Cass. pen., sez. VII, ordinanza 31/05/2019, n. 24294
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la seguente ORDINANZA sul ricorso proposto da: IACOMINO COSTANTINO nato a ERCOLANO il 28/03/1957 avverso la sentenza del 01/10/2018 della CORTE ASSISE APPELLO di NAPOLIdato avviso alle parti;udita la relazione svolta dal Consigliere S A;RITENUTO IN FATTO E IN DIRUTO La CORTE ASSISE APPELLO di NAPOLI, con sentenza in data 01/10/2018, parzialmente riformando la sentenza pronunciata dal GIUDICE UDIENZA PRELIMINARE di NAPOLI, in data 24/04/2015, nei confronti di IACOMINO COSTANTINO confermava la condanna in relazione ai reati di cui agli artt.110, 112, 575 e 577 cod. pen., 7 I. n. 203 del 1991 (capo a), 110, 61, 81 cpv., 112, 2, 4 e 7 I. n. 895 del 1967, 3 e 23 I. n. 110 del 1975, 7 I. n. 203 del 1991, riducendo la pena ad anni 13 e mesi 4 di reclusione. Propone ricorso per cassazione l'imputato, deducendo violazione di legge (art. 8 I. n. 203 del 1991, 81, 132 e 133 cod. pe.) e vizio di motivazione con riferimento al trattamento sanzionatorio;in particolare si contesta la mancata concessione della riduzione massima ex art. 8 I. n. 203 del 1991 e l'erroneità del calcolo della penai poiché l'applicazione della ridetta circostanza attenuante comporta la sostituzione alla pena dell'ergastolo di quella della reclusione da dodici a vent'anni, mentre il giudice di secondo grado ha dapprima operato il bilanciamento con le circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti, determinando la pena in anni 24 di reclusione, ulteriormente diminuendola fino a 16 anni di reclusione ai sensi dell'art. 8 I. n. 203 del 1991. Il ricorso è inammissibile. Il criterio di calcolo è corretto: la giurisprudenza di legittimità ha affermato che "Qualora sia riconosciuta la circostanza attenuante ad effetto speciale della cosiddetta "dissociazione attuosa", prevista dall'art. 8 D.L. 13 maggio 1991 n. 152, convertito in legge 12 luglio 1991 n. 203 (Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell'attività amministrativa) e ricorrano altre circostanze attenuanti in concorso con circostanze aggravanti, soggette al giudizio di comparazione, va dapprima determinata la pena effettuando tale giudizio e successivamente, sul risultato che ne consegue, va applicata l'attenuante ad effetto speciale" (Sez. 6, n. 31983 del 13/04/2017,Iovine, Rv. 270430). Di tali principi ha fatto corretta applicazione il giudice di merito. Del resto, la giurisprudenza ha anche affermato che "L'attenuante ad effetto speciale della dissociazione, prevista dall'art. 8 D.L. 13 maggio 1991 n. 152, convertito in legge 12 luglio 1991 n. 203, non è soggetta al giudizio di bilanciamento tra circostanze" (Sez. 1, n. 8740 del 01/12/2016 dep. 2017, Panajia, Rv. 269191), sicché è corretto il calcolo della pena operato dai giudici di merito che hanno ritenuto l'equivalenza delle circostanze attenuanti generiche alle contestate aggravanti e applicato la riduzione per il riconoscimento della citata attenuante della dissociazione. In ultima analisi, la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.;ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013 - 04/02/2014, Ferrario, Rv. 259142), ciò che - nel caso di specie - non ricorre. Invero, una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o aumenti per circostanze, è necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti essere sufficienti a dare conto dell'impiego dei criteri di cui all'art. 133 cod. pen. le espressioni del tipo: 'pena congrua', 'pena equa' o 'congruo aumento', come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere (Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, Denaro, Rv. 245596) Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, chelritiene equa, di euro tremila a favore della cassa delle ammende.
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