Cass. pen., sez. I, sentenza 28/10/2019, n. 43830
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iato la seguente SENTENZA Sul ricorso proposto da: 1) H S, nato 1'01/01/1984;Avverso la sentenza emessa il 05/07/2018 dalla Corte di assise di appello di Roma;Sentita la relazione del Consigliere dott. A C;Sentito il Sostituto Procuratore generale dott.ssa M D N, che ha concluso per il rigetto del ricorso;Sentito l'avv. B D, per l'Avvocatura generale dello Stato, costituita per la Presidenza del Consiglio dei Ministri e per il Ministero degli Interni, che ha concluso depositando comparsa conclusionale e nota spese;Sentito l'avv. V P, per l'imputato S H, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso;RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza emessa l'08/11/2017 il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Roma, procedendo con rito abbreviato, giudicava S H colpevole del reato ascrittogli ai sensi degli artt. 270-bis, comma secondo, cod. pen. e 3 legge 16 marzo 2006, n. 146, condannandolo, applicata la riduzione per il rito speciale, alla pena di quattro anni e otto mesi di reclusione. L'imputato, inoltre, veniva condannato alle pene accessorie di legge e al pagamento delle spese processuali e di mantenimento in carcere durante la custodia cautelare. L'imputato, infine, veniva condannato al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite in giudizio, da liquidarsi in separata sede processuale. 2. Con sentenza emessa il 05/07/2018 la Corte di assise di appello di Roma, pronunciandosi sull'impugnazione di S H, in riforma della sentenza appellata, qualificato il reato contestato ex artt. 302 cod. pen. e 3 della legge n. 146 del 2006, rideterminava la pena irrogata all'imputato in quattro anni e sei mesi di reclusione. La sentenza di primo grado, nel resto, veniva confermata. 3. Da entrambe le sentenze di merito, che divergevano nei termini di cui si è detto, emergeva che S H, nell'arco temporale in contestazione, poneva in essere un'attività di istigazione finalizzata a consentire l'affiliazione all'associazione terroristica denominata /sis, che, com'è noto, è l'acronimo con il quale viene chiamato l'autoproclamatosi Islamic State of Iraq and Syria and al- Sham, alla quale l'imputato era collegato attraverso l'organizzazione terroristica denominata Ansar al-Shari'a. Questa attività istigatoria, qualificata dalla Corte di assise di appello di Roma ex art. 302 cod. pen., si riteneva anzitutto dimostrata sulla base del materiale informatico acquisito nella prima fase delle indagini preliminari, sviluppatasi a seguito del controllo di polizia eseguito nei confronti di H il 09/11/2014, mentre l'imputato si trovava alla guida di un'autovettura Volkswagen in compagnia di Abdelghani Rchouki. In quell'occasione, all'interno del veicolo condotto dal ricorrente, venivano sequestrati una pistola provento di furto, una bomboletta di spray urticante, un passamontagna, due paia di guanti in lattice, tre telefoni cellulari, un passaporto e una patente di guida intestata al cittadino rumeno Stefan Farin. All'esito di tale controllo, si procedeva all'arresto in flagranza di reato dell'imputato, che, processato separatamente, riconosceva come propri gli oggetti sequestrati, precisando che, il giorno dell'arresto, aveva commesso una rapina con altri soggetti. Nella giornata del 09/11/2014, dopo una prima perquisizione eseguita dalle forze dell'ordine presso l'abitazione dell'imputato, che consentiva di rinvenire materiale apologetico riconducibile ad ambienti islamici di matrice terroristica, veniva assunta a sommarie informazioni la moglie del ricorrente, Caterina Minissale, che riferiva che il marito aveva subito un processo di radicalizzazione religiosa dopo essere stato detenuto presso la Casa circondariale di Velletri, nel corso del 2011, per la commissione di reati comuni. Nel prosieguo delle indagini, la riconducibilità di S H agli ambienti terroristici dell'estremismo islamico risultava ulteriormente corroborata dall'analisi del materiale informatico sequestrato presso l'abitazione dell'imputato, nel cui contesto la Corte di assise di appello di Roma richiamava la documentazione telematica riconducibile agli ambienti del terrorismo islamico e all'attività bellica svolta dallIsis nell'area siro-irachena. All'interno del personal computer di H, infatti, venivano trovati numerosi files, che dimostravano la contiguità dell'imputato con gli ambienti del terrorismo islamico di matrice jihadista, che risultava attestata dai contatti intrattenuti, tramite il sistema di comunicazione Skype, con M H e H B, due soggetti che avevano avuto un ruolo decisivo nel processo di radicalizzazione religiosa del ricorrente. Le ulteriori verifiche investigative consentivano di accertare l'esistenza di collegamenti tra S H e altri esponenti di settori contigui con il terrorismo islamico, tra cui J B S e N O, che corroboravano l'ipotesi accusatoria, secondo cui l'imputato, dopo essere stato detenuto presso la Casa circondariale di Velletri, era entrato in contatto con gli ambienti dell'integralismo di matrice jihadista, del quale condivideva l'impostazione ideologica e religiosa, che contribuiva a diffondere sia personalmente sia avvalendosi dei mezzi di comunicazione telematica di cui disponeva. L'esistenza di collegamenti tra H e gli ambienti dell'estremismo islamico si riteneva ulteriormente corroborata dalle attività di intercettazione dei colloqui in carcere svolti dall'imputato con i suoi familiari, nel cui contesto si richiamavano le capatazioni registrate nelle date del 14/11/2014, del 17/11/2014 e del 24/11/2014, da cui emergevano i contatti tra il ricorrente e le fazioni terroristiche in esame. Queste captazioni, a loro volta, venivano correlate alle intercettazioni telefoniche, registrate tra l'imputato e il padre nelle date del 29/09/2014 e del 20/10/2014, che confermavano la vicinanza dei due soggetti agli ambienti dell'estremismo jihadista, resa evidente dai riferimenti, contenuti in tali colloqui, a B H S, che è il fondatore del gruppo terroristico denominato Ansar al-Sharra Fi Tunisi. In questo contesto probatorio, si riteneva dimostrato l'inserimento di S H nell'ambiente dell'integralismo islamico gravitante attorno all'organizzazione terroristica denominata Ansar al-Sharra e l'attività di proselitismo svolta dal ricorrente per le fazioni estremistiche operanti sul territorio mediorientale in collegamento con l'Islamic State of Iraq and Syría and al-Sham. Occorre, infine, precisare che la Corte di assise di appello di Roma, in accoglimento delle doglianze proposte dalla difesa di H, riteneva di dovere procedere alla riqualificazione dell'originaria ipotesi delittuosa, così come riconosciuta dalla sentenza di primo grado, ai sensi degli artt. 302 cod. pen. e 3 della legge n. 146 del 2006. Si riteneva, infatti, che l'attività di S H era finalizzata a istigare i soggetti con cui era entrato in contatto alla commissione di delitti contro la personalità dello Stato, sussunnibili sotto la fattispecie prevista dall'art. 302 cod. pen. A sostegno di tale configurazione, la Corte territoriale richiamava gli esiti delle intercettazioni attivate nel corso delle indagini preliminari e le dichiarazioni rese dai soggetti che erano stati detenuti con il ricorrente, dalle quali ultime emergeva che H, durante la sua carcerazione, cercava di convincere i suoi compagni di detenzione ad aderire al radicalismo islamico, proponendosi come collettore delle loro eventuali "vocazioni" al martirio e come organizzatore di azioni terroristiche. Sulla scorta di questa ricostruzione degli accadimenti criminosi l'imputato S H veniva condannato alle pene di cui in premessa. 4. Avverso la sentenza di appello S H, a mezzo dell'avv. V P, ricorreva per cassazione, deducendo due motivi di ricorso. Con il primo motivo si deduceva la violazione di legge della sentenza impugnata, conseguente al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto delle ragioni che imponevano di ritenere sussistenti gli elementi costitutivi della fattispecie ascritta all'imputato ex art. 302 cod. pen., senza considerare che le condotte istigatorie di H erano finalizzate. alla commissione di condotte non punibili e prive di rilevanza penale. Si deduceva, in proposito, che non poteva rilevare nella direzione processuale recepita dalla Corte territoriale l'attività di proselitismo svolta da H, in favore degli ambienti dell'integralismo islamico ai quali era vicino, nei confronti dei soggetti con cui era entrato in contatto, attesío che tali comportamenti risultavano sprovvisti di quelle connotazioni indispensabili alla configurazione della fattispecie di cui all'art. 302 cod. pen. Infatti, anche a volere ritenere dimostrate le condotte di proselitismo dell'imputato, tali comportamenti risultavano privi di rilevanza penale, non sussistendo alcuna norma che, nell'ordinamento italiano, punisce le attività finalizzate a propagandare il radicalismo religioso. Con il secondo motivo si deduceva la violazione di legge della sentenza impugnata, conseguente al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto delle ragioni che imponevano di ritenere configurato il delitto ascritto a H ex art. 302 cod. pen., sotto il profilo dell'offensività dei suoi comportamenti criminosi, non risultando dimostrata la sussistenza di una situazione di pericolo concreto correlata all'attività di proselitismo religioso del ricorrente, su cui la Corte di assise di appello di Roma, a fronte delle specifiche censure difensive, non si era soffermata. Si deduceva, in proposito, che il pericolo concreto delle condotte illecite riconducibili alla fattispecie di cui all'art. 302 cod. pen. costituisce la concretizzazione del principio di offensività, dalla cui verifica il Giudice di appello non poteva prescindere, costituendo tale parametro ermeneutico l'espressione di un collegamento inscindibile tra l'azione del soggetto attivo del reato e la messa in pericolo del bene giuridico, che non risultava accertato. Le carenze motivazionali riscontrate su tale decisivo passaggio valutativo, pertanto, inficiavano il percorso argomentativo seguito dalla Corte di assise di appello di Roma e imponevano di censurare la decisione in esame. Le censure difensive esposte imponevano l'annullamento della sentenza impugnata.
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