregiudizialità necessaria con la decisione da adottare in questo giudizio (Cass. nn. 6237/2000, 485/1992, 142/1992), poiché l'eventuale declaratoria d'illegittimità costituzionale delle norme citate al punto 6, sotto il profilo ivi indicato, determinerebbe l'esito favorevole della lite per i ricorrenti.
6.2. - Essa è, però, manifestamente infondata.
6.2.1. - Sostengono i ricorrenti che i citati articoli 53, co. 1^, e 51, legge bancaria - da loro descritti quali norme "in bianco", in quanto omettono di predeterminare le fattispecie sanzionate o, almeno, di fissare principi e criteri regolanti l'attività ispettiva dell'organo di controllo, cosicché sarebbe lasciata all'assoluta ed incontrollabile libertà di questo la configurazione e la concretizzazione dell'illecito amministrativo e sarebbe conferita, per di più, valenza di precetto sanzionatile a qualsiasi manifestazione di potere regolamentare di tale organo - violerebbero il principio di stretta legalità, desumibile dagli articoli 23 e 97 Cost., assunto come obbligo di tipicità e determinatezza delle
violazioni amministrative punite con sanzione pecuniaria. 6.2.2. - Aggiungono che tale questione non può ritenersi manifestamente infondata, per effetto della sentenza n. 49/1999 della Corte costituzionale, concernente lo stesso articolo 144 (e l'articolo 145) della legge bancaria, perché con la presente eccezione s'invocano precetti costituzionali ed argomenti diversi da quelli (eccesso di delega, in riferimento all'articolo 76 Cost., ed illegittima limitazione del potere di controllo giurisdizionale, stante il tipo di provvedimento - decreto motivato - che decide il reclamo, in riferimento agli articoli 3 e 24 Cost.) già ritenuti inconferenti dal giudice delle leggi con la citata sentenza. 6.3. - Si osserva innanzitutto, in ordine alla manifesta infondatezza di tale questione - effettivamente distinta sia da quelle già sottoposte ad esame e dichiarate infondate dalla Corte costituzionale, con la sentenza citata, sia da altra, concernente il diritto di difesa, la cui manifesta infondatezza è stata già ritenuta con sentenza n. 3110/1998 di questa suprema Corte -, che il principio di stretta legalità derivante dall'articolo 25, 2^ co., Cost., inteso come obbligo costituzionale di tipicità e determinatezza delle fattispecie sanzionatorie, si riferisce propriamente alla materia penale, ma non si estende, sullo stesso piano, al dominio dell'illecito amministrativo, essendo la sanzione amministrativa soggetta a differenti parametri costituzionali (articoli 23 e 97 Cost., invocati appunto dai ricorrenti) e normativi (legge n. 689/1981), per cui la riserva di legge (articolo 1, legge n. 689/1981) non ha, in questo caso, rango costituzionale.
6.3.1. - In tal senso si è ripetutamente pronunziato il giudice delle leggi (C. Cost., ord. n. 150/2002, sent. n. 356/1995, sent. n. 159/1994, ord. m. 250/1992, ord. n. 541/1988, sent. n. 447/1968, sent. n. 100/1981);
il cui precedente contrario, alquanto remoto, costituito dalla sentenza n. 78/1967, deve intendersi superato, alla luce della successiva e costante giurisprudenza di segno contrario. Vale la pena, altresì, di precisare che nell'ordinanza C. Cost. n. 140/2002, il principio di "stretta legalità" delle sanzioni amministrative pecuniarie, con riferimento al disposto dell'articolo 1, 2^ co, legge n. 689/1981, è assunto in una accezione del tutto
differente, non contrastante con l'interpretazione riportata al punto 6.3, giacché si riferisce ad altro e diverso criterio, relativo all'applicabilità della legge nel tempo, in difformità da quello, valido solo in campo penale, di applicabilità della legge posteriore più favorevole al reo.
Nella stessa sentenza n. 49/1999 cit., il seguente passo (parzialmente riportato dai ricorrenti nella memoria illustrativa, pag. 2): "Anche per le sanzioni amministrative, che, pur essendo afflittive in minor grado, rispondono anch'esse al principio di legalità", non contrasta, a sua volta, con la costante giurisprudenza costituzionale sopra riferita, essendo pacificamente riferibile tale principio anche al sistema sanzionatorio amministrativo, in virtù della riserva di legge "relativa", stabilita dall'articolo 23, Cost. e dall'articolo 1, legge n. 689/1981: tale principio non riveste tuttavia, in campo
amministrativo ed a differenza di quanto si verifica per le norme penali, valore assoluto, sicché è derogabile, entro certi limiti, con norma di legge ordinaria.
6.3.2. - Ed infatti la Corte costituzionale, soprattutto nella motivazione di decisioni concernenti la materia amministrativa disciplinare (affine, per certi aspetti, a quella interessante il presente giudizio), fermo il concetto per cui l'articolo 25, 2^ co., Cost. (e quindi la riserva "assoluta" di legge) non è riferibile alle violazioni amministrative (C. Cost., ord. n. 250/1992), chiarisce che il criterio legale di tipizzazione degli illeciti amministrativi, soddisfatto dalle circostanze "che la prestazione debba avere 'base' in una legge e che la legge stessa stabilisca i criteri idonei a regolare eventuali margini di discrezionalità lasciati alla pubblica amministrazione nella determinazione in concreto della prestazione" (ordinanza cit., dalla motivazione), è compatibile con una certa "elasticità nella puntuale configurazione e nella determinazione delle condotte sanzionabili", purché "esse siano riferibili a principi enunciati da disposizioni legislative o enucleabili dai valori che ispirano nel loro complesso le regole di comportamento che caratterizzano la scala di doveri propri della funzione esercitata" (sent. 356/1995, dalla motivazione);

specialmente "quando il contenuto dei valori tutelati dalla norma ... è tale da rendere impossibile prevedere tutti i comportamenti che possono lederli" (sent. n. 100/1981). 6.3.3. - In tali casi, pertanto, secondo la costante giurisprudenza della Corte costituzionale, non si giunge alla rottura del principio di legalità se, con le norme impugnate, concorrono altri criteri di determinazione delle fattispecie sanzionate, derivanti da disposizioni e principi ricavabili dalla legge o da tavole di valori che informano le regole tecniche e di comportamento e la deontologia tipiche della funzione esercitata.
6.3.4. - D'accordo con tale orientamento, questa suprema Corte ha già ritenuto che la riserva di legge posta, in tema di sanzioni amministrative, dall'articolo 1, legge n. 689/1981, non è di rango costituzionale, a differenza di quella prevista direttamente dall'articolo 25 Cost. per l'illecito penale;
sicché è legittima l'introduzione di sanzioni amministrative mediante fonti secondarie, in base ad una legge ordinaria derogante la disposizione del citato articolo 1, in via generale o per singoli settori (Cass. nn. 17176/2003, 12367/1999, 1113/1995, 9633/1990);
in ogni caso, detta norma non contiene una riserva di legge talmente rigida da escludere la possibilità d'integrare un precetto sanzionatorio, avente "base" nella legge, mediante norme regolamentari delegate, confacenti al particolare ambito tecnico-specialistico cui si riferiscono (Cass. nn. 17176/2003, 3351/1999).
6.3.5. - Permane, invece, un'assoluta riserva (articolo 11, legge n. 689/1981) per la determinazione in astratto della sanzione,
pecuniaria o accessoria, che deve essere comminata dalla legge senza possibilità d'integrazione o specificazione da parte di autorità amministrative;
pur potendo, però, essere rinviata "a provvedimenti amministrativi la determinazione di elementi o di presupposti della prestazione che siano espressione di discrezionalità tecnica, purché risultino assicurate le garanzie atte ad escludere che la discrezionalità si trasformi in arbitrio" (C. Cost. sent. n. 48/1961 e, in applicazione di tale principio, Cass. nn. 1242/1999, 2937/1998, 477/1998). Sotto questo aspetto, peraltro, la manifesta infondatezza dell'eccezione discende realmente dalla sentenza C. Cost. n. 49/1999 che, avendo ritenuto la norma sanzionatoria dell'articolo 144, legge bancaria, non eccedente i limiti della delega, ha escluso, per ciò stesso - e per la vigenza del criterio generale stabilito dall'articolo 11, cit. -, la lesione della riserva di legge con riguardo alla sanzione.
6.3.6. - Ma l'eccezione in esame è manifestamente infondata anche in relazione all'altro profilo, concernente la pretesa lesione del principio di determinatezza e tipicità delle violazioni sanzionate, perché, stando alla richiamata giurisprudenza della Corte costituzionale e di questa suprema Corte (punti 6.3.2, 6.3.3, 6.3.4), gli articoli 51 e 53, co. 1^, in relazione all'articolo 144, legge bancaria, non sono qualificabili come norme punitive "in bianco", in quanto il potere della Banca d'Italia di stabilire modalità e termini delle segnalazioni periodiche o di trasmissione dei bilanci (articolo 51: vigilanza "informativa"), come pure quello di emanare disposizioni di carattere generale aventi ad oggetto l'adeguatezza patrimoniale, il contenimento del rischio, le partecipazioni detenibili, l'organizzazione contabile ed i controlli interni (articolo 53, co. 1^: vigilanza "regolamentare") non sono lasciati al mero arbitrio ovvero all'occasionale deliberazione, di volta in volta, di detto organo di controllo.
Tali poteri (e quello relativo alla vigilanza "ispettiva": articolo 54) sono, invece, esercitati - e quindi definiti, in modo preventivo, generale ed astratto - in conformità a direttive di livello europeo, a strumenti normativi primari e secondari, a istruzioni predisposte dallo stesso organo di controllo e ad altri criteri oggettivi, ricavabili dalla regolamentazione tecnica del settore bancario, in funzione integrativa, da una parte, delle fattispecie sanzionatorie;

e precettiva, limitativa, dall'altra, degli stessi poteri d'intervento.
Invero, il D.L.vo 27 gennaio 1992, n. 87, recependo le direttive CEE nn. 86/635, 89/117, 78/660, già dettava norme in materia di redazione dei bilanci (stato patrimoniale e conto economico, criteri per la redazione dei conti di bilancio, ecc.), riserve di rivalutazione e fondo per rischi, bilancio consolidato, relazioni sulla gestione, partecipazioni. L'articolo 5, in particolare, stabiliva che: "Gli enti creditizi e finanziari si attengono alle disposizioni che la Banca d'Italia emana relativamente alle forme tecniche ... dei bilanci e delle situazioni dei conti ... I poteri conferiti dal comma 1 sono esercitati anche per le modifiche, le integrazioni e gli aggiornamenti delle forme tecniche stabilite dal presente decreto nonché per l'adeguamento della disciplina nazionale all'evolversi della disciplina, dei principi e degli orientamenti comunitari" (primi due commi).
In esecuzione di tale normativa, sono state quindi emanate istruzioni specifiche, nella forma del decreto ministeriale (ad es., D.M. 24 giugno 1992, in G.U. n. 171 del 22.7.1992, "sulle forme tecniche per
la redazione dei bilanci ai sensi del decreto legislativo 27 gennaio 1992, di recepimento delle direttive CEE n. 635/86 e 117/89". In tale
documento si specifica, fra l'altro, che: "La Banca d'Italia emanerà le istruzioni amministrative secondo le norme del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 87, e le disposizioni del presente decreto").
Il potere di emanare istruzioni in materia di forme tecniche dei bilanci delle aziende di credito, in conformità delle deliberazioni del comitato interministeriale per il credito e il risparmio (C.I.C.R.), era già attribuito peraltro alla Banca d'Italia dall'articolo 32, 1^ co., lett. a), della vecchia legge bancaria (R.D legge 12 marzo 1936, n. 375 e successive modificazioni e
integrazioni);
sicché la nuova disciplina - come pure rileva la Corte costituzionale, nella parte finale della motivazione della sentenza n. 49/1999 - si pone in continuità con la precedente. Intendendosi per "forme tecniche" dei bilanci, secondo la migliore dottrina e la pratica in argomento, gli schemi di stato patrimoniale, di conto economico, della nota integrativa, il contenuto delle relazioni sulla gestione, i criteri per la redazione dei conti del bilancio (distinto in voci, sottovoci e relativi dettagli informativi), i criteri di redazione del bilancio consolidato. Il comitato interministeriale per il credito e il risparmio ha emanato, a sua volta, un provvedimento disciplinante la materia (deliberazione 12 gennaio 1994, in G.U. n. 24 del 31.1.1994), con cui sono stati determinati i criteri cui la Banca d'Italia deve attenersi nella redazione delle proprie istruzioni alle aziende di credito. Tali istruzioni, effettivamente emanate nel febbraio 1994, indicano quindi, fra l'altro, il livello minimo del patrimonio di vigilanza (in misura costantemente non inferiore al capitale richiesto per l'autorizzazione a svolgere l'attività bancaria), da calcolare e verificare almeno semestralmente, in conformità alla direttiva CEE 299/89;
gli aggregati positivi e negativi che concorrono a determinarlo e le componenti di ciascun aggregato;
le modalità di calcolo dei fattori di rischio, secondo le direttive CEE 299, 646 e 647/89. Altre minuziose disposizioni riguardano poi le partecipazioni nei settori finanziario e non finanziario e l'assetto organizzativo degli istituti di credito.
6.3.7. - Alla Banca d'Italia è rimesso, in definitiva - del tutto legittimamente, anche in rapporto all'articolo 1 della legge n. 689/1981 - il compito complementare d'integrare, data la particolare
tecnicità e la continua evoluzione della materia, le norme di base alla stregua di ben individuati principi e direttive, determinandone la parte precettiva mediante la specificazione del contenuto, già sufficientemente delineato nella legge, al fine di conciliare le diverse esigenze di mantenimento di adeguati livelli di funzionamento del sistema, di costante conformità alle direttive comunitarie e di corretto esercizio delle attività di vigilanza e di controllo. 6.3.8. - Risultano quindi osservate anche le esigenze di tassatività e determinatezza delle fattispecie sanzionate, giacché le norme citate (articoli 51, 53, 144, legge bancaria), nel punire l'inosservanza di disposizioni predeterminate attraverso la descritta gerarchia di fonti legislative ed amministrative (le seconde in funzione integrativa delle prime), non lasciano margini d'incertezza circa i comportamenti prescritti o vietati e circa i soggetti responsabili.
Nè la mancata assunzione nella fonte normativa primaria del contenuto di direttive e regolamenti, soggetti a frequente aggiornamento, comporta indeterminatezza del precetto, essendo questo sufficientemente precisato, nei suoi aspetti anche formali di illecito amministrativo, dalla base legislativa, fornita dagli articoli citati, e dalla mancata osservanza, legislativamente sanzionata, delle disposizioni impartite dall'organo di vigilanza che si uniforma, a sua volta, a criteri astratti etero-generati, dettagliati e rigorosi.
6.4. - Dalle argomentazioni precedenti si deduce quindi la manifesta infondatezza dell'eccezione d'incostituzionalità degli articoli 51, 53, co. 1^, e 144 della legge bancaria, sollevata per asserito contrasto con gli articoli 23 e 97 Cost., sotto il profilo della pretesa mancanza di tipicità e determinatezza delle fattispecie sanzionate.
7. - Col secondo mezzo, il decreto della Corte d'appello è censurato, ai sensi dell'articolo 111, 7^ co., Cost., per violazione di norme e principi in materia di contestazione adeguata e di diritto di difesa (articoli 97, Cost.;
3, 7 e ss., legge 7 agosto 1990, n. 241;
4, legge bancaria). 7.1. - Sostengono i ricorrenti che il procedimento d'irrogazione delle sanzioni era totalmente viziato dalla mancata indicazione specifica, in contrasto coi principi sopra richiamati, delle norme e dei precetti asseritamente violati;
che, infatti, il generico richiamo agli articoli 53, co. 1^ - norma ritenuta "in bianco" - e 51, legge bancaria, e ad altre norme, oltre che alle "istruzioni di vigilanza", non consentiva assolutamente d'individuare le prescrizioni trasgredite, al fine di spiegare adeguata difesa sia sul piano della presunta illegittimità dei comportamenti contestati sia su quello della (in)sussistenza dei fatti e comportamenti imputati, non individuati con la necessaria chiarezza e precisione;
che, infine, il decreto ministeriale d'irrogazione delle sanzioni era motivato "per relationem", mediante richiamo alle motivazioni contenute nella proposta della Banca d'Italia, non notificata contestualmente, cosicché, anche per questa ragione, veniva menomato il diritto di difesa.
7.2. - La Corte territoriale ha ritenuto non fondate, in punto di fatto, le analoghe eccezioni, attraverso il seguente ragionamento:
- il decreto ministeriale è sufficientemente motivato, in ordine agli addebiti ed all'entità delle sanzioni, mediante rinvio alla proposta della Banca d'Italia, in cui l'accertamento e l'illustrazione delle infrazioni appaiono "esaurienti";

- tale rinvio, in funzione integrativa della motivazione del decreto, è ammissibile e sufficiente, nel caso concreto, a garantire i diritti della difesa, perché detta proposta si conforma alle risultanze della relazione ispettiva, ben nota ai reclamanti - che infatti avevano formulato controdeduzioni, debitamente considerate dall'organo di vigilanza prima di proporre le sanzioni - e, comunque, da loro consultatane, a richiesta;

- le proteste di non colpevolezza risultano inconsistenti, stante la prevalente considerazione del rango (qualità di amministratori) e delle responsabilità di vigilanza spettanti agli interessati. 7.3. - La motivazione surriferita è criticata dai ricorrenti perché "sbrigativa", non idonea cioè a dimostrare l'insussistenza delle illegittimità denunciate ed incoerente rispetto al contenuto del reclamo sul punto.
7.4. - Si premette che il presente ricorso "straordinario" per Cassazione, proposto ai sensi dell'articolo 111 Cost., è ammissibile solo per violazione di legge, quindi anche per violazione dell'obbligo legale di motivazione (articolo 132, 2^ co., n. 4, c.p.c.), allorché la nullità della sentenza (articolo 360, 1^ co., n. 4, c.p.c.) dipenda da totale mancanza o mera apparenza della motivazione, consistente in argomentazioni insanabilmente contrastanti fra loro stesse o, comunque, assolutamente inidonee a rivelare il processo logico seguito dal giudicante (cfr., con riferimento alla specifica materia, ed a quella affine dell'intermediazione finanziaria, cass. nn. 4854/2002, 3868/2002, 5936/1999, 532/1997). 7.5. - Tale non è il caso della motivazione del decreto in argomento, in cui sono esposte, sia pur concisamente (punto 7.2), le ragioni logiche e condivisibili della decisione di rigetto della lamentata violazione di legge, ritenuta insussistente alla luce dei fatti e degli atti esaminati. Pertanto, riguardo al lamentato vizio di motivazione, la censura è inammissibile, per la ragione detta al punto 7.4.
7.6. - D'altra parte, i ricorrenti non indicano - in omaggio al principio di autosufficienza del ricorso e non avendo sostanzialmente contraddetto, come rileva il giudice di merito, i fatti a loro materialmente addebitati - le specifiche e concrete menomazioni del diritto di difesa che affermano di aver subito a causa della indicazione soltanto sommaria o confusa di tali fatti, dell'assenza di riferimento alle regole violate, del mancato recepimento delle contestazioni nel decreto ministeriale e del rinvio alla proposta di sanzioni, ad esso non allegata.
Anche sotto questo profilo, pertanto, il motivo di ricorso in esame, con cui sono riproposte le lagnanze già esaminate e rigettate motivatamente dal giudice a quo, è inammissibile.
8. - Col terzo motivo i ricorrenti denunziano un difetto assoluto di motivazione, con riferimento alla pronunzia di rigetto della doglianza relativa all'insussistenza, nel merito, delle irregolarità contestate dalla Banca d'Italia, affermando che la motivazione offerta sul punto dalla Corte d'appello è soltanto apparente. 8.1. - Sostengono di avere analiticamente contestato nel merito gli addebiti loro mossi e di avere ottenuto dalla Corte d'appello una pronunzia di rigetto solo apparentemente motivata, con espressioni apodittiche e tautologiche.
8.2. - Nel decreto impugnato si legge, in proposito, che le infrazioni accertate, ed esaurientemente illustrate dall'organo di vigilanza nel rapporto d'ispezione in atti, "non sono state sostanzialmente contraddette in punto di fatto dai reclamanti". 8.3. - Tale affermazione non è specificamente criticata, in conformità al principio di autosufficienza del ricorso, mediante riproduzione delle analitiche doglianze, il cui rigetto da parte del giudice d'appello sarebbe rimasto del tutto privo di motivazione. La censura, quindi, deve ritenersi infondata perché, in mancanza di specifica allegazione delle critiche rivolte alle conclusioni del rapporto d'ispezione, la motivazione del decreto impugnato, laddove esclude che i fatti materiali costituenti le infrazioni fossero stati sostanzialmente contraddetti dai reclamanti (punto 8.2), non può dirsi inesistente o del tutto apparente.
9. - Col quarto motivo si denunzia, in via subordinata, l'insufficienza e l'inadeguatezza della motivazione su punti decisivi della controversia, ai sensi dell'articolo 360, 1^ co., n. 5, c.p.c.;

e quindi, nella consapevolezza dell'inammissibilità di tale censura secondo il consolidato orientamento di questa suprema Corte sulla limitazione alla sola violazione di legge del ricorso per Cassazione proposto ai sensi dell'articolo 111, 7^ co., Cost. (ricorso "straordinario": v. precedente punto 7.4) - si ripropone l'eccezione d'illegittimità costituzionale dell'articolo 145 legge bancaria, per contrasto con gli articoli 3 e 24 Cost., nella parte in cui il legislatore, scegliendo il rito camerale e la forma della decisione con decreto motivato, in luogo di quella con sentenza, di fatto impedisce il ricorso "ordinario" per Cassazione, ovverosia la denunzia anche dei vizi di motivazione.
9.1. - La censura d'insufficienza ed inadeguatezza della motivazione, per la ragione che i ricorrenti riconoscono - limitazione del ricorso "straordinario" ai soli vizi di violazione di legge (punto 7.4) -, è inammissibile in questo giudizio.
D'altra parte, l'indicata eccezione di legittimità costituzionale, certamente rilevante perché l'eventuale accoglimento di essa eliminerebbe un ostacolo alla possibilità di scrutinio dei lamentati vizi di motivazione, è manifestamente infondata.
9.2. - I ricorrenti non ignorano che la Corte costituzionale, con sentenza n. 49/1999, ha già dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 145, co. 6^, legge bancaria, sollevata da questa suprema Corte (ordin. n. 532/1997) con riferimento agli articoli 3 e 24 Cost., per ragioni parzialmente coincidenti con quelle esposte nel presente motivo di ricorso. Tuttavia ritengono che l'esercizio del potere discrezionale del legislatore, nella scelta delle forme procedimentali e di tutela giurisdizionale per singole materie, debba attuarsi nei limiti della ragionevolezza;
i quali sarebbero stati travalicati, nell'ipotesi specifica - se non in relazione alle opzioni riguardanti la competenza della Corte d'appello e la concentrazione dei reclami presso quella di Roma -, sicuramente con riguardo alle scelte del rito camerale, che sarebbe strutturalmente inidoneo alla tutela di diritti soggettivi, e della definizione con decreto del giudizio sul reclamo: provvedimento che impedisce l'ordinario e pieno ricorso per Cassazione.
9.3. - Si deve innanzitutto precisare che l'eccezione d'incostituzionalità dell'articolo 145, co. 6^ (ora comma 7^), legge bancaria, sollevata da questa suprema Corte con ordinanza n. 532/1997, si riferiva soltanto alla parte in cui tale norma prevede che il giudizio della Corte d'appello sia definito con decreto motivato, anziché con sentenza;
con la stessa ordinanza veniva dichiarata, invece, la manifesta infondatezza di altre questioni, fra cui quella relativa alla scelta del rito camerale.
Nella parte in cui ripropone tale ultima questione, l'eccezione sollevata dai ricorrenti deve quindi ritenersi manifestamente infondata, per le stesse ragioni esposte nella citata ordinanza di questa suprema Corte (essendo il rito camerale idoneo ad assicurare tutela ai diritti soggettivi, specie quando, come nel caso dell'attività bancaria, la controversia sia caratterizzata da contenuti tecnici e da fonti di conoscenza prevalentemente documentali).
9.4. - Quanto all'altro profilo di eccezione, relativo all'adozione, asseritamente irragionevole, del provvedimento in forma di decreto motivato anziché di sentenza, il giudizio di manifesta infondatezza deriva dal fatto che non sono validamente contestate dai ricorrenti - nè il collegio ravvisa argomenti per contestare - le motivazioni, esposte nella sentenza n. 49/1999 della Corte costituzionale, in virtù delle quali è stata ritenuta non irragionevole tale opzione legislativa, consistenti nel richiamo al carattere di specialità della disciplina bancaria e creditizia, alla derogabilità della normativa comune sulle sanzioni amministrative pecuniarie ed alla continuità con la precedente regolamentazione della materia (articolo 90, R.D. n.375/1936). 10. - Per tutte le ragioni esposte, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del presente giudizio di legittimità possono essere equamente compensate fra le parti, in considerazione dei profili di novità (punto 6) emersi.

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